La corsa elettorale con tre importanti candidati è una novità nella vita politica italiana. Vede il rischio di un ritorno al bipolarismo imperfetto?
«Non credo si possa parlare di vera novità. Certo, oggi la proposta centrista è forse più significativa che in passato. Ma la mia convinzione è che nel paese profondo vi sia un’esigenza di bipolarismo. Le forze di centro ambiscono ad essere un punto d’equilibrio, ma nella situazione italiana non penso che giocheranno un ruolo determinante».
Patronati e sindacati oggi reclamano un trattamento choc per l’economia italiana: a suo parere la cura di Mario Monti ha funzionato fin qui?
«La cura Monti ha funzionato sotto due aspetti: evitare il precipizio e ridare al Paese un elemento di credibilità sul piano internazionale e sui mercati. Mi piace poi sottolineare che Mario Monti non ha fatto tutto da solo, ma con il sostegno leale del nostro partito, che ha rinunciato alle elezioni anticipate in nome dell’interesse del Paese. Detto questo, pur riconoscendo il valore di questa esperienza, dobbiamo ancora affrontare scelte decisive per l’economia reale, il lavoro, le riforme politiche e civiche».
E’ d’accordo con il Financial Times, quando dice che Mario Monti non merita un secondo mandato in ragione dell’impatto negativo della sua politica di rigore?
«Mi sembra un giudizio in parte ingiusto. Io sarò più equilibrato. Certamente, si deve andare oltre questa esperienza di transizione. Come in tutte le democrazie, a un certo punto, le forze politiche che governano devono appoggiarsi su un largo consenso popolare. Altrimenti, difficilmente si possono mettere in opera le riforme. La soluzione tecnica ha le sue virtù ma anche i suoi limiti. Tutte le riforme che riguardano le istituzioni, le leggi anti-corruzione o il conflitto di interessi non possono essere realizzate da un governo tecnico. Inoltre, parallelamente alla politica del rigore, si devono mettere in piedi delle misure per il rilancio che sono fuori dalla portata di un governo di transizione. Oggi è ai cittadini che spetta il compito di dire chi debba guidare queste politiche».
Pensa, come certi economisti, che il governo Monti avrebbe dovuto ridurre la spesa pubblica invece di aumentare le tasse
«E’ meno facile di quanto si pensi. Se non si contano gli interessi sul debito e la spesa per le pensioni dei decenni passati, l’Italia ha un livello di spesa pubblica inferiore a quello della media europea. Non c’è dubbio che è necessario ridistribuire le risorse pubbliche, che in certi casi sono mal ripartite. Ma il nostro problema prioritario è il rilancio del Prodotto interno per ridare dinamismo ai consumi e agli investimenti. Non illudiamoci che la sola riduzione delle spese pubbliche possa produrre crescita: io non credo a questa ricetta».
Cosa pensa del recente mea culpa del FMI sul vero costo dell’austerità?
«Era ora che anche l’Fmi lo riconoscesse: il nostro partito lo dice da due o tre anni che in Italia a un punto di Pil di riduzione della spesa pubblica corrisponde un punto di recessione. E’ stato proprio così. Questo deve portarci a una riflessione a livello europeo: la ‘mia’ Italia è pronta ad accettare che ci sia un esame preventivo dei bilanci. Non da parte di un burocrate o di un commissario però, bisogna trovare un altro meccanismo (attraverso il Parlamento, la Commissione o il Consiglio). A condizione che ci siano delle misure che garantiscano un po’ di investimenti e di lavoro. Non c’è dubbio che dovremo ridurre il debito e controllare il deficit, ma queste sono misure a medio termine. Le misure più urgenti sono quelle che favoriscono il lavoro. Altrimenti, si creerà una spirale tra austerità e recessione che ci sfuggirà completamente».
Vuol dire che l’obiettivo dell’equilibrio strutturale per il 2013 non è un imperativo assoluto per l’Italia?
«No. Io rispetto quell’obiettivo, ma domando se si è tenuto conto dell’impatto del ciclo. Non possiamo incoraggiare la recessione con l’austerità. Se la crescita si deteriora ancora, chiederò all’Unione europea che questo non si traduca meccanicamente in nuovi colpi al budget. A parte queste riserve, confermo il Fiscal Compact e gli impegni. Ma mi piacerebbe che si aprisse una riflessione a livello europeo per concentrarci sulla crescita. Per me, non è vero che ci sono destini differenti per la Germania e per la Grecia. Viaggiamo tutti sullo stesso treno in via di rallentamento, anche se certi vagoni sono più confortevoli di altri».
