Non è rimasto niente di Trochenbrod. Era una cittadina specialissima dell’Ucraina nata nell’inizio Ottocento. Polacchi, russi, sovietici se l’erano passata di mano varie volte, ma la sua natura era rimasta tale e unica, una comunità interamente ebraica, senza gentili. Piena di piccole industrie e di negozi attivissimi per tutto il circondario. Di scuole, cori e teatri. Di ogni organizzazione sionista possibile e immaginabile. Con nove sinagoghe, certo, lì tutti festeggiavano il sabato e tutti ballavano e cantavano ai matrimoni e ai bar-mitzvah.
E la sua particolarità stava anche nel fatto che erano contadini, contadini ebrei! Era da secoli che non se ne vedevano, e invece loro avevano drenato e coltivato e allevato bestiame con ardore, orgogliosi dell’autonomia conquistata. Trochenbrod sembrava quasi una bolla di Stato ebraico prima che nascesse Israele. Erano cinquemila ebrei. Tra l’agosto e l’ottobre 1942 furono sterminati dai nazisti e dalla milizia ucraina nelle fosse comuni di Jaromel. Quando nel 1950 uno dei cinquanta sopravvissuti alla Shoah andò a ricercare Trochenbrod, raccontò di non averne trovato traccia.
Avrom Bendavid-Val, un ebreo sessantatreenne di Washington, 15 anni fa di tutto questo non ne sapeva più o meno niente. Sì, aveva presente che suo padre Chagai era nato e vissuto a Trochenbrod con un fratello e una sorella che erano stati uccisi nella Shoah, e che lui invece nel 1933 era partito per la Palestina. Ma Chagai non ne parlava, su Trochenbrod si limitava a un certo sorriso misterioso, e Avrom non chiedeva, perché, come ci dice attraverso Skype, «come i miei coetanei ero preso da donne, amici e baseball. Quando mio padre morì a 56 anni, nel ’69, mi accorsi che non avevo idea da dove venisse ».
Nel 1997 però volle andare in quel posto misterioso. E avvenne un incantesimo. «Ero con mio fratello e una guida, camminammo in un enorme campo vuoto. Fu terribilmente commovente. C’era una stele messa a ricordo dagli israeliani, poi il niente circondato da una foresta. Mentre tornavo in macchina, guardai fuori nel buio, il cielo era il più stellato che avessi mai visto, e soprattutto era lo stesso che aveva guardato mio padre. In quel
momento decisi che volevo saperne di più. Appartenevo a quel luogo, perché aveva forgiato mio padre che mi ha passato i suoi valori, il suo sense of humour, e mi ha anche insegnato l’ebraico perché ha sempre pensato di voler tornare a vivere in Israele. Era una parte forte della mia identità».
Del suo essere ebreo? «Non l’ebraismo in sé, ma quella città era ebraica e aveva il suo modo di guardare le cose. Il mio legame con la Trochenbrod di prima dello sterminio è forte. Ce l’ho nel sangue. Non è ebraico, ma è ebraico». Avrom non è l’unico che negli ultimi anni ha avuto bisogno di tornare alla casa dei progenitori fuggiti o morti nella Shoah, basti pensare a Gli scomparsi di Mendelsohn, a Jonathan Safran Foer che proprio su un viaggio insieme al nonno a Trochenbrod (chiamato nel romanzo Trochimbrod) ha ruotato il bestseller Ogni cosa è illuminata.
Una forza trainante porta figli e nipoti a voler conoscere cosa è stato cancellato, cosa c’era prima di loro, a onorare i morti non più ad Auschwitz, luogo simbolo della fine, ma raccogliendo testimonianze sull’energia, le persone, i progetti che avevano abitato quelle comunità, e sulle ultime ore naturalmente, senza permettere che niente evapori, cada nell’oblio. Forse è semplicemente perché è crollata la Cortina di ferro e si può entrare laggiù, come dice Avrom da concreto economista qual è, forse è perché, ora che la storia della Shoah è scritta, vogliamo toccare con mano, sentire le voci, i profumi, vedere i paesaggi che circondarono chi fu assassinato, così come avere una visione intima dell’orrore che loro provarono.
