I meccanismi della comunicazione sono difficilmente prevedibili. Tuttavia, su alcuni temi, come «la patrimoniale», sono davvero sorprendenti. Venerdì scorso, Pier Luigi Bersani ha ribadito, per l’ennesima volta, la posizione del Partito democratico sulla tassazione dei patrimoni. A stretto giro, nella demagogia elettorale, tanti si sono impegnati a dare alle sue parole la rappresentazione di novità assoluta, in presunta incoerenza con le proposte precedentemente annunciate e addirittura in contraddizione con le posizioni di altri importanti interlocutori del centrosinistra e delle forze sindacali. Prima di entrare nel merito delle dichiarazioni di Bersani, è utile ribadire quanto scrivemmo in un commento per Europa del 9 settembre 2011, sempre in risposta alle accuse di incoerenza: «Primo: la patrimoniale non esiste… La patrimoniale si distingue, innanzitutto, in due fattispecie: un’imposta straordinaria, una tantum, ad aliquota molto elevata su una qualche definizione del patrimonio; un’imposta ordinaria, ad aliquota molto contenuta anche qui su una qualche definizione della base imponibile. Secondo: il Pd rimane convinto che la via della patrimoniale straordinaria sia una via suggestiva ad uno sguardo superficiale, ma impraticabile sul piano tecnico e comunque marginale ai fini della sostenibilità del debito pubblico. Quindi, terzo: non c’è stata nessuna svolta del Pd. La nostra proposta di patrimoniale ordinaria era già nel documento presentato da Bersani il 13 Agosto (2011). Al punto 3 si prevede: l’introduzione di una imposta ordinaria sui valori immobiliari di mercato, fortemente progressiva, con larghe esenzioni».
L’impostazione appena richiamata, contrapposta agli aumenti di imposte approvati dal governo Berlusconi nella torrida estate di due anni fa, è stata riproposta a dicembre 2011 per tentare, anche allora inutilmente, di emendare il decreto Salva-Italia. E’ utile anche ribadire che, su scala nazionale, data la libera circolazione dei capitali e la presenza anche nell’Unione europea di paradisi fiscali, la ricchezza finanziaria si sottrae facilmente al fisco. Infine va ricordato che, grazie all’insistenza del Pd, la tassazione sui redditi da capitale è stata innalzata al 20% e che l’Italia, tra i primi Paesi in Europa, con la legge di stabilità approvata a dicembre scorso, ha introdotto un’imposta sulle transazioni finanziarie («Tobin tax» nella semplificazione dei media).
Veniamo alle parole di Bersani. Che cosa ha detto? Ha ricordato che un’imposta patrimoniale ordinaria è già presente nel nostro sistema fiscale. Si chiama Imu. Ha ricordato anche che il Pd non intende introdurre ulteriori imposizioni patrimoniali. Ha indicato, invece, che il Pd punta a redistribuire in senso progressivo l’imposta patrimoniale in vigore, ossia l’Imu, per alleggerire il carico sulle abitazioni di valore modesto e medio e sui patrimoni strumentali delle imprese, in particolare le micro imprese. Come? La proposta è la seguente. Un’imposta comunale del 4 per mille su tutti gli immobili (anche gli immobili diversi dall’abitazione principale), applicata a una base imponibile corretta in riferimento ai valori di mercato da definire attraverso la riforma del catasto (sulla base del disegno di legge delega bloccato dal Pdl in Parlamento). All’imposta dovuta per la prima abitazione, si applica una detrazione pari a 500 euro. Ai Comuni sono lasciati margini di manovra per modulare la detrazione prevista in relazione alle caratteristiche del nucleo familiare e per limitate variazioni delle aliquote. All’imposta comunale come riformulata sopra, si affianca un’imposta erariale (statale) personale sul patrimonio immobiliare, ad esclusione dell’abitazione di residenza dal valore inferiore a 1,5 milioni di euro e dei fabbricati direttamente adibiti dal proprietario ad attività di impresa. L’imposta è progressiva. La prima aliquota è al 3 per mille e si applica ai patrimoni immobiliari di valore inferiore ai 300.000 euro. L’aliquota aumenta fino allo scaglione di patrimonio immobiliare superiore ai 3 milioni di euro. È evidente che, in relazione all’Imu vigente, beneficiano della proposta le abitazioni di residenza di valore inferiore a 1,5 milioni di euro, le aziende e le seconde abitazioni di valore inferiore a 300.000 euro.
In conclusione, chi ha interesse e pazienza a ricostruire i fatti può riscontrare che non si è trattato di novità, ma di articolazione del principio «chi ha di più, deve dare di più», continuamente ripetuto negli ultimi anni. Piuttosto che cercare notizie di presunte incoerenze e contraddizioni su una specifica proposta sarebbe utile concentrarsi sull’obiettivo politico fondamentale perseguito dalla coalizione guidata da Bersani: l’attacco alle disuguaglianze, innanzitutto di opportunità.
L’Unità 20.01.13