Il confronto sull’ordinamento del sistema scolastico italiano continua a trascinarsi stancamente. Oggetto prevalente d’interesse è l’architettura del sistema, la sua articolazione tra i livelli, il modello di organizzazione dei curricoli, ridotto all’indicazione del numero di ore da assicurare per questa o quella materia. Non si tiene conto che l’architettura è solo uno degli aspetti ai quali occorre prestare attenzione. Se ne deve prendere in considerazione almeno un altro, costituito dalle regole di funzionamento delle scuole. L’architettura del sistema riflette le concezioni che sono alla base dell’educazione scolastica, mentre le regole di funzionamento stabiliscono in che modo si ritiene che gli intenti del sistema possano essere raggiunti. Gli interventi legislativi promossi dai governi della Destra si sono caratterizzati da un lato per l’incerto disegno del modello architetturale, dall’altro per la semplicità, al limite del banale, delle regole di funzionamento. L’architettura del sistema è stata piegata ad assecondare un proposito di contenimento della popolazione scolastica, che ha come condizione iniziale l’interruzione della tendenza all’aumento del numero di anni compreso nella fascia dell’istruzione obbligatoria. Non si è trattato di una novità: anche la riforma scolastica del 1923 aveva perseguito, peraltro senza raggiungerlo, il medesimo intento. Si trattava, e si tratta, di una linea interpretativa dei processi di scolarizzazione inevitabilmente astratta, perché definita prescindendo dall’evoluzione della domanda sociale d’istruzione. La variante attualizzata di tale linea è consistita nello sfumare il principio (peraltro sancito nella Costituzione) dell’istruzione obbligatoria per almeno otto anni. Oggi i limiti dell’obbligo sono piuttosto incerti. Non si sa bene quando l’obbligo abbia inizio, né quando possa considerarsi soddisfatto. La destra, e i tecnici, non sono apparsi particolarmente interessati a incrementare la cultura di base della popolazione, lasciando che variabili esterne al sistema educativo finissero col prevalere nella definizione del profilo culturale della popolazione. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: dilaga una comunicazione sociale di cattiva qualità, si è affermato un insidioso mitridatismo nei confronti della sciatteria grammaticale, la sintassi si è impoverita, si manifestano difficoltà crescenti nella comprensione e nell’espressione di messaggi scritti, crescono le incertezze ortografiche e via lamentando. D’altra parte, le regole di funzionamento delle scuole hanno teso prioritariamente a ridurre le spese, diminuendo la consistenza del servizio. La semplicità, dunque, è solo il riflesso di un’offerta d’istruzione sempre più angusta. Si è affermato, fraintendendo o mistificando, che l’orario delle attività delle nostre scuole è tra i più alti d’Europa, superiore a quello delle scuole di Paesi che nelle rilevazioni internazionali ottengono risultati di gran lunga migliori. Quest’affermazione è possibile accreditando l’equivoco per il quale si confrontano solo gli orari delle lezioni, non quello complessivo delle attività. I nostri bambini e i nostri ragazzi trascorrono a scuola unicamente il tempo necessario a fruire delle lezioni. Altrove l’orario delle lezioni rappresenta una parte, talvolta neanche maggioritaria, dell’orario di funzionamento, a comporre il quale concorrono sia le attività che comportano l’applicazione degli apprendimenti conseguiti, sia quelle che hanno come scopo lo sviluppo della socializzazione, le interazioni col reale che contorna la scuola, l’incremento della motivazione ad apprendere, la fruizione di un sostegno individualizzato. È nell’ambito di tale nozione estesa del tempo scolastico che si acquisiscono le competenze che consentono di risalire nelle graduatorie internazionali: per esempio, è difficile che si possano ottenere risultati migliori negli apprendimenti scientifici se la proposta di apprendimento è solo teorica e, spesso, virtuale. C’è bisogno di impegnarsi in attività che compongano il pensiero con l’azione, come sono quelle che si possono svolgere in un laboratorio di fisica, di chimica o di biologia, impegnandosi in progetti che coinvolgano il contesto, sociale o fisico, in cui la scuola opera, aprendo spazi per la manifestazione di interessi in settori che, pur rilevanti dal punto di vista conoscitivo, non trovano spazi per esprimersi nei recinti tradizionali della cultura scolastica (teatro, musica, arti plastiche e pittoriche, ma anche giardinaggio, orticultura o manutenzione di beni strumentali). In analogia a quanto è già avvenuto in altri Paesi, occorre impegnarsi per ridefinire l’ordinamento del sistema educativo. Per cominciare, c’è bisogno di una legge che stabilisca in modo inequivoco che l’obbligo d’istruzione riguarda tutti fino al compimento dei18 anni (fino a 16 se gli ultimi due anni sono cogestiti col sistema per la formazione professionale). In parallelo, c’è bisogno di razionalizzare e generalizzare l’offerta educativa per l’infanzia, dai primi mesi di vita all’inizio dell’istruzione primaria (sarebbe anche un modo per riavviare in Italia una tendenza positiva nell’evoluzione demografica). Sul versante delle regole di funzionamento si deve prevedere un orario che comprenda gran parte della giornata nei primi cinque giorni della settimana (le dotazioni dovrebbero essere disponibili anche il sabato per attività individuali o di piccoli gruppi). Saranno le scuole, nella loro autonomia, a definire il quadro dell’attività educativa, nel quale troveranno posto sia le lezioni, sia le esperienze rivolte ad applicare e stabilizzare l’apprendimento e a consentire agli allievi di manifestare una progettualità originale. L’estensione dell’orario di funzionamento delle scuole è essenziale per conferire equità al sistema educativo. Bambini e ragazzi saranno meno esposti alle sollecitazioni consumiste che dominano al di fuori della scuola. L’esperienza di altri Paesi (a cominciare dalla Finlandia, il Paese che svetta nelle graduatorie internazionali) ha mostrato che l’impegno nella scuola, oltre l’orario delle lezioni, ha effetti positivi sull’evoluzione della competenza linguistica, sulla socializzazione e, in generale sull’apprendimento. Potrebbe essere superato l’attuale divario fra allievi che dispongono e quelli che non dispongono di opportunità educative integrative o sostitutive di quelle scolastiche.
L’Unità 20.01.13