La ripresa? I Paesi più lungimiranti puntano sul capitale umano, cioè sui ragazzi e sulla scuola. È lì che investono, convinti che l’istruzione cambi la vita dei singoli e delle nazioni . È l’opinione di Andreas Schleicher, vicedirettore Ocse per l’istruzione e direttore del programma Ocse/Pisa, uno dei massimi esperti mondiali sui sistemi scolastici internazionali, a Milano per «Arte e Scienza in Piazza». Che non boccia la scuola italiana perché, pur restando sotto la media, fa progressi in termini di efficienza e svecchiamento. Certo, il limite principale è sotto gli occhi di tutti: «Il fatto che tanti laureati non trovino lavoro e tanti imprenditori non trovino personale: la spiegazione è che la scuola non prepara al mondo reale».
In un secolo è cambiato il modo d’intendere l’istruzione. «Prima era un processo di selezione – spiega Schleicher – l’economia aveva bisogno di poche persone benissimo istruite e tanti con livello e medio basso». In passato, poi, i contenuti erano validi per tutta la vita, ora cambiano continuamente. Quali sono, quindi, gli ingredienti nuovi da prendere qua e là dai sistemi migliori del mondo? «Prima di tutto il valore che la società dà all’istruzione, quanto la ritiene centrale e meritevole di risorse».
Ma questo non solo a livello di politica. «In Cina sono tutti convinti che studiare sia la chiave del successo, ragazzi e genitori, e in Giappone è interessante quello che è successo dopo lo tsunami: hanno deciso di ripartire dalla scuola, approfittandone per ricostruire un sistema scolastico adeguato al futuro». Il mito del nucleare è crollato e loro vogliono che i giovani si preparino a risolvere i problemi energetici di domani.
Un altro ingrediente è la capacità di attrarre i migliori insegnanti: «In Finlandia quello dell’insegnante è il secondo mestiere più ambito dai migliori laureati, e non per lo stipendio; attrae intellettualmente, perché assicura un ruolo attivo». Il terzo elemento è l’investire risorse là dove possono fare la differenza, e su questo Schleicher insiste molto perché ne deriva l’equità di un sistema. «In Ontario il 40% dei figli di emigrati ha performance uguali o migliori rispetto agli altri, e questo perché il Paese spinge molto nello sviluppo dei talenti, che spesso si perdono per via del basso retroterra socioculturale». Quest’ultimo infatti non deve più essere una barriera ma anzi un potenziale . Gli ultimi ingredienti sono la coerenza e la capacità di disegnare progetti a lungo termine.
Non resta che parlare degli errori da evitare, ma ci limitiamo a quelli che ci riguardano più da vicino: «In Italia c’è il terrore delle classi numerose; un altro errore è l’enfasi data alla memorizzazione di contenuti che oggi cambiano continuamente».
Infine, il tasto dolente della valutazione. «Vedo che in Italia gli studenti spesso hanno buoni voti anche se non sanno. Il messaggio è: “Non importa, va bene lo stesso”. È un danno, perché nei Paesi ad alti standard i ragazzi sanno che cosa è bene e cosa non lo è, hanno dati e voti più vicini alla realtà».
Da La Stampa
Pubblicato il 28 Gennaio 2013