attualità, cultura, politica italiana

"L’assessore padano razzista da curva", di Gad Lerner

Non c’è luogo più adatto dello stadio di Busto Arsizio per misurare quant’è sgangherata l’ennesima riedizione del patto elettorale fra il Pdl e la Lega, destinato a sciogliersi già il 25 febbraio prossimo all’indomani del voto. Mentre i milanisti Berlusconi e Maroni lodavano la protesta di Boateng e dei suoi compagni di squadra contro gli ululati della curva, la polizia scopriva che tra quegli energumeni si agitava un assessore comunale della Lega, tale Riccardo Grittini.Grittini è un giovane padano seguace delle teorie xenofobe del suo maestro di pensiero Matteo Salvini. Quello, per intenderci, che nel 2009 proponeva l’apartheid sui vagoni della metropolitana milanese per i non residenti; e che ciò non di meno Maroni ha voluto al fianco come capo della Lega Lombarda. Non stiamo parlando di singole pecore nere, ma di militanti bene inseriti nel movimento, del quale esprimono l’ideologia.
Non sarà certo uno scrupolo di civiltà a frenare il patron del Milan, intento a limitare i danni della sua rovinosa caduta di credibilità morale e politica. Berlusconi ha scommesso sull’analoga difficoltà del suo partner Maroni, alle prese con la passione per i rimborsi spese dei leghisti eletti in Parlamento e nei Consigli regionali. Altro che ramazza verde. Per ripulire la politica loro al Senato preferivano acquistare lavatrici a sbafo; mentre in Lombardia facevano la cresta su tutto, dai banchetti nuziali ai singoli caffè. Figuriamoci se da quelle parti il razzismo possa costituire un discrimine insormontabile solo perché colpisce dei giocatori di colore del Milan, dopo un ventennio in cui hanno considerato redditizio legittimarlo dall’alto del potere, iniettando il veleno dell’odio nella loro base sociale.
Per convincere l’elettorato leghista a turarsi il naso e rivotare la coalizione guidata da Berlusconi, adesso Maroni ricorre a un nuovo esercizio di fantasia: la macroregione del Nord che sorgerebbe grazie alla sua vittoria in Lombardia, anello di congiunzione con il Veneto di Zaia e il Piemonte di Cota. Dopo la secessione e l’indipendenza, dopo la devolution e il federalismo, dopo la Padania e le altre nazionalità posticce, quest’ultima formula magica nordista si presenta per quel che è: una superstizione priva di fondamento storico e culturale per incantare i creduloni, visti gli esiti nefasti delle promesse del passato.
Il fatto che Berlusconi sottoscriva questo accordo rinunciando alla candidatura a premier testimonia solo quanto egli stesso consideri remota l’eventualità di una vittoria. Più modestamente avverte il bisogno di farsi scudo con un congruo numero di corazzieri nel nuovo Parlamento, a tutela della sua immunità giudiziaria e proprietaria. Per conseguire tale obiettivo irrinunciabile non conosce altra strada che il ritorno al forzaleghismo, con la ruota di scorta di La Russa e dei clan meridionali rimastigli fedeli dopo la sconfitta in Sicilia.
Ma il calcolo di asserragliarsi nella ridotta settentrionale, a costo di sottoscrivere una impossibile politica fiscale separatista che lo penalizzerà al Sud, non tiene conto di uno scomodo dato di realtà: è proprio da Milano e dalla Lombardia che ha preso le mosse il fenomeno di rigetto del forzaleghismo. Sono le forze sociali che vent’anni fa aderirono al progetto antipolitico e populista dell’asse Berlusconi-Bossi quelle che oggi vivono più intensamente il disincanto del suo fallimento. Qui è crollato fragorosamente il sistema di interessi economici e il blocco culturale impersonato da Formigoni. Se anche, come pare, il Celeste fosse pronto a rimangiarsi con disinvoltura l’appoggio promesso a Gabriele Albertini, pur di garantirsi un provvidenziale seggio al Senato, è verosimile che gli elettori di Comunione e Liberazione si orientino piuttosto verso la novità Monti. Per loro il forzaleghismo ha perduto la forza attrattiva, insieme allo smalto modernizzatore. Né potranno essere un Alfano o un Tremonti a resuscitarlo.
La rinuncia di Maroni a tentare una partita autonoma su scala nazionale, improvvisando l’anacronistica candidatura di Tremonti a Palazzo Chigi, conferma che il leader della Lega sta giocando disperatamente il tutto per tutto. L’ambizioso segretario veneto Tosi asseconda senza convinzione il sostegno fornito al Berlusconi decadente. Perciò una vittoriosa riscossa civica di Umberto Ambrosoli contro la destra lombarda che si divide fra Maroni e Albertini, avrebbe anche l’effetto di determinare la fine del movimento leghista così come l’abbiamo conosciuto. L’alleanza di malavoglia fra Berlusconi e Maroni reca una data di scadenza ravvicinata, per volontà dei suoi stessi sostenitori.
Sul campo di calcio di Busto Arsizio il sacrosanto scatto d’ira di Boateng ha rivelato come la destra non riesca tuttora a contenere le pulsioni reazionarie che si agitano al suo interno, sebbene le riconosca impresentabili. In una società matura queste manifestazioni d’inciviltà sono per fortuna ridotte a fenomeno minoritario. I capipopolo che per vent’anni le hanno coltivate, promuovendo assessori i teppisti da stadio e gli affaristi, ora si aggrappano l’uno all’altro nella vana speranza di continuare la recita. Altro che macroregione del Nord, il loro futuro si giocherà nei campetti di provincia.

La Repubblica 08.01.13