Come pensate di contobilanciareil dogma del rigore imposto dalla Germania?
«Io direi alla Germania: è vero che alcuni paese non hanno approfittao dell’euro per fare i “compiti a casa”; per noi, questo si chiama Berlusconi. E’ ugualmente vero che la Germania è stato un buon alunno. Ma bidogna anche che la Germania riconosca che a tratto evorme vantaggio dall’euro, in termini di bilancia commerciale e economia reale. Senza spirito polemico, chiedo che si apra una discussione. Sono pronto a dire che l’Italia è disponibile a rinforzare ancora di più il controllo reciproco sulla finanza pubblica. Ma in cambio, la Germania deve riconoscere che si deve trovare delle vie per rilanciare gli investimenti e l’impiego nella zona euro. Bisogna anche riconoscere che non siamo stati all’altezza della notra moneta e che si sono creati degli squilibri. Bisogna individuare degli strumrnti nazionali coordinati oppure europei per creare lavoro. Perchè il rigore è una condizione necessaria, ma non è un obiettivo. Tra le soluzioni che proporrei, si possono emettere degli euro-bondsper gli investimenti selettivi decisi a livello europeo, dei project bonds…., possiamo gestire una parte del debito atttraverso un “fondo di redenzione”. L’essenziale è che i cittadini europei vedano che l’Europa si occupa di lavoro, in caso contrario il sogno europeo crollerà per forza».
Siete d’accordo con matteo Renzi sul fatto che non bisogna sottovalutare l’impatto di Silvio Berlusconi?
«Pienamente d’accordo. ma questa volta, il nostro obiettivo è di rappresentare un’alternativa credibile alle fiabe. Io dico agli italiani: non cerco di piacervi, voglio essere credibile dicendovi la verità. E’ su questo linguaggio di verità che si giocherà la partita elettorale».
Avete detto che l’Italia deve uscire da vent’anni di “deriva morale”? Cosa intende?
«La deriva morale, io l’identifico con il berlusconismo. Per vent’anni, il sistema di personalizzazione berlusconiani, premiando il consenso sulle regole ha lasciato diffondere l’idea che non si ha bisogno di pagare le tasse, che lo Stato è un nemico e che gli immigrati sono indesiderabili, senza contare la deriva culturale. Dobbiamo assolutamente correggere questa situazione, perchè questo non riflette la realtà italiana. Berlusconi non ci riuscirà questa volta, ma bisognerà fare i conti con quello che ha seminato. Tutto questo non fonderà come neve al sole, per questo la nostra prima riforma sarà la legge anti-corruzione, oltra alla legge sui partiti e una riforma della legge elettorale. Il punto di partenza sarà il ritorno alla moralità e al civismo».
Un accordo di governo con Mario Monti vi sembra la soluzione naturale nel caso in cui il centrosinistra non avesse la maggioranza al Senato?
«Sono persuaso che chi raccoglierà la maggior parte del voto popolare sarà in grado di governare sia alla Camera e sia al Senato. Ma anche se avessimo la maggioranza, vista la situazione del Paese, il centrosinistra non sarà settario e mi imnpegnerò a discutere con le forze europeiste, non populiste e costituzionaliste. Il nostro avversario è Berlusconi, la Lega Nord, Beppe Grillo e tutte le forme di populismo anti-europeo. Sul governo siamo pronti a discutere con Mario Monti. Saròà a lui decidere. Non voglio che il centrosinistra appaia come settario».
Lo scandalo MPS mette a rischio il sistema bancario italiano?
«No. E’ un caso assolutamente isolato, anche se altre banche possono aver fatto ricorso a strumenti derivati. Diciamo che il sistema italiano delle fondazioni bancarie garantisce una certa stabilità, però c’è anche il rovescio della medaglia con il rischio di interferenze delle collettività locali. Quanto all’utilizzo della finanza creativa, siamo molto al di sotto della soglia di altre esperienze straniere. Abbiamo ovviamente rimproverato al precedente governo e a Giulio Tremonti (ex ministro delle finanze di Silvio Berlusconi) di aver incoraggiato le collettività locali a utilizzare questi strumenti derivati. Il nostro sistema bancario, però, è meno esposto di altri ai rischi di sistema. Il nostro problema piuttosto è che, a differenza del resto dell’Europa, noi abbiamo un sistema bancario che trova la sua solidità nel suo rapporto con le PMI. Il cordone ombelicale tra l’economia reale e il sistema bancario è molto forte. Il vero rischio sarebbe se le banche chiudessero i rubinetti che alimentano l’economia reale per rinforzare la loro solidità».
