C’è una «lepre da smacchiare», visto che la pratica «giaguaro» è ormai stata archiviata. Pier Luigi Bersani attinge alle sue note metafore per dire dagli studi di SkyTg24 che il Pd corre avanti e gli altri sono costretti a stargli dietro, ma quando si tratta di parlare a Mario Monti va dritto al punto: «Deve dirci contro chi combatte. Deve dirci da che parte sta. Va bene tutto quello che sta facendo ma se poi, alla fine, queste mosse servono per togliere le castagne dal fuoco a Berlusconi e alla Lega, allora qualcuno dovrà risponderne».
Evidente il riferimento alla candidatura a cui sta pensando il Professore di Gabriele Albertini al Senato e alla Regione in quella Lombardia così importante per assicurarsi la maggioranza a Palazzo Madama. Il leader del centrosinistra ribadisce quanto poche ore prima il suo vice al Nazareno, Enrico Letta ha detto sul futuro: dopo le elezioni il Pd guarderà ai centromontisti perché «quello che penso lo dico da tre anni: alleanza dei progressisti e poi dialogo con tutte le forze riformiste, europeiste, antipopuliste». E se il professore ha mandato in soffitta l’aplomb che lo ha distinto durante la fase del governo tecnico, Bersani avvisa: «Quando vai in politica tante ne dici e tante te ne senti dire. Ora Monti è sceso in politica e penso ci sia il diritto da parte nostra di rispondere a delle accuse. Non intendo essere aggressivo, ma non accetto accuse non vere». Alla domanda se è vero che non esiste più destra e sinistra, come sostiene il premier uscente, il segretario Pd replica: «Lo andasse a dire in Europa, verrebbe visto come un marziano. In tutta Europa esiste un centrosinistra e un centrodestra».
Dunque, ferma restando la stima e la correttezza, non sarà certo il Pd a fare sconti al premier dimissionario neanche in vista di quell’accordo post-elettorale che potrebbe rivelarsi fondamentale dopo le elezioni, malgrado il segretario sia ottimista sui risultati elettorali. Il Pd punta a concentrare proprio su Lombardia, Sicilia e Campania, lo sforzo dei militanti e dei candidati per cercare di assicurarsi la maggioranza: in Campania l’insidia arriva dagli arancioni di Ingroia, mentre in Lombardia e in Sicilia dal rinnovato patto Pdl-Lega. Bersani, spiega, confida negli italiani, nel fatto che il Pd fa quello che dice, «dal sostegno leale al governo Monti,alle primarie per la scelta dei parlamentari. In due ore abbiamo fatto le liste, siamo stati i primi a presentarle; avremo il 75% di parlamentari eletti tramite il meccanismo delle primarie con una quota femminile del 40%. Questa è la vera rivoluzione. Il Pd è alternativo a tutto quello che si è visto negli ultimi 20 anni. Sarò l’unico che non metterà il proprio nome sul simbolo». Non teme Silvio Berlusconi, «è un combattente», dice, ma «non scommetterei su di lui». Pronto anche ad un confronto a tre con Monti e il Cavaliere, «una bella rimpatriata».
Idee chiare sulla squadra di governo: «sarà un mix» di facce nuove e esperienza, maturata con l’«apprendistato» nei governi locali, sorvola sul ministro del Lavoro. Fassina o Dell’Aringa? «Magari ho in mente un altro nome». Sul programma di governo dice che non si può raccontare «che gli asini volano», né per il lavoro, né per l’economia. Il 2013 sarà un anno difficile, anche «per la finanza pubblica», ma il Pd ha in mente misure per la crescita, correttivi per la riforma Fornero perché oggi stabilizzare il lavoro ancora non costa meno del lavoro precario, sull’Imu progressione dell’imposta, più bassa per i ceti medio-bassi, più alta per i patrimoni più consistenti; riorganizzazione delle aliquote fiscali, con alleggerimento di quelle più basse e aumento di quelle più alte. Ma prima di tutto, dice, bisogna pensare «al tasso di fedeltà e trasparenza fiscale».
Se si è pentito di aver piazzato Papa Giovanni XXIII° nel Pantheon ideale? Per niente, se si vanno a vedere gli appunti di quando «scrisse pacem in terris, lui osò scrivere che la donna era uguale all’uomo. Gli arrivò una reprimenda in un messaggio da parte del Sant’Uffizio». Il Papa, ricorda Bersani, «a fianco ai suoi appunti scrisse a mano “pazienza”». «Un riformista, che cambiava rasserenando», per questo l’ha messo nel suo Pantheon.
Un cruccio? Riguarda la sua segretaria, Zoia Veronesi, finita sotto inchiesta. «Ho sofferto moltissimo. È per causa mia, mia, perché è la mia segretaria, che è stata sottoposta a tutto questo».
L’Unità 10.01.13
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