Se il diavolo si nasconde nei dettagli, quella di ieri è stata una gionata infernale. Perché è davvero diabolico il trucco escogitato dal Pdl per rallentare il cammino del decreto liste pulite che dopo il via della Camera avrebbe dovuto ricevere l’ok definitivo del governo. Avrebbe. Perché come ha annunciato ieri il ministro dell’Interno, per apporre il timbro finale manca il parere della Commissione Bilancio del Senato. E qui, come direbbe Di Pietro, sorge incontenibile una domanda: che «c’azzecca» il bilancio con il divieto di mandare in Parlamento persone condannate?
Certo, prima di approvare un decreto è bene sapere tutto, anche gli eventuali effetti sul conto economico del Paese. Ma il punto è proprio questo: qual è l’impatto economico di una lista pulità? C’è davvero qualcuno che possa ragionevolmente sostenere che un condannato in Parlamento costi meno di una persona onesta? Nessuno ovviamente. Tanto è vero che la Commissione Bilancio della Camera non ha avuto nulla da ridire sul decreto e ha rapidamente dato il proprio parere favorevole.
Eppure il presidente della Commissione Bilancio del Senato, il pidiellino Antonio Azzolini, ha spiegato che con la legge di Stabilità che corre, il lavoro è molto e il tempo manca. Nemmeno quello di esaminare un decreto a evidente costo zero. Come dire, passate più tardi.
Peccato che il tempo passi anche per la sedicesima legislatura, ma soprattutto corra per la presentazione delle liste che dovrebbero venire depositate entro metà gennaio. Per fare in modo che queste siano pulite e trasparenti – che non contengano nomi di persone condannate, tanto per intenderci – bisogna che venga convocato un altro Consiglio dei ministri (quello previsto, come sappiamo, è andato a vuoto), che il decreto sia approvato e che venga pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro il 13 gennaio. Con il Natale di mezzo e le dimissioni imminenti di Monti (che pure resterà a guidare un governo di ordinaria amministrazione) c’è dunque il serio pericolo che la clessidra si svuoti prima di quella fatidica data. E che del decreto se ne parlerà sì, ma alle elezioni successive.
È questo il disegno del Pdl? Come diceva Andreotti, a pensar male ci si prende sempre. E lo dimostra il tentativo, riuscito, di salvare la candidatura di Marcello Dell’Utri, grazie a una modifica ad personam spiegata ieri su queste colonne da Claudia Fusani. Nonostante una condanna definitiva a due anni e tre mesi per frode fiscale – rientrando dunque a pieno titolo tra gli incandidabili del decreto – il senatore potrebbe nuovamente tornare a Palazzo Madama grazie a una norma transitoria inserita in zona Cesarini. Eccola: le condanne patteggiate sono valide, ai fini della incandidabilità, solo se intervengono dopo l’entrata in vigore della norma. E poiché Dell’Utri ha patteggiato nel 1999, ecco che la condanna «non conta» ai fini dell’ingresso nella lista. C’è ma non si vede.
Un trucco, insomma. Proprio come quello di utilizzare il parere della Commissione Bilancio per rallentare l’approvazione del decreto liste pulite che, se venisse approvato in tempo, impedirebbe l’ingresso in Parlamento di persone con condanne definitive sopra i due anni e per reati puniti nel minimo fino a quattro anni. Sono compresi quelli contro la pubblica amministrazione, ma anche quelli valutari, di bilancio, bancarotta frode e voto di scambio. Non solo, ma secondo la norma che non piace al Pdl (e che il presidente Azzolini non ha il tempo di verificare) dovranno dimettersi anche quei deputati e senatori già eletti ma che venissero raggiunti nel corso della legislatura da una condanna definitiva.
È bene essere chiari: impedire con ogni mezzo l’approvazione di questo decreto è un fatto doppiamente inaccettabile. Il primo, perché si tratta di una misura di civiltà che, anche se qualcuno considera ancora insufficiente, è comunque un passo avanti rispetto alle liste caravanserraglio a cui abbiamo assistito negli anni passati. Il secondo, perché è una norma facile da capire e da spiegare: utilizzare simili sotterfugi per ritardarne l’approvazione e dunque bloccarla aggiunge la beffa al danno, perché ha il sapore di una plateale presa in giro.
C’è un solo modo per evitare che tutto questo accada: invitare la Commissione Bilancio e il suo Presidente a trovare il tempo, ne basterebbe davvero poco, per comunicare il proprio parere sul decreto. Il Presidente del Senato Schifani ha un’ultima, preziosa occasione per dimostrare di ricoprire un ruolo istituzionale e super partes. Riuscira a farlo?
l’Unità 21.12.12
Pubblicato il 21 Dicembre 2012