Quello pronunciato da Veltroni ieri alla Camera è stato il suo ultimo discorso da parlamentare.
Signor Presidente, oggi sarebbe dovuto finire il mondo, ma non è successo, almeno fin qui. Lo aveva predetto un popolo geniale e moderno, che pensava che il tempo fosse semplicemente un ripetersi di eventi ciclici sempre uguali. Ma avevano torto: la vita e il tempo sono sempre inediti: sono le opere degli uomini, il loro pensiero, le loro azioni, che possono ripetersi. Ma se una previsione apocalittica incontra tanta attenzione è perché la nostra civiltà è oggi dominata dal più pericoloso dei sentimenti, l’unico del quale avere davvero paura: la paura.
Oggi più prosaicamente finisce una legislatura, non la vita degli uomini. Ma possiamo per una volta non rivolgere il nostro sguardo al passato? Possiamo non rimproverarci responsabilità dalle quali ciascuno in misura diversa, nessuno tra i soggetti organizzati della società italiana, è esente? Possiamo parlare agli italiani di ciò che sarà e non di ciò che è stato? Lo dico per uscire dal carattere ciclico, da quella specie di maledizione dei Maya che riporta in televisione, come uno stanco cinegiornale Luce, le parole di una lingua senza significato che ripete le stesse cose da troppo tempo e che è fatta dalla cicuta della politica: le promesse facili e ciniche, quelle parole che vengono da chi, in questi anni, sembra sia stato in vacanza su Saturno e non a Palazzo Chigi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Il passato ha bisogno di verità per chiudersi, come si chiude questa legislatura, dopo la quale il Paese è più fragile, le istituzioni più logorate dal non essere, in particolare, state cambiate da un disegno di insieme e il sistema politico è più frammentato ed esposto ad ondate emotive che trovano reale alimento in fenomeni ormai dilaganti: la corruzione e l’illegalità che sono – ce ne vogliamo rendere conto – il primo problema italiano.
L’Italia ha bisogno di futuro, e non di passato, e ha bisogno di idee serie e di persone serie che possano guidarla fuori da questo tunnel come ha saputo fare – e dobbiamo tutti ringraziarlo – Giorgio Napolitano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Siamo nel momento più drammatico della nostra storia, della nostra storia di italiani del secondo Novecento. Negli anni Trenta la recessione in Europa ha significato il nazismo e poi la guerra, perché a Weimar le istituzioni collassarono sotto i colpi dell’instabilità politica e delle conseguenze economiche e sociali della recessione; e venne la dittatura, che è la faccia politica della paura, la stessa che armava la mano nel portafoglio degli agrari che foraggiavano le squadre fasciste, la stessa che individuava nei bambini ebrei una minaccia. La paura, figlia e madre dell’odio, genera un altro mostro, che è il problema italiano: il populismo.
Gobetti diceva che, senza conservatori e senza rivoluzionari, l’Italia è diventata la patria naturale del costume demagogico e per un liberale le uniche e vere rivoluzioni sono quelle che non si sono trasformate, come accadde a quella russa e a quella fascista, in dittature: le rivoluzioni democratiche, quelle che preludono a nuove libertà, a nuovi diritti, a nuove opportunità per esseri umani nuovi. Ma nel limbo limaccioso, impastato di risse ideologiche e di immobilismo, che è stata la storia italiana di questi anni, può davvero prosperare il più pericoloso dei mali per un Paese sfibrato e impaurito: il populismo, ossia dire a tutti quello che si vogliono sentire dire, bellicare conservatorismi e particolarismi, fare politica urlando quello che i sondaggi sostengono essere la cosa più popolare in quel momento. La politica è straziata, ridotta a merce fasulla, illusionismo da circo di provincia: «fuori dall’euro», «abbasso la Germania», togliere tutte le tasse a tutti e condonare ogni orrore; promesse irrealizzabili, inganni cinici, è voto contraffatto, è voto di scambio: io potente ti vendo un’illusione, tu, cittadino, ci metti la tua disperazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Così si distrugge un Paese, così si uccide la politica. L’Italia ha bisogno di altro! Da vent’anni, come un maleficio, una delle otto potenze del mondo è paralizzata da una dialettica rumorosa e immobile. Con le urla e gli insulti di questi anni ci si può riempire l’oceano. Ma cosa è cambiato in Italia dal 1994? È migliorata la scuola? Si è aumentata la produttività? Si è garantito un lavoro stabile ai nostri ragazzi? Si è resa più trasparente la vita pubblica? Promesse e urla, il nostro inferno. Paralizzata dal berlusconismo e dell’antiberlusconismo la seconda Repubblica ha consumato anche il bipolarismo, che è stato dialettica negativa, ostruzione, tatticismo.
