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"Ilva in mezzo al guado. Lavoro e stipendi a rischio", di Marco Tedeschi

Il caso Ilva torna in mezzo al guado. Lavoro e stipendi sono a rischio. Adesso che la Procura ha detto no al dissequestro di coils e lamiere e quindi respinto l’istanza che gli avvocati dell’Ilva avevano presentato in base alla legge approvata dal Parlamento prima di Natale, la situazione del complesso siderurgico di Taranto si complica di nuovo e rischia di diventare di difficile soluzione, con la nascita di nuove tensioni. Il no dei pm, al quale farà presumibilmente seguito nei prossimi giorni anche quello del gip Patrizia Todisco, rimette in discussione un percorso che governo, azienda e sindacati ritenevano di aver stabilizzato. La legge, la numero 231 del 24 dicembre scorso pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale», stabilisce infatti che l’Ilva possa continuare la produzione per un periodo di 36 mesi il tempo fissato dall’Aia per la messa a norma della fabbrica e anche commercializzare i prodotti finiti realizzati prima del 3 dicembre scorso, giorno in cui è stato pubblicato il decreto n. 207 da cui è poi nata la legge n. 231. I magistrati, però, nelle settimane scorse hanno reimmesso l’Ilva nel possesso degli impianti dell’area a caldo, consentendo quindi alla fabbrica di produrre, mentre ieri hanno detto no al dissequestro di un milione e settecentomila tonnellate fra coils e lamiere il cui valore commerciale è di un miliardo di euro. Nessuna anomalia, rilevano fonti di Palazzo di Giustizia, fra quanto deciso per gli impianti e quanto invece deciso per i prodotti finiti e i semilavorati. L’ALLARME Già domani i sindacati chiederanno all’ Ilva un incontro per capire che intende fare ora che la Procura ha bloccato il dissequestro di semilavorati e prodotti finiti. «Con la legge commenta Franco Castronuovo della Fim Cisl pensavamo che si andasse verso un graduale sblocco dell’area a freddo del siderurgico, invece questa prospettiva resta ancora molto incerta». Crisi di mercato e stretta giudiziaria: l’area a freddo dell’Ilva, sottolinea il sindacato, sta attraversando un momento difficilissimo. «Esclusi i treni nastri 1 e 2 che stanno lavorando e nemmeno al massimo continua Castronuovo tutto il resto dell’area a freddo è praticamente fermo. Parliamo dei tubifici 1 e 2, del treno lamiere, della produzione lamiere, dei rivestimenti, dell’Erw dove si producono i tubi di piccolo diametro. In seria difficoltà anche la finitura nastri, dove c’è solo qualche attività. Parliamo di almeno 3mila persone coinvolte». Questi lavoratori, dicono i sindacati, sono inattivi da diverse settimane «e sono tra ferie residue e cassa integrazione ordinaria per crisi di mercato». Questa è stata attivata dall’Ilva, per un periodo di 13 settimane, a fronte della mancanza di ordini di lavoro. In seguito, a fine novembre, sull’area a freddo si sono scaricati anche gli effetti del sequestro di coils e lamiere «che hanno ulteriormente complicato la situazione. Per questo ultimo problema l’Ilva aveva chiesto la cassa integrazione in deroga, che però non è stata materialmente attivata in quanto l’azienda non ha presentato formale richiesta. Da quel che ci risulta, l’Ilva adesso dovrebbe rifare la richiesta di cassa in deroga. Vedremo, certo che la situazione è molto difficile». Circa il possibile slittamento degli stipendi, che dovrebbero essere pagati il 12 gennaio, i sindacati sono sensibili alle preoccupazioni che circolano nei reparti della fabbrica ma dicono che di ufficiale non c’è nulla. Anzi, l’azienda avrebbe garantito il pagamento forse con uno o due giorni di anticipo poichè il 12 gennaio cade di sabato. Il fatto che sino a questo momento si dica che non ci sono problemi per gli stipendi, non vuol dire che non ce ne possano essere e i lavoratori sono molto preoccupati. A dicembre proprio a causa della crisi di liquidità aggravata dal contemporaneo calo degli ordini e dal blocco delle merci, l’azienda del gruppo Riva ha pagato con quattro giorni di ritardo le tredicesime, corrisposte alla vigilia di Natale anzichè il 20 dicembre.

06.01.13