Si parla molto dell’Agenda Monti. L’interesse è legato alla scelta del premier di stare in campo attivamente nella vita politica, dopo l’esperienza compiuta alla guida del governo.
I primi giudizi espressi sono in realtà molto vari, parlando del merito dei punti programmatici del documento. Colpisce ad esempio la durezza delle critiche di Giavazzi e Alesina che criticano l’eccesso di statalismo e il permanere di un peso troppo grande del perimetro della spesa pubblica, il che impedirebbe una sostanziale riduzione della pressione fiscale. La destra berlusconiana accentua sulla stessa falsariga i propri giudizi, attaccando la propensione fiscale dell’Agenda e l’introduzione della patrimoniale, oltreché lamentando l’assenza di più forti politiche di sostegno alla domanda e ai consumi. Altri osservatori sono più prudenti, apprezzando questo o quel contenuto del documento e la serietà della prova di governo messa in campo in condizioni difficilissime, e quindi collegando il giudizio su ciò che è stato fatto con le intenzioni che vengono espresse. Molto seriamente il giornale di Confindustria mette a confronto le proposte su tutti i temi che provengono dai tre schieramenti più grandi che si preparano alle elezioni, e quindi le proposte del Pd (i dieci punti di Bersani) e quelle del Pdl, oltre naturalmente i contenuti dell’Agenda.
Da sinistra le critiche cambiano di segno e riguardano sia problemi rilevanti di metodo, il rapporto tra la costruzione dell’Agenda, fortemente elitario, e il bisogno di ascolto del Paese reale, sia singoli contenuti, sia soprattutto quello che manca, con in testa la questione del Mezzogiorno, quella dei diritti, quella democratica. Tutto questo conferma una prima rilevante affermazione, relativa al carattere di parte del documento. Al di là di ciò su cui si può convenire e quello su cui è necessario dissentire, la proposta dell’Agenda di per sé segna l’identità e la definizione di uno schieramento che si confronta con altre e spesso più complete e mature ipotesi di programmi e piattaforme di governo. Punto, questo, che in democrazia è assolutamente necessario per dare un completo e responsabile diritto-dovere di decisione al corpo elettorale, con l’inevitabile corollario che l’esito del voto segnerà in misura grande anche la legittimazione dei programmi di governo in competizione. Quello che sui mezzi di informazione viene vissuto come un duello tra leaders e schieramenti in realtà è insieme una competizione tra programmi di governo. L’acredine con cui il centrodestra attacca i contenuti dell’Agenda è onestamente imbarazzante. In un sol colpo ci si dimentica dei guasti prodotti dai governi Berlusconi in questi lunghi anni, del modo assurdo con cui è stata affrontata una crisi di queste proporzioni, del punto di non ritorno a cui il Paese era stato portato. E ovviamente si trasferiscono responsabilità ed errori sugli altri, laGermania, l’Europa, l’euro, i poteri forti e le banche, riproponendo in chiave stancamente populistica tutto il carnet delle promesse fiscali immaginabili. Non c’è latitanza di memoria possibile in grado di colmare lo scarto tra quello che oggi si dice e quello che è stato fatto, né l’uso di apparizioni televisive il più spregiudicato possibile. C’è un hic Rhodus anche naturalmente per Berlusconi e la sua propaganda.
Detto questo, l’Agenda presenta grandi e troppe omissioni su temi di primaria importanza, e in molti casi appare deludente. Manca ad esempio una proposta forte per superare il divario tra le aree del Paese, manca in temi di diritti di cittadinanza il riconoscimento del diritto per i figli di migranti nati in Italia, manca in generale una scelta chiara sui diritti civili. Su altri aspetti, come sulla scuola e la formazione, sulla ricerca e la sanità, il testo propone titoli ancora generici, e in materia di produttività e politiche di sostegno alle imprese e agli investimenti scelte che sono al di sotto della pesantezza della situazione, come nel caso della inoccupazione dei giovani e della tutela per chi perde il lavoro.
In materia di politiche del lavoro si ripropongono ricette già formulate, e inattuate, proprio perché troppo rigide, mentre sulla contrattazione si insiste a intervenire direttamente invece di favorire una responsabile e libera ricerca di soluzioni tra le parti sociali, rimuovendo quanto fatto dal governo Berlusconi, e trovando una soluzione al tema della verifica della rappresentanza e della democrazia sindacale. Un’Agenda, per quanto ci sia molto di giornalistico in questa espressione, è per definizione anche un terreno di confronto. Bene quindi che ci sia, meglio ancora se chi la propone si apre al confronto con i tanti punti di vista che sono in campo, spesso da più tempo e con argomenti che non andrebbero etichettati ma solo rispettati quando mossi da preoccupazioni vere e volontà di arrestare il decadimento del Paese partendo dal valore primario della coesione sociale.
L’Unità 30.12.12
Pubblicato il 30 Dicembre 2012