«I poveri li avrete sempre con voi» dice il Vangelo di san Marco (14,7) e l’Istat dà sostanza numerica a questa verità consacrata, rilevando (l’ultima volta nel luglio scorso) che in questo paese c’è uno zoccolo duro di famiglie che proprio non ce la fa. Sono l’11,1% e il dato – salvo lievi oscillazioni – è costante negli ultimi anni. In termini assoluti significa che ci sono oltre 8 milioni di italiani (8 milioni 173 mila) che arrancano in una condizione di «povertà relativa», cioè campano in due con mille euro al mese. Poi ci sono quelli che stanno ancora peggio e vivono nella condizione che l’Istat definisce di «povertà assoluta» per i quali il reddito mensile è di 785 euro al mese, e sono il 5,2% delle famiglie, cioè 3 milioni e 400 mila italiani. Anche qui l’oscillazione numerica e percentuale è minima negli ultimi anni: chi non ce la fa, non ce la fa: in tutto quasi 12 milioni di persone. E basta. Ma la crisi non ha certo aiutato.
Il dato medio che l’Istat rileva, però, non ci dà il senso di questo disagio se non lo decliniamo per aree geografiche e per tipologia di persone. Lungo lo Stivale la situazione è, insomma, assai diversificata e – diciamolo subito – i poveri, in Italia, sono al Sud. Prendendo come esempio l’ultimo anno censito, il 2011, la sola povertà relativa (quella meno grave) riguardava 4 famiglie su 100 al Nord, 6 su 100 al Centro e quasi 24 su 100 al Sud.
Il Centro specie nelle realtà di provincia è prospero, solidale e l’incidenza della povertà – sia assoluta che relativa – è quasi solo fisiologica. Quella che c’è – peraltro – riguarda le periferie delle grandi aree urbane, Roma in primis. Per il Nord vale lo stesso discorso e, all’incirca, con gli stessi valori: i poveri sono nelle sacche di emarginazione urbana, mentre le piccole realtà conoscono una rete di protezione sociale e parentale che solo occasionalmente lascia qualcuno nell’indigenza estrema.
Se analizziamo, poi, la condizione sociale e personale di chi vive in povertà, troviamo uno spaccato di tutte le criticità italiane: se in casa arriva un solo reddito e a portarlo è una donna, questo è un handicap. Se sei povero e per giunta con un basso livello di istruzione, questo è un altro handicap. Se sei povero e vivi al Sud in una grande città, questo è un doppio handicap. Se sei povero con l’aggravante dell’età (sei vecchio) e della solitudine (vedovo, single, separato) questo è un triplice handicap.
Questo quadro è all’incirca sempre uguale dal 2006 ad oggi, ma negli ultimi anni sono cresciute numericamente le situazioni di criticità estrema che vanno oltre la mera povertà assoluta derivante dal basso reddito: parliamo di persone che non stanno più semplicemente male, ma sono finite sotto i ponti o in strada. L’Istat solo nel dicembre scorso ne ha censite circa 50 mila (47.648) e il 59,5% di questi è costituito da una nuova e inedita categoria di emarginati: i separati senza un adeguato reddito. Dare gli alimenti e spesso la casa all’ex moglie può voler dire ricorrere alla mensa della Caritas e, spesso, anche all’annesso dormitorio. Oppure vivere in macchina.
Discorso analogo per gli stranieri a cui basta perdere il lavoro per diventare homeless. Il dato allarmante è che tra i nuovi barboni 1 su sei ha meno di 40 anni (57,9%) e il 32% ne ha meno di 34: il prezzo più alto della crisi è constatare che i nuovi poveri sono i giovani.
La Stampa 20.01.13