Cosa pensa della decisione di Francois Hollande di introdurre una nuova aliquota del 75% sui redditi superiore al milione di euro .
«La differenza è che Hollande sa dove sono i ricchi in Francia. In Italia io, non lo so ancora. Mio problema non è di aumentare le tasse, ma di tassare quelli che non le pagano. L’Italia deve raggiungere la media europea di lealtà fiscale. In Italia, dobbiamo capire dove sono i ricchi. Abbiamo pochi contribuenti che dichiarano di guadagnare più di 100.000 euro e sappiamo che la realtà è diversa. La Banca d’Italia stima l’evasione fiscale pari a 100 miliardi di euro l’anno. Se riuscissi solo a recuperare il 7% o l’8% l’anno, potremmo ridurre le tasse. Invece sui patrimoni immobiliari, vorrei che il nostro sistema fosse più progressivo, e sui patrimoni finanziari la nostra strategia è di farli emergere. La mia strategia non è di aumentare le tasse ma di aver una maggiore tracciabilità. Quello che chiamiamo troppo facilmente evasione fiscale è in realtà una frode. In Italia, dobbiamo capire chi è ricco; in questo caso potremmo correggere le aliquote, però sono sicura che non sarà necessario mettere una pari al 75%. Dico però subito: in Italia non ci sarà mai una amnistia fiscale».
traduzione a cura di Dominique Argant e Carla Attianese
Da Les Echos
Elections, politique de rigueur, Europe, « dérive morale », scandale de la banque Monte dei Paschi di Siena… le leader du Parti démocrate (PD), qui mène la coalition de gauche pour les élections législatives de février, répond aux questions des Echos.
Cette course électorale à trois grands candidats est-elle une nouveauté dans la vie politique italienne ? Voyez-vous le risque d’un retour au bipolarisme imparfait ?
Je ne crois pas que l’on puisse dire que ce soit vraiment une nouveauté. Certes, aujourd’hui, la proposition centriste est peut-être plus significative que par le passé. Mais dans le pays profond, ma conviction est qu’il y a une exigence de bipolarisme. Les forces du centre ambitionnent d’être un point d’équilibre, mais dans la situation italienne, je ne pense pas qu’elles joueront un rôle déterminant.
Patronat et syndicats réclament aujourd’hui un traitement de choc pour l’économie italienne; la cure de Mario Monti a-t-elle fonctionné à vos yeux jusqu’ici?
Le traitement Monti a fonctionné sous deux aspects : éviter le précipice et redonner au pays un élément de crédibilité sur le plan international et sur les marchés. J’aime d’ailleurs souligner que Mario Monti ne l’a pas fait tout seul mais avec le soutien loyal de notre parti qui a renoncé à aller aux élections au nom de l’intérêt du pays. Cela dit, même en reconnaissant la valeur de cette expérience, nous avons encore à affronter des choix décisifs sur l’économie réelle, l’emploi, les réformes politiques et civiques.
Etes-vous d’accord avec le «Financial Times» lorsqu’il dit que Mario Monti ne mérite pas un deuxième mandat en raison de l’impact négatif de sa politique de rigueur ?
Cela me semble un jugement en partie injuste. Je serais plus équilibré. Certainement, il faut aller au-delà de cette expérience de transition. Comme dans toutes les démocraties, à un certain point, il faut que les forces politiques qui gouvernent s’appuient sur un grand consensus populaire. Sinon, les réformes sont difficilement mises en oeuvre. La solution technique a ses vertus mais aussi ses limites. Toutes les réformes qui regardent les institutions, les lois anti-corruption ou les conflits d’intérêt ne peuvent pas être réalisées par un gouvernement technique. En outre, parallèlement à la politique de rigueur, il faut mettre en oeuvre des mesures de relance qui étaient hors de portée d’un gouvernement de transition. Aujourd’hui, c’est aux citoyens désormais de dire qui doit mener ces politiques.
