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Sono poche le voci di maschi e di credenti”, di Suor Rita Giarretta*

In veste di responsabile di “Casa Rut”, – Centro di accoglienza per donne vittime di tratta, di abusi e di violenze – sento il bisogno di esprimere tutta la mia indignazione di fronte al gesto «inquietante», e oserei dire «violento» compiuto dal parroco di San Terenzo (La Spezia), don Piero Corsi, con l’affissione in Chiesa del volantino in cui è riportato un editoriale del sito Pontifex dal titolo «Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano!».
Ancora si ricade in quella vecchia mentalità, che purtroppo a troppi maschi ancora piace e soddisfa, che vede nella donna o la moglie sottomessa, o la prostituta, o ancor peggio la tentatrice.
Quanto siamo lontani, a livello culturale e comportamentale, dal riconoscere, rispettare e valorizzare appieno la dignità della donna, da parte del mondo maschile (compresi i sacerdoti).
Se si pensa a tutte le donne uccise in quest’anno per mano di mariti, compagni e fidanzati, c’è non solo da rabbrividire ma da riflettere seriamente.
Mi piace qui riportare quanto detto in una nostra «lettera aperta» del 27 gennaio 2011 – che ha avuto risonanza nazionale, nella quale all’Erode di turno – incarnato dall’allora primo ministro e capo di governo – come donne, come cittadine e come religiose, avevamo gridato il nostro «non ti è lecito». Nella lettera dicevo: «Ma davanti a questo spettacolo una domanda mi rode dentro: dove sono gli uomini, dove sono i maschi? Poche sono le loro voci, anche dei credenti, che si alzano chiare e forti. Nei loro silenzi c’è ancora troppa omertà, nascosta compiacenza e forse sottile invidia. Credo che dentro questo mondo maschile, dove le relazioni e i rapporti sono spesso esercitati nel segno del potere, c’è un grande bisogno di liberazione».
*Responsabile di Casa Rut Centro di accoglienza per donne vittime di tratta, di abusi e di violenze
L’Unità 29.12.12
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Donne e uomini, fiaccole contro il femminicidio
Dopo le parole di don Corsi, credenti e non si affollano per ricordare le vittime e per «scacciare i demoni dell’ignoranza», di Federico Ferrero
Fammi vedere: hai la minigonna? «Puoi dirlo, è sotto il giubbotto. Ma me lo tolgo là». I due chilometri scarsi di passeggiata sul mare, rosso di sole, da Lerici a San Terenzo brulicano di ragazzi che fumano in branco. Ogni trecento metri, un venditore di paccottiglia estiva di risulta: elefanti, collane, palle di vetro. Il clima è autunnale, invitante. E ci sono le donne in marcia, dai bar della piazzetta sul porticciolo al luogo convenuto, quelle che il parroco don Piero Corsi giudica corresponsabili dei femminicidi perché, detta con le parole di un pensatore del sito pontifex.it, se la vanno a cercare mostrandosi in pubblico in abiti discinti. «Uno così è un disturbato», dice all’amica anzianotta la signora che è già arrivata a destinazione e mostra con fierezza il cartello a memoria del Quinto Comandamento, appeso sul cappottone pellicciato. Il marito, con l’altro, parla di calcio. Prima dell’ultima curva è piantato il paletto della frazione: San Terenzo, città per la pace, portata in cronaca da «una vicenda grave e triste», come l’ha definita ieri il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco.
Sui fortini arroccati, su in alto, luccicano ancora i led natalizi a basso consumo e il benvenuto suona un po’ come una presa in giro, oggi che le donne liguri hanno rotto il patto di non belligeranza contro il sacerdote retrogrado e nemico dell’altro sesso. Anche le credenti come Susanna, che negano l’esistenza di una crociata ad personam: «Io in Chiesa ci vado e continuo ad andarci. Non ce l’abbiamo con nessuno, siamo qui per testimoniare la nostra condizione ancora pericolante, nonostante millenni di civiltà». In fondo ha ragione: il don maligno, quello che non si è pentito di aver ricordato alle signore che il loro compito è quello di badare al focolare e che, se indulgono in atteggiamenti vezzosi, non possono poi lamentarsi di stupri e coltellate, viene nominato appena due volte in un’ora e passa di discorsi amplificati dalle casse di un gazebo sulla sabbia. Nessuno lo addita come mostro da appendere per i piedi davanti alla sua chiesa, intitolata a Maria e beffardamente restaurata, rammenta una placca, col contributo di un filantropo in onore alla mamma.
