attualità, politica italiana

"Quando la politica spettacolo", di Giovanni Valentini

Il boom degli ascolti registrato dall´ultima puntata di “Servizio Pubblico” con Silvio Berlusconi ospite d´onore stabilisce un record assoluto. Un record di ascolti, innanzitutto, per La 7 e più in generale per i talk-show. Ma anche un record per la telepolitica, per quella che si chiama in genere la politica-spettacolo. E di questo, sul piano tecnico e professionale, va dato atto a Michele Santoro. Ma a che cosa è servita, oltre che a fare “audience” e quindi a raccogliere pubblicità, quella trasmissione? Non è servita certamente a fare informazione né tantomeno informazione politica. È servita, appunto, a fare spettacolo: a vantaggio pressoché esclusivo dei due attori principali, interpreti e protagonisti di un “copione” non scritto, ma certamente non improvvisato e neppure tanto originale.
Chi non ha mai lavorato nei giornali o nelle tv di Berlusconi, e ha cominciato a segnalare il pericolo della sua concentrazione televisiva quando altri invece erano ancora alle sue dipendenze, può dire con estrema franchezza che questa volta a guadagnarci di più è stato proprio il Cavaliere. Da uomo di spettacolo più che uomo politico, ne è uscito vincitore. Non solo perché s´è difeso e ha contrattaccato con la disperata determinazione di chi sta giocando la partita decisiva. Ma anche perché è rimasto sul ring fino all´ultimo minuto, non s´è alzato dalla sedia come molti prevedevano e, forse, ha perfino incassato o fatto incassare ai suoi amici un bel gruzzolo di scommesse.
Alla fine, Berlusconi ha detto tutto quello che voleva dire, compresi gli insulti rivolti a Marco Travaglio e a tutti i giornalisti che rischiano l´accusa di diffamazione per cercare e scoprire le verità occulte. Ognuno, davanti al video, è rimasto convinto della propria opinione. E probabilmente l´elettorato di centrodestra allo sbando si sarà sentito gratificato, rinfrancato, galvanizzato dalla straordinaria “performance” del suo impavido leader, un eroe eponimo “senza macchia (?) e senza paura”.
Non confondiamo, allora, gli ascolti con i voti. L´audience con la politica. I talk-show non devono “divertire”: cioè – in senso etimologico – distrarre, distogliere, allontanare il pensiero o l´attenzione dai temi seri e complessi che riguardano la vita della collettività. E questo vale, in generale, per tutta l´informazione televisiva, tanto più nei periodi elettorali. A cominciare, naturalmente, dai telegiornali e dai giornali radio, fra cui si distinguono per equilibrio – secondo gli ultimi dati forniti dall´Autorità di garanzia sulle Comunicazioni – il Tg 2 diretto da Marcello Masi e i Gr della Rai diretti da Antonio Preziosi.
Per l´intero sistema televisivo, pubblico e privato, nazionale e locale, vige il regime di concessione che qui abbiamo richiamato tante volte per le reti Mediaset. Tutte le emittenti, infatti, utilizzano un bene comune come l´etere: e perciò, anche quelle che non incassano il canone e vivono di pubblicità, sono tenute a svolgere comunque un “servizio pubblico”; a rispettare il pluralismo dell´informazione e in particolare, durante la campagna elettorale, la “par condicio”.
In forza di una concentrazione abnorme di potere mediatico, a cui s´è aggiunto poi il conflitto d´interessi, Berlusconi controlla già direttamente una metà della tv in Italia. E indirettamente una parte dell´altra metà, attraverso i suoi emissari all´interno della Rai. Non è il caso, per fare spettacolo, di consegnargli anche quel poco che resta.

La Repubblica 12.01.13

******

“I dieci falsi del Cavaliere”, di MASSIMO GIANNINI

Senza verità non c´è democrazia. Non c´è bisogno di rievocare Anna Harendt, per capire quanto pesi l´irriducibile «incultura» democratica nella parabola di Silvio Berlusconi. Anche in questa sesta, titanica e disperata «discesa in campo», la verità raccontata dal Cavaliere agli italiani naufraga miseramente di fronte alla storia e alla cronaca. E com´è sempre accaduto nel corso di questi rovinosi diciassette anni, la sua propaganda politica affonda mestamente di fronte all´evidenza dei fatti. Come la manipolazione della realtà è stata il suo «metodo di governo», la menzogna è tuttora il format della sua campagna elettorale. Dagli ultimi due Truman show andati in onda sulla Rai a «Porta a Porta» e su La7 a «Servizio Pubblico», è possibile tracciare un «decalogo» delle falsità più clamorose. Le nuove, dieci bugie dell´imbonitore di Arcore. Afferma l´ex premier, per spiegare la drammatica caduta del suo governo nell´autunno di due anni fa: «Quello che è successo per farmi cadere è stata una congiura, nazionale e internazionale, e anche per la storia serve istituire un´indagine con una commissione d´inchiesta».
Nella fantasiosa ricostruzione «complottarda», Berlusconi non dice mai il vero, unico motivo che l´ha costretto alle dimissioni: l´8 novembre 2011 il suo governo cade di fatto alla Camera, dove il Rendiconto generale dello Stato passa con appena 308 sì, rispetto ai 316 del voto di fiducia. Lui stesso, allora, commenta: «Mi dimetto, per colpa di otto traditori». Nessuna «congiura», dunque. Semplicemente, la maggioranza di centrodestra si è sfasciata.