Pensez-vous, comme certains économistes, que le gouvernement Monti aurait dû davantage réduire les dépenses publiques au lieu d’augmenter les impôts ?
C’est moins facile qu’on ne le pense. Sans compter le service de la dette et les dépenses de retraites des décennies passées, l’Italie a un niveau de dépenses publiques inférieur à celui de la moyenne européenne. Il n’y a pas de doute qu’il faut redistribuer les dépenses publiques qui dans certains cas sont mal réparties. Mais notre problème prioritaire est de relancer le PIB en redonnant plus de dynamisme à la consommation et aux investissements. On ne peut pas croire à l’illusion que la seule réduction des dépenses publiques puisse produire de la croissance : je ne crois pas à cette recette.
Que pensez-vous du récent «mea culpa» du FMI sur le vrai prix de l’austérité ?
A la bonne heure. Il est grand temps que le FMI le reconnaisse: notre parti le dit depuis deux ou trois ans en Italie qu’à un point de PIB de réduction des dépenses correspond un point de récession. C’est tout à fait juste. Cela doit nous porter à une réflexion au niveau européen : ‘’mon” Italie est prête à accepter qu’il y ait un examen préventif de la présentation des comptes publics. Pas par un bureaucrate ou un commissaire, il faut trouver un autre mécanisme (à travers le Parlement, la Commission ou le Conseil). A condition qu’il y ait des mesures qui garantissent un peu d’investissement et d’emploi. Il n’y a pas de doute qu’il faille réduire la dette et contrôler le déficit, mais ce sont des mesures à moyen terme. Les mesures les plus urgentes sont celles qui favorisent l’emploi. Sinon, il y aura une spirale entre l’austérité et la récession qui nous échappera complètement.
Cela veut-il dire que l’objectif d’équilibre structurel pour 2013 n’est pas un impératif absolu pour l’Italie ?
Non. Je respecte cet objectif, mais je demande à ce qu’il soit tenu compte de l’impact du cycle. Nous ne pouvons pas encourager la récession avec l’austérité. Si la croissance se détériore encore, je demanderai à l’Union européenne à ce que cela ne se traduise pas mécaniquement par de nouvelles coupes budgétaires. A cette réserve près, je confirme le Fiscal Compact et les engagements. Mais j’aimerais que l’on lance une réflexion au niveau européen pour se concentrer sur la croissance. Pour moi, il n’est pas vrai qu’il y a un destin différent pour l’Allemagne et la Grèce. Nous voyageons tous sur le même train en voie de ralentissement, même si certains wagons sont plus confortables que d’autres.
Comment pensez-vous pouvoir contrebalancer le dogme de la rigueur imposé par l’Allemagne ?
Je dirai à l’Allemagne : c’est vrai que certains pays n’ont pas profité de l’euro pour faire leur «travail à la maison»: pour nous, cela s’appelle Berlusconi. Il est également vrai que l’Allemagne a été un bon élève. Mais il faut aussi que l’Allemagne reconnaisse qu’elle a tiré un énorme avantage de l’euro, en termes de balance commerciale et d’économie réelle. Sans esprit de querelle, je demande que s’ouvre une discussion. Je suis prêt à dire que l’Italie est disponible à renforcer encore plus le contrôle réciproque de la finance publique.
Mais en échange, il faut que l’Allemagne reconnaisse que l’on doit trouver des voies pour relancer l’investissement et l’emploi au niveau de la zone euro. Il faut reconnaître que nous n’avons pas été à la hauteur de notre monnaie et que des déséquilibres se sont créés. Il faut trouver des instruments nationaux coordonnés ou européens pour créer de l’emploi. Car la rigueur est une condition nécessaire, mais ce n’est pas un objectif. Parmi les solutions que j’avancerais: on peut émettre des euro-bonds pour des investissements sélectifs décidés au niveau européen, des project-bonds…, on peut gérer une part de la dette à travers un «fonds de rédemption». L’essentiel est que les citoyens européens voient que l’Europe s’occupe d’emploi, sinon le grand rêve européen s’effondrera forcément.
Etes-vous d’accord avec Matteo Renzi sur le fait qu’il ne faut pas sous-évaluer l’impact de Silvio Berlusconi ?
