Dopo la presentazione del simbolo e l’ufficialità della «lista Monti», i sondaggi realizzati da Tecné per Sky Tg24 registrano una crescita dei consensi per il premier uscente. Se l’aumento sia determinato prevalentemente dall’annuncio oppure abbia un carattere «strutturale», si vedrà nei prossimi giorni. Allo stato, tuttavia, quasi 26 punti separano la coalizione di Monti da quella di Bersani e 11 la dividono da quella guidata da Berlusconi. Distanze molto ampie. E forse anche per questo, Pier Ferdinando Casini e il premier uscente hanno dichiarato che destra e sinistra sono categorie politiche superate, cercando di rovesciare i termini di un confronto che, lasciato sul piano bipolare tradizionale, confinerebbe l’area di «centro» in uno spazio politico ristretto.
Ma le posizioni di Casini e Monti derivano da una scelta di strategia elettorale, oppure destra e sinistra sono veramente concetti superati? Per quasi cinquant’anni le vicende politiche dell’Italia hanno posto uno di fronte l’altro Dc e Pci, interpreti di visioni e interpretazioni diverse della società e dei suoi bisogni. Negli ultimi vent’anni il confronto è stato tra il centrosinistra a trazione ulivista-Pd e il centrodestra interpretato da Silvio Berlusconi. Un bipolarismo sicuramente diverso da quello che lo aveva preceduto, ma che faceva comunque riferimento ad agende politiche alternative e a una diversa gerarchia delle priorità sociali ed economiche. Per i cittadini gli uni erano la sinistra, gli altri la destra. Sono categorie politiche che provengono dal Novecento ma che tuttora conservano una loro forza.
Per la grande maggioranza delle persone destra e sinistra hanno ancora un significato che esprime differenze che hanno a che fare con la visione dei diritti e dei doveri, con la concezione del futuro, con una certa idea della storia e delle tradizioni, con la gerarchia dei valori e dei bisogni. Norberto Bobbio, in uno dei suoi più celebri saggi, scriveva che di fronte all’idea di eguaglianza, destra e sinistra operano su piani diversi. Non è di sinistra solo chi sostiene il principio che tutti gli uomini devono essere uguali, ma anche coloro che, pur riconoscendo le diversità, ritengono più importante ciò che li accomuna. Al contrario, gli inegualitari sono coloro che ritengono più importante, per attuare una buona convivenza, promuovere le diversità.
Le differenze tra destra e sinistra, naturalmente, non si esauriscono intorno al concetto di eguaglianza, ma si ritrovano anche in altri significati. Per esempio nell’idea di «luogo» e di «tempo». Come ci ricorda Marcello Veneziani, infatti, l’uomo di destra si considera prevalentemente «figlio di un luogo» segno di continuità, di trasmissione di principi superiori al mutamento; l’uomo di sinistra, invece, si considera «figlio di un tempo», protagonista di un’epoca e di una generazione. E mentre il primo coltiva l’idea di «governo del luogo e della tradizione», il secondo promuove il «governo del tempo» e delle sue trasformazioni.
Nell’opinione pubblica, destra e sinistra conservano il senso di un’identità collettiva. Forse proprio per ridurre questa forza evocatrice che allo stesso tempo è sociale e politica i leader centristi contestano il concetto di «destra e sinistra». L’idea non è nuova e si accompagna a quella retorica che si esercita periodicamente a celebrare il declino delle «classi sociali», ritenendole inadeguate a cogliere l’essenza delle trasformazioni che attraversano le società globalizzate.
Ad alimentare il mito della fine delle «classi» certamente hanno contribuito le trasformazioni che hanno riguardato la struttura economica e sociale, con la vorticosa terziarizzazione dell’occupazione, che ha segnato il declino dei settori industriali con più alta occupazione operaia. Si pensi alla siderurgia, alla cantieristica navale, ai porti, alle miniere, al settore auto. Ma se c’è necessità di una nuova griglia interpretativa, capace di cogliere i paradigmi della nuova società, i suoi nuovi perimetri e le sue nuove istanze, questo non significa che non esistano più le classi sociali, né che non ci siano più politiche di destra e politiche di sinistra. D’altronde, le «classi» non descrivono solo una posizione gerarchica riferita all’occupazione e al reddito, non sono semplicemente un oggetto o un’unità di misura, bensì rappresentano un sistema complesso di relazioni, in grado di esprimersi anche (ma non solo) sul terreno del comportamento di voto.
Come molti studi, a livello internazionale, hanno recentemente dimostrato, la collocazione sociale continua a essere centrale nell’interpretazione degli orientamenti politici, tanto che la «scelta di classe» non si orienta solo su un partito ma ruota anche (soprattutto) intorno all’opzione della partecipazione elettorale vera e propria.
Un esempio, in questo senso, è rappresentato proprio dall’Italia. Nel nostro Paese la partecipazione al voto è stata sempre alta, ma negli ultimi vent’anni la quota di voti inespressi è cresciuta in maniera costante e la composizione sociale dell’astensionismo si è andata sempre più caratterizzando da cittadini con bassa scolarizzazione e relativa marginalità nel mercato del lavoro.
Il ruolo delle «classi sociali», anche se mutato rispetto al passato, quindi, non è scomparso né attenuato. Al contrario, di fronte all’incalzare della crisi sociale ed economica, si sta riproponendo con forza come perimetro delle domande che emergono dalla società. Domande rispetto alle quali la politica è chiamata a dare le sue risposte.
Più di quanto sia stato in anni recenti, «destra e sinistra» sono coordinate che collocano, su un piano o sull’altro, un certo tipo di problema e un certo tipo di risposta, che corrispondono a scale di priorità diverse. Sotto questo punto di vista la distanza tra Bersani e Monti è più ampia di quanto appaia a prima vista. Perché Bersani è riferimento di figure sociali che si esprimono anche attraverso il voto, come dimostrano i dati dell’indagine Tecné per Sky Tg24. E la stessa cosa vale per Berlusconi, Grillo, Ingroia. E per lo stesso Monti. Nel momento in cui, a gruppi sociali diversi (come i lavoratori dipendenti o i disoccupati) corrisponde un comportamento politico diverso, più orientato a destra o, al contrario a sinistra, come si può dire che destra e sinistra sono categorie superate?
Sicuramente non lo sono per gli elettori. Semmai uno dei problemi del nostro sistema politico riguarda proprio la progressiva attenuazione delle differenze, che c’è stata negli ultimi anni, che ha reso i partiti troppo simili tra loro. E, quindi, indistinguibili. Oggi, la sfida è anche quella di far tornare la politica a essere agenzia di senso. E per fare questo la presunta equidistanza o il superamento dei termini «destra e sinistra», non aiuta a comprendere e a scegliere.
L’Unità 07.01.13