I capelli imbiancati su un viso da ragazzo come un Gianni Morandi senza tinture, finto vecchio e finto giovane come i lesti gregari delle favole che sono i complici-registi di tutti i draghi e di tutti i nostri animalitotem: la Balena, il Caimano e Monti, che è ancora in cerca di zoologia ma è forse l’Ippogrifo, il cavallo alato che riportò il senno all’Orlando, furioso come l’Italia.
Di sicuro, Casini ritrova con Monti quel Forlani che fu il suo “miglior fabbro”, il solo maestro che non ha mai tradito, il galantuomo gommoso, il coniglio mannaro della Dc. Monti somiglia a Forlani persino fisicamente, la stessa figura sobria, un elegante corpo senza fatica da Signor Veneranda, garbato e puntuto anche nel linguaggio doroteo che fu inventato appunto da Forlani: «Potrei andare avanti per ore» ironizzava di sé. Certo Monti è un “Forlani international” con le competenze di economia che nella vecchia Dc erano limitate al parastato. Casini comunque è abituato a riverire e a imbrigliare questa antropologia sin dai tempi in cui a me, cronista ancora giovane, diceva «guarda cosa farò dire questa sera in tv a Forlani» che era allora il segretario della Dc, vale a dire l’uomo più potente d’Italia, e però con Casini che lo serviva da segretario non si capiva chi tra loro due era il Segretario e chi il segretario del Segretario.
E difatti con la Balena, Pierferdinando esordì non come comparsa nascosta tra le quinte, ma come attor giovane subito alla ribalta. Poi venne appunto il Caimano, con cui Casini si traghettò dal disastro di Tangentopoli al “Polo del buon governo”, diventando accanto a Berlusconi e a Fini una delle punte del famoso, sciagurato Tridente. E ora tocca a Monti che i giornali della destra raccontano come l’ambizioso ma ingenuo leader nelle mani appunto del puparo, del Casini stratega, del servo-padrone: «Monti si candida a vice di Casini» è il titolone di prima pagina di Libero di ieri.
Ed è però una semplificazione perché la dialettica tra il Sancho Panza Casini e il Monti Don Chisciotte è molto più complessa ed è appena all’inizio, anche se tutto si concluderà in pochissimi mesi. Caricato di crisma e carisma, Monti-Chisciotte ascende al rango della Cavalleria, cioè della Politica, per riparare i torti che essa ha subito e restituirle l’onore, cacciare la casta dal tempio, sconfiggere il debito e lo spread, erigere fortezze alla virtù. Sancho-Casini non lo contraddice mai: «Siamo da sempre i più leali con lui», «Rispetteremo le sue decisioni quali che siano», «Sceglieremo noi i nostri candidati ma ci sottoporremo volentieri all’esame di Bondi», il fedele tagliatore di teste di Monti che anche per Casini farà il lavoro sporco, e solo in un romanzo italiano poteva chiamarsi Bondi come il Sandro fedele a Berlusconi.
Come il Sancho di Cervantes, Casini è dunque il servitore interessato non perché servendolo lo domina, ma perché solo così può sognarsi re di un’isola e intanto lucrare voti come nel romanzo ruba banchetti
e donzelle. L’Udc era infatti ridotto a una miseria proprio come il raccolto andato a male del contadino Sancho prima dell’incontro con “il cavaliere dalla trista figura”. E anche Casini è emerso dal sottoscala dell’irrilevanza: tutti gli altri uomini che, alla sua destra o alla sua sinistra, condivisero il suo passato sono ormai senza futuro, pensionati e dimenticati.
E invece Casini ieri mattina, con una conferenza stampa al galoppo, ha di nuovo esibito il piglio del leader, e finalmente da socio di maggioranza di una coalizione dove la fa padrone: «Viaggiava Sancho Panza sopra il suo asino come un patriarca, colle bisacce in groppa e la borraccia all’arcione, e con un gran desiderio di diventare governatore dell’isola che il padrone gli aveva promesso». E aspetta che Monti-Chisciotte sbatta la testa sulla dura realtà, non gli dice che i giganti sono le pale di un mulino e che la sua Dulcinea, il Centro «a vocazione maggioritaria» cui dedica la tenzone cortese, è in realtà una meretrice, fatta con il Fli di Fini, l’Italia Futura di Montezemolo, l’Udc di Cesa e Buttiglione.
Corrado Passera, che ha visto Casini all’opera, non in un agguato ma in un vero confronto politico, ha percepito il ritorno di uno stile. E ieri mattina infatti un dettaglio ha rivelato la scuola di Casini, il getto vegetale d’antica pianta: «Una lite con Passera? Mi viene da ridere». Solo Casini poteva pubblicamente chiamare «amico» e «grande amico» l’uomo che aveva appena costretto alla resa, come nelle sceneggiature sciasciane, in Todo Modo, dove la carezza è sentenza.
Non è ancora il ritorno alla dissimulazione onesta del potere spietato e rispettoso delle forme, ma sono molti i rimandi all’antico galateo del diavolo che in Casini ha pure quella famosa benedizione vaticana che tradotta in vulgata plebea suona così: «Amare Dio e fregare il prossimo». Casini, che ha avuto una vita sentimentale moderna e disordinata e dunque peccatrice, è anche portatore di un conflitto di interessi meno pacchiano e meno cospicuo di quello di Berlusconi, ma ancora importante. Ha infatti sposato con la signora Azzurra anche i giornali e il mattone di Francesco Gaetano Caltagirone.
Rassegnatosi da tempo alla fine della Dc, Casini vuole diventare l’ago della bilancia grazie a Monti e ai voti ottenuti con la moltiplicazione delle liste che si chiamano appunto “liste a strascico”, e non illustrano una strategia gollista ma solo il trucco dei trafficanti di Porcellum. Monti invece si sentirebbe sconfitto se i risultati elettorali dimostrassero che, nell’universo che ha aperto il suo perimetro, nella politica che si affida alla testa e alle gambe, non si tornerà mai più all’ombelico, alla cicatrice natale, al punto mediano dove tutto l’ingorgo politico va a defluire. Povero Monti se un giorno scoprisse di avere fatto tutto questo per permettere a Casini di diventare l’ago della bilancia, per consentire a Pierferdinando la colpevole ma simpatica inadeguatezza di rimirarsi e rimuginarsi l’ombelico.
La Repubblica 30.12.12
Pubblicato il 30 Dicembre 2012