Dopo la definitiva archiviazione del piano “Fabbrica Italia”, che prevedeva uno stanziamento di 20 miliardi di euro, i vertici della Fiat hanno deciso di intraprendere la strada degli investimenti stabilimento per stabilimento. Il fatto che si impieghino risorse per la produzione di nuovi modelli di auto è certamente apprezzabile, vista anche l’attuale offerta non all’altezza della concorrenza e la situazione disastrosa del mercato dell’auto. E’stato fatto a Pomigliano per la nuova Panda, a Grugliasco per la Maserati e adesso a Melfi per un piccolo Suv della Jeep. In totale tre miliardi, rispetto ai 20 sbandierati tre anni fa, ma pur sempre un segnale che non va sottovalutato e che contribuisce al radicamento territoriale di alcuni stabilimenti.
Questo non deve però far perdere di vista l’esigenza di veder definito un nuovo piano complessivo dell’azienda nel quale sia stabilito – stabilimento per stabilimento – quali siano le nuove vetture che dovranno essere prodotte, quanti lavoratori dovranno essere occupati e quali siano le innovazioni, di prodotto e di tecnologia, con le quali si intende lanciare la sfida ai mercati. Finora la Fiat su questi punti, fondamentali per lavoratori e sindacato, ma anche e soprattutto per il futuro dell’industria italiana, continua a essere reticente.
Anche per questo motivo è particolarmente preoccupante la decisione del Lingotto di chiedere l’attivazione della cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione aziendale, per la durata di quasi due anni, per i 5.500 lavoratori dello stabilimento di Melfi. La scelta di far ricorso alla cig, notificata a sole tre settimane dagli annunci in pompa magna fatti da Marchionne e Elkan davanti al Presidente del Consiglio Monti, ospite dello stabilimento lucano, desta allarme soprattutto perché ancora non sono stati resi noti i dettagli degli investimenti previsti né i tempi di realizzazione del nuovo progetto. Se da Melfi, come era stato dichiarato da Marchionne in quell’occasione, deve partire la svolta nei rapporti tra la Fiat e l’Italia, non c’è da stare troppo tranquilli.
Per lo stesso motivo non convince l’idea di fare di Torino e di Grugliasco soltanto un polo dell’auto di lusso. Puntare a conquistare le fasce alte del mercato (e con la Maserati il traguardo è senz’altro raggiungibile), perla tradizione Fiatnon è mai stato l’obiettivo principale (Mirafiori ha sempre prodotto auto di cilindrata medio – bassa). Può essere un’idea suggestiva, ma è difficile immaginare che di punto in bianco possa essere anche un’idea vincente. Il polo del lusso può generare un valore aggiunto elevato per unità di prodotto, ma difficilmente può dar vita a numeri quantitativamente significativi. Tanto più che anche in questo caso l’azienda non ha risposto alle domande, fondamentali, sulle risorse che si intendono investire, sui prodotti che si vogliono realizzare, sugli addetti che si ritiene di occupare, sugli stabilimenti da coinvolgere e sulle quote di mercato che si vogliono conquistare. Cioè non ha proposto un piano industriale.
C’è infine un ulteriore motivo di preoccupazione, forse il più rilevante. La casa torinese, che punta in tempi brevi alla completa integrazione con Chrysler diventandone nel contempo l’unico azionista, si sente sempre più americana. Il rischio che la fusione possa rispondere, anche alla luce degli ultimi bilanci, solo agli interessi di quel mercato e che l’azienda possa di conseguenza ritenersi sciolta da qualunque vincolo con Torino e con l’Italia, non è da sottovalutare.
Per rassicurare il paese e i lavoratori sul futuro produttivo e occupazionale, serve conoscere la strategia complessiva del Lingotto e serve sapere, senza ambiguità, dove la proprietà intende collocare la “testa”, se a Torino o a Detroit. Marchionne ha grandi responsabilità verso i dipendenti degli stabilimenti Fiat e verso l’indotto che, come tutta l’industria italiana dell’auto, sta vivendo momenti di forte sofferenza e verso il paese che, se vuol restare a vocazione industriale, non può permettersi di perdere il settore dell’auto.
La Fiat deve convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutte le organizzazioni sindacali al fine di chiarire con precisione i contorni del piano industriale con il quale intende muoversi, a Melfi e nel resto d’Italia. Mentre sarà compito del prossimo governo varare un piano nazionale per la mobilità e indicare le linee di politica industriale di sostegno al settore del trasporto in termini di innovazione di prodotto, al fine di favorire la sostenibilità ambientale e la sicurezza.
L’Unità 23.01.13