Dopo il fondo monetario e l’ocse anche dalla Banca d’Italia è venuta la conferma che il 2013 sarà un anno molto difficile per l’economia italiana. Come si legge nel Bollettino economico pubblicato ieri, continuerà la fase recessiva con una diminuzione del Pil stimata intorno all’1%, e un percorso di crescita comincerà a delinearsi solo dalla fine di quest’anno. Sarà in grado di generare nel 2014 una modesta e timida ripresa, intorno allo 0,7 per cento, contornata da ampi margini di incertezza.
Anche il tasso di disoccupazione conti- nuerà ad aumentare oltre il 12% l’anno prossimo, per l’incremento, tra l’altro, delle persone in cerca di lavoro.
La diagnosi degli analisti di via Nazionale individua, non c’è dubbio, condizioni di salute della nostra economia davvero preoccupanti e tali da richiedere cure e interventi assai complessi e proiettati a medio termine. La perdurante fragilità della nostra economia è ovviamente imputabile a molteplici e complesse cause. Tra quelle più a breve, vanno certo messe in primo piano – come fa anche la Banca d’Italia – il perdurante stato di crisi dell’area euro e le severe politiche restrittive imposte ai Paesi fortemente indebitati come il nostro. Altrettanto determinanti, tuttavia, sono fattori di più lungo periodo, legati ai problemi strutturali della nostra economia. Si pensi all’enorme stock di debito pubblico, alla fragilità del sistema produttivo e della ricerca, alla carenza di infrastrutture, all’inefficienza del sistema di welfare e della Pubblica amministrazione, al dualismo territoriale, solo per sottolineare i più rilevanti.
Ora è opportuno e doveroso ricordare come tali fattori siano stati del tutto trascurati in tutti questi anni e in particolare nell’ultimo decennio, dominato pressoché interamente dai governi di centrodestra guidati da Silvio Berlusconi. Pressoché nulla venne fatto in quegli anni per fronteggiare le gravi carenze strutturali del sistema economico italiano né venne messa in campo alcuna efficace strategia di politica economica. Si arrivò così a sprecare del tutto quella fase storica dell’economia europea e globale (2001-2008) così favorevole in quanto caratterizzata da elevate dinamiche di crescita e bassi tassi d’interesse, anche perché allineati a quelli tedeschi. Una inerzia che è poi costata cara in termini di ulteriore forte indebolimento dei nostri fondamentali.
Il dato che meglio riassume questa debolezza è il negativo andamento, sempre in quegli anni, della produttività totale dei fattori, che esprime la capacità di un’economia di combinare in maniera efficiente la dotazione complessiva di capitale e lavoro e rappresenta l’ingrediente primo della crescita di un paese. Nell’intero periodo che va dal 2001 al 2011 l’indice segnala il costante e drammatico arretramento della nostra economia, ancora più preoccupante se confrontato con le performance dei nostri maggiori partner europei, che fecero registrare dinamiche della produttività totale dei fattori significativamente positive e di molto superiori – anche due o tre volte – a quelle del nostro Paese.
Sono dati di fatto e un’esperienza fallimentare che vanno oggi ricordati di fronte all’offerta politica, piena di slogan e vuota di contenuto, fatta in questa campagna elettorale da Berlusconi e dalle forze di centrodestra. Si basa su riduzioni impossibili delle imposte e tentativi vari di far dimenticare i cattivi governi del passato. Ma i cittadini italiani non meritano un simile trattamento. L’Italia e la sua economia hanno in realtà bisogno di voltare pagina. A differenza di altri Paesi, all’Italia non basterà certo tornare alla situazione precedente la grande crisi perché quegli anni, come abbiamo ricordato, sono tutti da dimenticare.
Qualunque sia il giudizio complessivo che si possa dare del governo Monti non vi è dubbio che esso abbia avuto il merito, certo non marginale, di averci evitato il baratro di un vero e proprio crack finanziario. Ma ora c’è bisogno di andare oltre l’emergenza. Occorre formulare nuove finalità di politica economica che sappiano innanzi tutto fronteggiare quelle carenze strutturali del Paese così a lungo trascurate e che sono alla base del ristagno e delle disuguaglianze nella nostra società. È necessaria un’opera di vera e propria ricostruzione. Il Paese possiede talenti e risorse in grado di sostenere questi cambiamenti. L’impegno che le forze progressiste e riformiste assumono in vista della nuova legislatura è di rendere possibile questo nuovo corso.
L’Unità 19.01.13