Se Mendelsohn nel suo peregrinare ha cercato soprattutto di ricostruire come erano stati uccisi i suoi, per Bendavid-Val è diverso. È della vita che è andato a caccia, è quella che ha voluto ridare a Trochenbrod. Ne è uscito
I cieli sono vuoti. Alla scoperta di una città scomparsa (Guanda, con un’introduzione di Safran Foer), un affresco colorato e pieno di voci, come un vecchio film su uno shtetl, come Il violinista sul tetto, o come i racconti di Sholem Aleichem, con l’imbianchino Motty, Shmuel Shimon il calzolaio che andava a svegliare la gente per la preghiera, Yosel il maestro, Itzik il tessitore, Chuna il Lungo il macellaio, Berel che preparava il mangime per gli animali, Hirschke che aveva un’osteria, Yankel il fabbro… e gli unici tre gentili che vivevano lì, il poliziotto e la direttrice dell’ufficio postale Janina Lubinski insieme a suo figlio Ryszard che parlavano yiddish come gli altri.
Avrom, con i suoi testimoni ritrovati in Israele, Brasile, Stati Uniti anima quella cittadina annientata quasi avesse una macchina del tempo. «Riportare Trochenbrod in vita è stata la cosa più gratificante che abbia mai fatto: ora non morirà più». Anche perché Avrom è travolto dalle e-mail, e le presentazioni del libro sono sempre affollate, accorate. E tra poco uscirà un documentario. E un altro libro. Dopo la vita poi, il crepuscolo e le tenebre. Sotto i russi arrivati nel ’39 Avrom racconta l’economia della città che viene travolta e affamata, le organizzazioni sioniste che imparano a sparare e soprattutto a prepararsi ad andare in Palestina.
Partono Tuvia Drovi e i suoi amici, di notte. Passano senza un soldo in tasca per Vilnius, e poi la Turchia, ma anche la Russia, il Kazakistan, l’Uzbekistan, l’Iran, la Siria, l’Egitto perché attraversare l’Europa non è più sicuro. Hana Tziporen arriva ad Haifa, dopo molti mesi passati a Teheran, Shmulik Potash si ritrova nella Varsavia occupata e poi a Mosca, a Taskent…: solo nel 1949 riuscirà a raggiungere quello che ormai era diventato Israele! Furono tra i pochi a salvarsi.
I nazisti invasero la Polonia orientale in mano ai sovietici il 22 giugno 1941: insieme alle milizie ucraine devastarono e uccisero. Molti iniziarono a costruire nascondigli nelle case, altri bunker nascosti nella foresta. Il piano tedesco prevedeva l’eliminazione totale entro il 10 ottobre 1942. Bastarono due Aktion per sterminarli tutti. Bendavid-Val li segue nel sangue, osserva attonito il rabbino nudo ucciso per primo. Così come entra nei piccoli nove bunker del bosco in cui sopravvisse dodicenne per due anni Basia-Ruchel Potash (che ora vive in America), assieme alla sua famiglia, sdraiati, attanagliati dal freddo, la fame, il silenzio, il terrore. Un’epopea inimmaginabile. E racconta anche di Chaim Votchin, il ragazzo partito per fare il partigiano insieme a Gad Rosenblatt, prima in una piccola squadra di soli ebrei che si vendicava dei tedeschi e degli ucraini più feroci, poi insieme ai russi. A leggere la sua testimonianza sembra di guardare Inglorious Basterds di Tarantino: che senso di liberazione. Oggi Votchin vive ad Haifa. Sì, Trochenbrod rappresenta davvero della storia degli ebrei e della Shoah. È adatto per celebrare il Giorno della Memoria. Un popolo, una cultura, cancellati nel cuore dell’Europa. Eppure ancora in piedi.
La Reèubblica 25.01.13