LO SGAMBETTO
TEDESCO SUGLI SPREAD

Nella teoria del complotto, il Cavaliere chiama in causa anche i «nemici» tedeschi: «A innescare l´impennata dello spread fu la Bundesbank, che a luglio diede ordine a tutte le banche tedesche di vendere i Btp italiani».
Non è vero, e lo stesso leader del Pdl si è dovuto in parte correggere. La banca centrale tedesca è del tutto estranea ai movimenti sui titoli di Stato. Ad alleggerire le posizioni in Btp è la Deutsche Bank, banca privata, che vende titoli pubblici sul mercato secondario nell´aprile 2011, cioè tre mesi prima che in Italia si profili lo spettro del default sul debito sovrano.

L´ITALIA È FORTE,
LA CRISI NON ESISTE

Nei suoi ultimi tre anni di governo, l´ex presidente del Consiglio nega fino al paradosso l´esistenza della crisi e della recessione. A maggio 2009 dichiara: «Il momento peggiore è passato, ci sono chiari segni di miglioramento». Al G20 di Cannes, il 4 novembre 2011, in piena tempesta europea sull´Italia, aggiunge: «Siamo un´economia forte, la terza del mondo. Il nostro stile di vita è quello di un Paese benestante, i consumi non diminuiscono, i ristoranti sono pieni, negli aerei non si riesce a prenotare».
Era falso già nel 2009: per Eurostat allora il Pil italiano crolla del 5,5%. È ancora più falso nel 2011: la Borsa di Milano cede in un anno il 25,6%, secondo Confcommercio chiudono 9 mila ristoranti, l´Istat certifica un -16,5% nei viaggi aerei. Non è tutto. Giovedì scorso, da Santoro, Berlusconi insiste: «Non devo chiedere scusa, non annetto nessuna responsabilità al mio governo nella crisi, e confermo tutto quello che dissi nel 2009: la crisi finanziaria è esplosa due anni dopo». Appunto: il suo leggendario «discorso sui ristoranti pieni» non è del 2009, ma dell´autunno 2011. A crisi già drammaticamente deflagrata.

LA BATTAGLIA
SULL´IMU

Per giustificare la feroce campagna contro Mario Monti sull´Imu, Berlusconi ricorda: «Non è in questa direzione che doveva andare l´Imu. Doveva comprendere tutte le imposte locali, e colpire gli immobili ma non la prima casa che per noi è sacra. Abbiamo fatto tutti i tentativi per farla cambiare, ma non ci siamo riusciti».
Anche questa è una mezza menzogna. Intanto l´Imu fu introdotta comunque dal suo governo, con il decreto legislativo numero 23 del 14 marzo 2011. E in ogni caso, mentre risulta un pacchetto di emendamenti presentati nel corso dell´iter parlamentare, nessuna contrarietà è mai stata manifestata dal segretario del Pdl Alfano, durante i tre vertici con Monti e Bersani che portano, nel dicembre 2011, al varo del decreto Salva-Italia. Se battaglia c´è stata, non è apparsa così «convinta».

LA LOTTA CONTRO
L´EVASIONE FISCALE

È la più falsa, nel gioco delle tre carte del Cavaliere. Mercoledì scorso, nel salotto di Vespa, declama: «Non ho mai sostenuto l´evasione fiscale. Lei sta parlando al presidente del Consiglio che ha combattuto di più l´evasione fiscale».
È vero l´esatto contrario. Già nel 2004, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, definisce «moralmente autorizzati» gli evasori ai quali «lo Stato avanza la richiesta scorretta superiore al 50%». E mercoledì scorso, sempre da Vespa, lo ripete: «C´è un clima di terrore per colpa di Equitalia… È moralmente accettabile non pagare tasse ingiuste». Non solo. Il primo atto del suo ultimo governo, nel giugno 2008, è la legge che azzera la norma sulla «tracciabilità» introdotta dal governo di centrosinistra: il limite all´uso del contante, fissato da Prodi in 100 euro, viene alzato a 12.500 euro. Gli evasori ringraziano. Non a caso, tre anni dopo, lo stesso Tremonti deve fare retromarcia, e riportare il limite a 500 euro. Ma ormai è troppo tardi.

IL FALSO PROBLEMA
DEL DEBITO PUBBLICO

«Il nostro debito pubblico è un falso problema – sentenzia il leader azzurro da Santoro – perché intanto bisogna considerare che a fronte di questo debito c´è un´attivo infinitamente più grande, e poi in rapporto al Pil bisogna considerare l´economia sommersa».
La teoria è stravagante. La bugia è provata: l´Istat, nel quantificare il Prodotto interno lordo, tiene conto del sommerso già dal 1987, per una quota pari al 17%.

