Messaggi rassicuranti alla Casa Bianca e ai mercati mondiali: Pier Luigi Bersani e Stefano Fassina a poco più di un mese dalle elezioni scelgono il primo il Washington Post e il secondo il Financial Time per dire che il Pd al governo sarebbe affidabile tanto quanto il professore della Bocconi che resta «interlocutore privilegiato». Assicurazioni anche sulle riforme, partire dal quelle del mercato del lavoro e delle pensioni, non farne tabula rasa ma «ritoccarle» sì.
Una scelta politica studiata a tavolino: parlare lo stesso giorno con due diverse interviste a osservatori molto attenti allo scenario politico italiano quali Barack Obama e i mercati finanziari, soprattutto ora che Silvio Berlusconi è tornato in scena e non intende avere un ruolo secondario. «I mercati non hanno nulla da temere, purché accettino la fine dei monopoli e delle posizioni dominati», spiega il leader del centrosinistra, aggiungendo che l’«austerità dei bilanci deve diventare una regola ma in combinazione a politiche di crescita. Noi confermiamo l’austerità ma va accompagnata da una intelligente politica di crescita. È una questione che le forze progressiste stanno discutendo, lo stesso Obama ha chiesto all’Europa che guardi in questa direzione». Stefano Fassina parla all’Europa e assicura: «Non rinegozieremo il fiscal compact o il pareggio di bilancio in Costituzione. Se agissimo unitaleralmente, danneggeremmo il progetto europeo. Noi vogliamo più spazio per una politica fiscale anticiclica, ma a livello europeo».
Il Pd punta a rassicurare le diplomazie internazionali ben sapendo quanto in considerazione sia tenuto il premier uscente e come una sua scesa in campo sia stata caldeggiata anche all’estero. Per questo il leader Pd spiega che in caso di vittoria del centrosinistra non ci sarà un taglio netto con le riforme Monti, «ne aggiungerei delle altre dice applicando o apportando dei correttivi alle sue riforme che, devo aggiungere, sono state condizionate da un parlamento la cui maggioranza era ancora nelle mani di Berlusconi».
Offrirebbe il Quirinale a Monti? chiede il giornalista. «Siamo aperti alla collaborazione la risposta-. Non allo scambio di favori, ma a un patto per le riforme e la ricostruzione del Paese». Il professore, che quando si reca negli studi di Porta a Porta, ospite di Vespa, ha letto l’intervista, dalla domanda sulla possibilità di un governo insieme a Vendola (e quindi al Pd) risponde: «Trovo questi temi interessanti ma prematuri». Aggiunge anche che punta a vincere, che non vuole fare la stampella di nessuno, che ascolterà Bersani e poi si vedrà. Ma al Nazareno notano il cambio dei toni, «da competitor, certo, ma rispettosi e non più aggressivi». E in politica si sa, sono le sfumature a contare.
Nella sua intervista il leader Pd parla dei primi atti che intende portare sul tavolo del governo, a partire da una legge sulla corruzione (tema a cui in Europa e negli States sono molto attenti, soprattutto per gli investimenti nel nostro Paese, ndr), a quella sui partiti fino al tema dei diritti civili dei lavoratori e delle coppie di fatto, etero e omosessuali, e alla cittadinanza per gli immigrati. «Legalità, moralità e diritti di cittadinanza sono la nostra missione», dice nel giorno in cui in Italia si torna a parlare del processo Ruby che vede coinvolto Berlusconi, delle liste con gli impresentabili attorno a cui il Pdl si sta annodando perché proprio alcuni impresentabili sono pacchi di voti sicuri e controllati in regioni come la Campania e la Sicilia. La stampa estera torna a parlarne con sgomento, preoccupazione, divertimento o sufficienza e il rischio è che la credibilità conquistata a fatica nell’ultimo anno vada di nuovo in soffitta. Non a caso l’intervistatore chiede proprio degli scontri tra Berlusconi e Monti. «Berlusconi risponde Bersani è stato il responsabile della caduta anticipata del governo Monti. E a Monti non è piaciuto neanche un po’. Noi abbiamo mantenuto la promessa di sostenere Monti fino all’ultimo, l’abbiamo mantenuta anche se non era facile. Così ora stiamo a guardare».
FRANCESCHINI-ORLANDO
Se il Pd resta a guardare lo scontro tra l’ex premier e quello uscente, tutta altra storia sul fronte elettorale. Ieri Dario Franceschini sulle pagine de l’Unità ha invitato l’ex pm Antonio Ingroia e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando a non presentare le proprie liste al Senato in Campania, Sicilia e Lombardia per non disperdere i voti del centrosinistra rischiano di aprire un’autostrada alla destra in Parlamento. Invito arrivato dopo che in realtà nei giorni scorsi c’erano stati già diversi contatti con Rivoluzione civile, su richiesta dello stesso Bersani, affinché si evitasse di frazionare il voto in quelle Regioni dove difficilmente gli arancioni potrebbero raggiungere l’8%.
Dura la reazione di Orlando: «Franceschini mi ha contattato questa mattina a nome del Pd e mi ha proposto un accordo di desistenza, cioè mi ha chiesto di non presentare le nostre liste in regioni chiave quali la Sicilia, la Campania e la Lombardia. Credo siano molto preoccupati per la continua crescita della nostra lista Rivoluzione civile». La risposta di Franceschini non si è fatta attendere: «Nessuna proposta di patto e nessuna desistenza. Ho fatto una semplice constatazione aritmetica più che politica: per come è fatta la legge elettorale al Senato, nelle regioni in bilico, come Lombardia, Sicilia e Campania, la presenza della Lista Ingroia rischia di far vincere la destra, rendendo il Senato ingovernabile». Secco Enrico Letta: «Nessuna trattativa, nessuna ambiguità». Sul punto Nichi Vendola fa sapere: «Non tocca a me decidere. Il leader della coalizione è Bersani», ma certo aprirebbe al dialogo.
L’Unità 15.01.13
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