Solo contro tutti. È la parte che, oggi, recita Berlusconi. Un po’ per istinto e per sentimento. Un po’ per calcolo e per strategia. Per istinto e sentimento. Perché non si fida di nessuno. Neppure dei “suoi”. Anzi, soprattutto di loro. I leader alleati (fino a pochi anni fa). Fini e Casini, postfascisti e neodemocristiani. Miracolati. Sdoganati e recuperati da lui, nei primi anni Novanta. Quand’erano gli esemplari sopravvissuti di una specie in via di estinzione. Destinati a scomparire. Oppure a finire fuori gioco. Emarginati ed esclusi. Berlusconi ha offerto loro un ruolo di primo piano. E loro, in cambio, hanno tramato per la sua successione. Fino ad abbandonarlo. Lasciandolo solo. Come ha fatto gran parte dei parlamentari del Pdl e del centrodestra. Lo scorso ottobre, dopo la condanna del Tribunale di Milano a suo carico per frode fiscale, nel processo Mediaset. Berlusconi. Si è sentito vulnerabile. Ed è tornato. È sceso di nuovo in campo. Meglio, in campagna elettorale. Anzitutto e soprattutto in televisione. Abituato com’è a considerare la tivù la grande madre dell’Italia media. L’Italia dei media. Il Paese dove, ancora oggi, l’80% degli italiani usa ogni giorno la tivù per informarsi (Sondaggio Demos-Coop, dicembre 2012). Il problema, semmai, è che Berlusconi si è abituato a comunicare solo da solo. Attraverso monologhi. Non sopporta i dialoghi, le interviste serie. Le domande: per lui sono interruzioni. Quasi aggressioni. Tanto più se avvengono — come ieri pomeriggio — su RaiUno, la Rete istituzionale. In una trasmissione pop-olare, come l’Arena. Allora reagisce con sdegno. Minaccia il conduttore, Massimo Giletti, di andarsene. E fatica a riprendere il controllo di se stesso.
Forse anche per tattica. Per recitare da solo contro tutti. Solo davanti a tutti. Amato e, magari, odiato. Ma non ignorato. Dimenticato. L’unico silenzio sopportabile, per lui, è quello – fragoroso – degli ultimi mesi. Quando parlava senza parlare. Appariva senza apparire. Per far evaporare l’ondata di impopolarità che lo aveva travolto nel corso del 2011. Lui, costretto a farsi da parte. Ma sempre lì. Incombente. Pronto a ritornare.
Ma Silvio Berlusconi, oggi, agisce da solo contro tutti anche per calcolo e per strategia. Per imporre se stesso come attore politico “centrale” – e al tempo stesso principale “frattura” – della competizione politica ed elettorale. Com’è avvenuto negli ultimi vent’anni. Nella Seconda Repubblica, dove Berlusconi ha costruito e costituito il nuovo “muro” che divide l’opinione pubblica e gli schieramenti. Pro o contro di lui. Teme, Berlusconi, che questa situazione cambi. Di venire emarginato. E, quindi, sconfitto. Perché questo sistema elettorale, il cosiddetto Porcellum, progettato e imposto da lui e dalla sua maggioranza nell’autunno del 2005, ha effetti bipolari. E, per certi versi, presidenziali. Tende, cioè, a trasformare la competizione elettorale in un confronto fra due leader, due persone. A capo di due coalizioni. Che si contendono il governo in loro nome. Una delle tante anomalie di questa Repubblica preterintenzionale, dove le riforme si affermano nella pratica. Senza bisogno di riforme. Berlusconi teme di diventare un concorrente insieme ad altri. Bersani e Monti per primi. Teme di perdere la rappresentanza e, prima ancora, il marchio dei “moderati”. Teme: che i moderati vengano interpretati, dopo tanto tempo, da un moderato vero. Un liberale come Monti. Mentre, a lungo, sono stati riassunti nell’alveo dell’estremismo mediatico e populista – piuttosto che popolare. Per questo, anche ieri, su RaiUno, Berlusconi ha ribadito la necessità che gli italiani lo votino – contro la Sinistra di ispirazione veterocomunista. E ha insistito sulla necessità di isolare il Centro. Di Casini, Fini, Montezemolo. E di Monti che, anche senza essersi espresso apertamente, potrebbe divenirne la bandiera. La figura di riferimento. In grado di attrarre altri “moderati” dei due schieramenti. Un grave rischio per Berlusconi. Doversi misurare non solo con un “vecchio boiardo” del Pci. Ma con un “moderato”. Accreditato in ambito internazionale. Così, per imporsi come “l’altro polo” della competizione bipolare, alternativo al Pd e a Bersani, per difendersi dalla “minaccia moderata”, Berlusconi non esita a riprendere il repertorio populista. A recitare il copione antipolitico. Contro l’euro e contro l’Unione europea. Contro la Germania. Contro la Merkel e il suo “sottopancia”, Sarkozy. Argomenti usati dalla Lega, ma anche e soprattutto da Grillo e dal M5s. Di cui imita il linguaggio e il personaggio. Anche se in modo diverso e alternativo. Perché Grillo “usa” la tivù, senza andarci. Ma, anzi, sanzionando gli esponenti del suo movimento che vi partecipano. Anche se in televisione Grillo imperversa. Con i videomessaggi ripresi dal suo blog. Con i comizi registrati in piazza. Con le traversate a nuoto dello Stretto e altri eventi concepiti apposta — per sollevare rumore mediatico. Berlusconi, invece, considera la televisione “casa sua”. Ma recita la parte del perseguitato. Vittima di una congiura ordita da gran parte dei giornali e delle reti – che non siano di sua proprietà.
Insomma, Berlusconi sfida Monti, ma anche Grillo, sul loro terreno. Monti: incapace di “mantenere le promesse”. Di realizzare ciò che Berlusconi non aveva potuto attuare, per vincoli esterni. (Non l’avevano lasciato governare…). Grillo: caso esemplare di degrado dell’homo politicus, ridotto nuovamente a scimmia. Più antipolitico e antieuropeo di Grillo. Berlusconi mira a riprendersi i voti degli elettori di centrodestra delusi, confluiti, negli ultimi mesi, nel M5s. Mentre, al tempo stesso, cerca di ridimensionare il ruolo e le competenze di Monti. In fondo, scandisce il Cavaliere, è solo un professore. “Non è mai stato nella trincea del lavoro, non è mai stato protagonista dell’economia”. Anche per questo si “rifugia” nel centro. Che, nella competizione elettorale, in Italia, non costituisce un luogo “centrale”, ma “residuale”. Un’intercapedine del sistema politico.
Silvio Berlusconi, dunque, va alla guerra – elettorale. Combatte da solo. La solitudine non lo spaventa. Lui teme l’indifferenza. Il silenzio. Così, probabilmente, oggi si può dire soddisfatto. Perché è sulla bocca e sugli occhi di tutti. Io stesso gli ho dedicato, per intero, questa Mappa.
Eppure, certamente, tutto ciò non gli basta. Non gli può bastare. Per essere solo.
Perché, per ora, è ancora “uno tra gli altri”. Come altri. Lo sfidante di Bersani, Monti, Grillo… Più che il Muro: una trincea.
La Repubblica 24.12.12
Pubblicato il 24 Dicembre 2012