L’appuntamento è in spiaggia, all’ombra del campanile. In mattinata hanno provveduto a strappare le fotografie appiccicate da un buontempone nella bacheca dello scandalo: chi le ha viste racconta che erano immagini artistiche del calendario Pirelli, o giù di lì.
Ne sono rimasti due, di avvisi: uno domanda al prete cosa mai abbiano fatto i bambini, pure loro, per «cercarsela». L’altro è scritto a pennarello su una T-shirt: «Il sonno della ragione genera (don)Corsi». Di sicuro, per un bel pezzo, è prudente che don Piero non metta mano a quella lavagna con le puntine, convertita per qualche giorno a zona franca e laica su parete sacra. Susanna e le sue sodali hanno attaccato un mantra, che per ritornello invita la Chiesa a scacciare «i demoni dell’ignoranza». La stessa Chiesa, scandisce una relatrice, «che avalla la lotta ai preservativi e benedice le maternità coatte».
Lorella Zanardi, leader storica del Corpo delle donne, non si è fatta la pianura Padana per prendersela col parroco di provincia; vorrebbe bandire la cultura delle riviste femminili che propongono la donna come oggetto in esposizione e, magari, in vendita. Lo dice ai microfoni di una televisione commerciale. L’accusa, che da una vita e mezza non ha colpevoli perché, si dice, è la gente a volere ciò che si vede, non era nuova neanche negli anni della censura Rai, mamma evocata come matrigna responsabile della mercificazione muliebre.
Non era una scelta comoda, quella dell’amministrazione comunale, ma il sindaco Caluri l’aveva già fatta evitando di lesinare la sua indignazione contro quell’iniziativa scellerata del parroco (di cui, in paese, alcuni raccontano i trascorsi da incursore della Marina). Ieri, in spiaggia, a leggere il comunicato di solidarietà della giunta cittadina c’era un assessore. Donna. Che ha ricordato due donne, una nonna e una bambina, uccise dieci anni fa a Lerici dal «retaggio maschilista» di una cultura che dà all’uomo potere di vita e di morte.
C’è più gente del previsto, e le signore di Se non ora quando non si aspettavano tanto successo. Verso l’abitato si forma un capannello più consistente, e mentre dal microfono risuonano parole di disgusto – mai di astio – contro il signor Volpe, autore dei testi meritevoli di elogio per don Corsi, c’è chi rilegge le parole di Giovanni Paolo II, quando stigmatizzava gli uomini di Chiesa che attizzano il fuoco dei soprusi. Mamme e figliole reggono candele e la rappresentante della Cgil di La Spezia legge un intervento della Camusso: «Come si fa a parlare di voto di castità se poi si ammette che l’uomo non può resistere agli istinti?». Applausi.
Alla fine, prima di leggere i nomi delle 122 donne uccise per mano di uomini che considerano le compagne oggetto di diritti reali, si osserva un minuto di silenzio, interrotto a neanche trenta secondi, come insegna la tradizione italiana. A distanza da imbarazzo, il sagrato della chiesa. La messa è iniziata. Il celebrante dà le spalle ai fedeli, come da liturgia classica. Ma non è don Corsi. Forse è il concelebrante, ma resta defilato. Un gruppetto si stacca dalla fiaccolata in via di scioglimento e si ferma proprio là davanti. C’è una telecamera di sorveglianza appesa sulla soglia. Nessuno urla, nessuno si agita. Un ragazzo con le mani in tasca, come davanti a un acquario, osserva la funzione: «Si scambiano un segno di pace, toh. Guardali, che carini». Un cameraman lo sente e gli chiede di ripetere la battuta col faro acceso. Dall’altra parte della stradina il barista fa spuntare fuori la testa. Prima di ritrarla, dà il tempo per far sentire anche la sua: «Bello. Ci siamo fatti prendere per il culo da mezza Italia».
L’Unità 29.12.12