Io, come è noto, non sarò più parlamentare, con altri colleghi, e colgo l’occasione per ringraziare tutti voi, a cominciare dalle donne e dagli uomini del mio gruppo e, in particolare, lei, Presidente, e tutto il meraviglioso personale della Camera, dai commessi al segretario generale, per avere potuto vivere questa esperienza di confronto e di democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Credo mi si possa dare atto di aver ascoltato e sempre rispettato anche le idee più lontane dalle mie, perché ho sempre pensato che è l’esistenza del pensiero degli altri che salva il mondo e la libertà. A quelli di voi che saranno qui vorrei dire che il nostro Paese non può tornare al tempo, che fu anche di stragi e di debito pubblico alle stelle, che è dietro le nostre spalle. Futuro, non passato.
Mi auguro che il nostro Paese evolva verso un bipolarismo civile, fatto principalmente da un centro democratico e da uno schieramento riformista, da persone che si riconoscano e si stimino e possano collaborare, ciascuna nel suo ruolo, nell’interesse della nazione, come fanno i democratici e i repubblicani americani o come succede in Germania o in Inghilterra.
L’Italia non può più permettersi odio e immobilismo: ha bisogno di una profonda rivoluzione, una rivoluzione democratica; ha bisogno di riprendere il viaggio magnifico che iniziarono quegli italiani che, smarriti, si guardarono negli occhi nell’aprile del 1945. Intorno a loro c’erano macerie e nelle famiglie i vuoti della guerra e dei bombardamenti, delle leggi razziali e dell’odio tra fratelli.
Vent’anni di demagogia e di populismo, di dittatura e di intolleranza, avevano devastato persone e cose, ma gli italiani seppero rialzarsi e inventarono cose da produrre e idee che hanno attraversato il mondo. Siamo stati un Paese di innovatori e di coraggiosi, di contadini che venivano in città ad aprire bottega, di padri di famiglia che lasciavano la loro terra per andare lontano a cercare di sopravvivere; lo stesso viaggio che – non dimentichiamolo mai – fanno ora a migliaia su battelli che nessuno ha il diritto di affondare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Siamo caduti e siamo risorti perché siamo un grande Paese, che ha bisogno della stessa energia di innovazione di allora. È questa oggi la grande sfida del centrosinistra riformista che Bersani è stato chiamato a guidare.
Perché l’Italia riparta c’è una precondizione: bisogna dichiarare una guerra alle mafie e a ogni illegalità, costi quel che costi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico, Misto-Alleanza per l’Italia e di deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Futuro e Libertà per il Terzo Polo).
E ora che inizia la campagna elettorale il mio appello a tutti, nessuno escluso, è: rifiutate i voti sporchi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Bisogna unire i produttori, capire che c’è una comunità di destino tra il piccolo imprenditore e il suo operaio, che insieme cresceranno e insieme perderanno. Questo significa più produttività e salari più civili, uno Stato amico che anche fiscalmente colpisca i furbi e premi chi investe, chi rischia e fatica per creare ricchezza, una ricchezza che sia equamente distribuita. Non si può avere insieme il 10 per cento della popolazione che controlla la metà del patrimonio privato nazionale e 11 milioni di persone che non sanno come arrivare alla fine del mese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Non si può avere insieme 280 miliardi di euro di evasione fiscale e aliquote sulle imprese o sulle persone ben oltre il 50 o 60 per cento. Per me, dal Lingotto, valgono le parole del socialdemocratico Palme: noi non siamo contro la ricchezza, siamo contro la povertà.