IN ITALIA NON SI POSSONO
FARE I DECRETI

Per articolare il suggestivo «movente» che spiega la necessità di una «profonda riforma della nostra architettura politico-istituzionale», Berlusconi a «Servizio Pubblico» afferma: «L´Italia è ingovernabile. Da noi il governo, al contrario di quello che accade in tutti i Paesi occidentali, non può intervenire con lo strumento del decreto legge, immediatamente esecutivo, ma solo con i disegni di legge, che hanno tempi di approvazione tra i 450 e i 600 giorni».
È l´ultima «invenzione» della settimana, la più folkloristica. Nella Storia repubblicana, il Berlusconi III della legislatura 2001/2006 vanta il record assoluto nel ricorso ai decreti legge (di vigenza immediata e da convertire entro 60 giorni) nel solo primo anno di governo: ben 54. Nel primo anno del Berlusconi IV, il Cavaliere presenta e fa approvare 34 decreti legge, dal salvataggio Alitalia ai rifiuti in Campania. Nell´intero arco dell´ultima legislatura, cioè nei 42 mesi che corrono tra il 2008 e il 2011, il suo governo presenta e fa approvare 80 decreti legge.
MAI PAGATO UNA DONNA
PER FARE L´AMORE

Di fronte alle domande rimaste sempre senza risposta sui suoi rapporti con Noemi Letizia, Ruby Rubacuori, le Olgettine e i soldi erogati a Barbara Matera fino alla sua candidatura alle elezioni europee, il Cavaliere giura: «Non ho mai pagato una donna per fare l´amore».
In realtà, la «letteratura» giudiziaria e processuale sulle escort a disposizione dell´ex presidente del Consiglio nelle «serate eleganti» di Palazzo Grazioli, Arcore e Villa Certosa, è veramente infinita. Agli atti dell´inchiesta di Napoli sulla presunta estorsione di Tarantini e Lavitola nei suoi confronti, il procacciatore di donne barese parla al telefono delle ragazze che porta ogni fine settimane a casa del Cavaliere: «Berlusconi le ha sistemate tutte. Sabina Began (la famose “Ape Regina”) si è sistemata per tutta la vita…». Nell´inchiesta barese, innescata dalle rivelazioni di Patrizia D´Addario, quest´ultima il 5 novembre 2009 al telefono con Tarantini dice: «Stanotte con Silvio non abbiamo chiuso occhio. È andata bene, ma niente busta però. Come mai? Mi avevi detto che c´era una busta…». Presso il tribunale di Milano, infine, pende ancora il giudizio sul caso Ruby, dove Berlusconi è imputato per prostituzione minorile.

SU RUBY DIFFAMAZIONE
SENZA PARI

Proprio il processo Ruby è per l´ex premier il nodo più intricato. A «Otto e mezzo» si difende: «C´è stata una diffamazione senza pari. Non ho mai detto che era la nipote di Mubarak… E non è vero che la Camera ha approvato una mozione che diceva che Ruby era la nipote di Mubarak».
Qui la manomissione del reale diventa impudenza esistenziale. Negli atti del processo milanese nei suoi confronti esiste il verbale della telefonata che l´allora capo del governo fa la notte del 27 maggio 2010 al funzionario della Questura Pietro Ostuni: «Dottore, volevo confermarle che conosciamo questa ragazza, soprattutto spiegarle che ci è stata segnalata come la nipote del presidente egiziano Mubarak». Quanto al voto parlamentare, il 3 febbraio 2011 la maggioranza di centrodestra si impone alla Camera, negando le perquisizioni richieste per il Rubygate e riconoscendo l´incompetenza della procura di Milano, con una mozione che si basa sul seguente assunto formale, e surreale: «Il presidente del Consiglio era realmente convinto che la ragazza fosse nipote di Mubarak».

LA SCHIAVITÙ
DEL TELEFONINO

Il Cavaliere detesta i cellulari. Lo assicura a «Servizio Pubblico»: «Non ho il telefonino, mi priva della libertà e non mi lascia lavorare».
È la frottola più «lieve», ma se vogliamo la più simbolica. Lo dice, negli studi di Santoro, poco dopo il servizio televisivo, ormai celebre in tutto il mondo, che lo ritrae al cellulare a passeggio sul lungofiume di Baden Baden, mentre la Merkel lo aspetta inutilmente per il vertice internazionale che deve nominare Rassmussen segretario della Nato. E agli atti del processo Tarantini-Lavitola fioccano ovunque telefonini e schede telefoniche, in uso all´ex presidente del Consiglio. Spesso non intestati a lui, ma a oscuri trafficanti sudamericani. Il telefono è la sua voce, ma anche la sua croce.

La Repubblica 12.01.13