Pleinement d’accord. Mais cette fois-ci, notre objectif est de présenter une alternative crédible aux fables. Je dis aux Italiens : je ne cherche pas à vous plaire, je veux être crédible en vous disant la vérité. C’est sur ce langage de vérité que se jouera la partie électorale.
Vous avez dit que l’Italie doit sortir de vingt ans de «dérive morale»? Qu’entendez-vous ?
La dérive morale, je l’identifie au berlusconisme. Pendant vingt ans, le système de personnalisation berlusconien, en faisant primer le consensus sur les règles, a laissé se diffuser l’idée qu’on n’a pas besoin de payer les impôts, que l’Etat est un ennemi et que les immigrés sont indésirables, sans compter la dérive culturelle. Il faut absolument corriger cette situation, car cela ne reflète pas la réalité italienne. Berlusconi n’y arrivera pas cette fois-ci, mais il faudra faire les comptes avec ce qu’il a semé. Car cela ne va pas fondre comme la neige au soleil. C’est pourquoi notre première réforme sera une loi contre la corruption, outre un texte sur les partis et une réforme de la loi électorale. Le point de départ sera le retour à la moralité et au civisme.
Un accord de gouvernement avec Mario Monti vous semble-t-il la voie naturelle au cas où le centre-gauche n’aurait pas la majorité au Sénat?
Je suis persuadé que celui qui recueillera la plus grande part du vote populaire sera en mesure de gouverner tant à la Chambre qu’au Sénat. Mais même si nous avons la majorité, vu la situation du pays, le centre-gauche ne sera pas sectaire et je m’engage à discuter avec les forces européistes, non populistes et constitutionnalistes. Notre adversaire, c’est Berlusconi, la Ligue du Nord, Beppe Grillo, et toutes les formes de populismes anti-européens. Sur le gouvernement, nous sommes prêts discuter avec Mario Monti. Ce sera à lui de se décider. Je ne veux pas que le centre-gauche apparaisse comme sectaire.
Le scandale MontePaschi di Siena fait-il peser une menace de risque systémique pour le secteur bancaire italien ?
Non. C’est un cas absolument isolé, même si d’autres banques ont pu avoir recours à des instruments dérivés. Disons que le système italien des fondations bancaires garantit une certaine stabilité, mais il y a un revers de la médaille avec le risque d’interférences des collectivités locales. Quant à l’usage de finance créative, nous sommes très en dessous du seuil d’autres expériences étrangères. Certes, nous avons reproché au gouvernement antérieur et à Giulio Tremonti (ex-minitre des finances de Silvio Berlusconi) d’avoir encouragé les collectivités locales à utiliser ces instruments dérivés. Mais notre système bancaire est moins exposé que d’autres aux risques systémiques. Notre problème est plutôt qu’à la différence du reste de l’Europe, nous avons un système bancaire qui trouve sa solidité dans son rapport avec les PME. Le cordon ombilical entre l’économie réelle et le système bancaire est très fort. Le vrai risque serait que les banques coupent les vannes à l’économie réelle pour renforcer leur solidité.
Que pensez-vous de la décision de François Hollande d’instaurer une nouvelle tranche à 75% pour les revenus au-dessus du million d’euros ?
La différence, c’est que Hollande sait où sont les riches en France. Moi, je ne le sais pas encore en Italie. Mon problème n’est pas d’augmenter les impôts, mais plutôt de taxer ceux qui ne les payent pas. L’Italie doit arriver à la moyenne européenne de la loyauté fiscale. En Italie, nous devons comprendre où sont les riches. Car nous avons très peu de contribuables qui déclarent de gagner plus de 100.000 euros et nous savons que ce n’est pas la réalité. La Banque d’Italie estime l’évasion fiscale à 100 milliards d’euros par an. Si j’arrive seulement à en récupérer 7% à 8% par an, on pourrait réduire les impôts. Alors que sur les patrimoines immobiliers, je souhaite que notre système soit plus progressif, sur les patrimoines financiers, notre stratégie est de les faire émerger. Ma stratégie n’est pas d’augmenter les tranches mais d’avoir la traçabilité. Ce que nous appelons trop facilement l’évasion fiscale est en réalité de la fraude. En Italie, il nous faut comprendre qui est riche; dans ce cas-là, on pourra corriger relativement les tranches mais je suis sûr qu’on n’aura pas besoin de mettre une tranche de 75%. Mais je le dis tout de suite: il n’y aura plus jamais d’amnistie fiscale en Italie.