E poi dobbiamo convincerci che lo Stato non può far tutto, che ci vuole responsabilità sociale diffusa, protagonismo sociale. Lo Stato e le istituzioni devono essere lievi, gestire di meno e preoccuparsi di promuovere e garantire diritti. Poi, il bello della nostra società: la scuola, la ricerca, la cultura, l’ambiente, il nostro talento, ciò che nessuno potrà mai riprodurre o delocalizzare.
Il Presidente Monti ha fatto molto, in un breve periodo, per questo Paese: ha tenuto insieme una maggioranza innaturale, che è nata dall’emergenza e che non si ripeterà; si è caricato sulle spalle responsabilità non sue; ha restituito all’Italia l’onore e il prestigio che meritiamo; ha chiesto al Paese sacrifici. Non riconoscerlo ora, in ragione delle sue scelte future, sarebbe intellettualmente disonesto, anche perché lo abbiamo fatto insieme, come lo facemmo con Ciampi e come lo abbiamo fatto con Romano Prodi. Noi non faremo come chi, in questi giorni, un giorno dice che Monti ha distrutto il Paese – con norme che, peraltro, sono state votate dagli stessi – e il giorno dopo invita Monti a guidare i moderati e quello dopo ancora dice che è un piccolo uomo.
Noi consideriamo quest’anno importante, ma vogliamo andare oltre. Noi siamo una forza seria, che vuole più Europa, che sa prendersi le responsabilità più difficili, che sa che prima di tutto viene l’interesse della nazione. Noi pensiamo che l’Italia abbia bisogno di qualcosa di inedito, di una rivoluzione democratica che sfidi tutti i conservatorismi e proponga a ciascuno in questo Paese un destino in una missione collettiva.
Non ho citato fin qui l’onorevole Berlusconi, perché ho sempre pensato che l’Italia debba andare al di là di lui, che non basti additarlo come nemico per cambiare radicalmente il Paese. È lui che fa così da anni e per questo porta più responsabilità di ogni altro italiano per lo stato del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Ma ora voglio citarlo, perché un giorno Berlusconi, senza accorgersene, ha reso lineare e plastica la differenza tra noi, la differenza tra conservatori e riformisti o, se si vuole, fra destra e sinistra.
Era il 2006 e Berlusconi partecipava all’unico confronto che abbia mai fatto in TV dal 1994, e disse la frase che cito dall’Ansa: «La sinistra propone di rendere uguali il figlio del professionista e quello dell’operaio». Vede, noi non vogliamo che nessuno sia uguale all’altro, la società aperta misura capacità e ambizione di ciascuno e valorizza queste differenze, ma – e questa è la profonda storica diversità tra noi – noi vogliamo proprio che il figlio del professionista e quello dell’operaio abbiano le stesse possibilità di riuscire nella vita (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Noi vogliamo che l’Italia che produce, che paga le tasse, che lavora e fatica onestamente, che rischia da poliziotto o da magistrato, che insegna o ricerca, si senta chiamata fuori dalla trincea e si renda disponibile ad una nuova stagione di dinamismo e di innovazione. È questa – unire i riformisti, creare le condizioni del più radicale cambiamento di cui l’Italia ha bisogno – la nostra missione, la missione del Partito Democratico: fare incontrare i riformismi, far ripartire il Paese. Buon lavoro a voi e buon futuro all’Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico, Misto-Alleanza per l’Italia e di deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo – Congratulazioni).
l’Unità 22.12.12
Pubblicato il 22 Dicembre 2012