Shoah e solitudine, di Giulio Busi
La Shoah, spina che lacera il XX secolo, è stata anche un dramma della solitudine. Che sei milioni di vittime possano essere “sole” sembra a prima vista un paradosso. Eppure, nella Germania della persecuzione e in gran parte dell’Europa teatro dello sterminio, gli ebrei furono deportati ed eliminati in una indifferenza pressoché totale, abbandonati al loro terribile fato senza alcun clamore o indignazione, in uno spettrale silenzio. Lasciati morire mentre gli “altri”, con poche benché straordinarie eccezioni, facevano finta di non accorgersi di nulla. In tedesco esiste un verbo che descrive con efficacia questo processo di negazione: “wegschauen”, “distogliere lo sguardo”, rifiutare la propria attenzione e privare così chi soffre della più possente e misteriosa dote umana, la compassione. Certo, mentre i treni viaggiavano verso Auschwitz, la guerra divampava ovunque, e tutti – chi più chi meno – avevano i loro guai. Altrettanto indubbio è che i nazisti mettessero molto impegno nell’occultare le dimensioni e la vera natura della soluzione finale. Ma la tragedia comune e la campagna di disinformazione non smussano gli angoli acuminati …