attualità, politica italiana

“L’obiettivo del Cavaliere”, di Claudio Sardo

«Una cosa è certa: passerò le feste di Natale facendo campagna elettorale». L’altra sera, lasciando gli studi di Porta a Porta, Silvio Berlusconi ha salutato così. È più confuso, appannato, invecchiato di come lo abbiamo conosciuto in questi vent’anni: ma è un professionista della politica e la decisione di correre di nuovo è a questo punto per lui irrevocabile. Per lui fare campagna elettorale vuol dire stare in televisione. Dove possibile occuparla. Non si farà scrupoli. Ha la faccia tosta per invadere gli spazi festivi dei telespettatori italiani. E non ha vergogna nel ripetere: «Sono stato tanto tempo in silenzio. Ho un credito di tredici mesi da recuperare».
Del resto, il Berlusconi 76enne della campagna 2013, sa di avere macroscopiche contraddizioni stampate sul volto. Ha decretato la fine del governo Monti e offre pubblicamente a Monti di guidare il centrodestra. Ma è chiaro a tutti che si tratta di un’offerta falsa: Monti è un suo nemico, gli alleati del premier sono «orrendissimi», in fondo il Cavaliere ha deciso di ricandidarsi – smentendo pubbliche promesse – proprio per impedire che la «sua» destra venga superata nei consensi e marginalizzata da un nuovo fronte moderato.
L’elenco delle contraddizioni del vecchio Berlusconi è ancora molto lungo. Ho partecipato a un Porta a porta che ha fornito solo un parziale campionario. È stato il presidente del Consiglio più longevo della storia repubblicana e spiega che non c’entra nulla con il disastro italiano, anzi che sono stati degli spiriti maligni a bloccarlo. Le prestazioni economiche e sociali dell’Italia nell’ultimo decennio sono le peggiori al mondo, ma anche in questo caso lui parla come se fosse un passante, una vittima, una specie di governante all’opposizione. L’altra sera è arrivato al paradosso di descrivere i leader europei come dei bifolchi incompetenti, mentre lui è il solo a capire di economia e di finanza. Peccato che esponeva le sue teorie come se fosse una Vanna Marchi catapultata in una università a fare lezione di politica monetaria.
Sa di non poter convincere la stragrande maggioranza degli italiani. Sa di apparire ancor più ridicolo a molti, compresi gli osservatori stranieri. Ma pazienza. Il suo obiettivo, il suo target di riferimento è l’area elettorale dei fedelissimi, i fan di Rete4, quella parte di società più insofferente e meno strutturata, quelle categorie che mai voterebbero la sinistra, che sono più sensibili agli slogan antipolitici e alla propaganda anti-tasse, anche alla più estrema, alla meno realistica. Da quando ha lasciato il governo, inseguito dal proprio fallimento interno e internazionale, Berlusconi ha perso fiducia anche in quello che costituiva lo zoccolo duro del suo consenso personale. L’incertezza sul futuro del Pdl ha allargato il distacco. Ma ora ha deciso di andarsi a riprendere parte almeno di quei voti. Comunque di tentarci. Alfano e la democrazia nel Pdl sono stati buttati a mare senza scrupoli. Da settimane sono al lavoro esperti e sondaggisti allo scopo di riportare indietro gli elettori in fuga dal Pdl.
Per questo la bandiera della campagna elettorale berlusconiana sarà l’abolizione dell’Imu. Gli diranno che la tassa è, appunto, figlia del suo fallimento politico. Ma lui non teme questo genere di argomenti. Cerca l’elettore che, dopo il bombardamento mediatico, possa dire: «Questo Berlusconi sarà pure un incapace e un imbroglione, l’Italia andrà pure in rovina, ma almeno lui mi toglierà l’Imu». L’altra sera ho provato a smontare la tesi
dell’esenzione Imu per tutte le prime case: gli ho detto che una persona ricca come lui deve pagare l’Imu anche sulla prima casa, mentre è giusto che non paghino i pensionati, i giovani, le famiglie con redditi bassi. Ma lui, per difendere la propria bandiera demogogica, è arrivato a dire che era d’accordo con me: che, sulla base della sua proposta, i ricchi pagavano. Non è vero affatto. Tuttavia, non intende mettere a rischio lo slogan migliore. Accetta la contraddizione e fa finta di niente. Non fu lui a suo tempo ad abolire l’Ici, avendola abolita solo per i cittadini più ricchi. Ma conta che resti nella memoria un concetto vago, superficiale. Per incassare ancora un dividendo di consensi.
La sua partita, in tutta evidenza, non è vincere. Non può arrivare primo. Tanti elettori sono scappati per sempre. Una quota non marginale gli è stata strappata da Grillo, che ha declinato in altro modo il verbo antipolitico di Berlusconi e della Lega. È convinto che rimettere in campo la sua fisicità, per quanto decaduta, gli possa consentire di superare il 20% e di riconquistare il secondo posto. Così non era più nei sondaggi degli ultimi mesi. Per questo Berlusconi ha bisogno di tempo. Di rimandare le elezioni più in là possibile. Con il secondo posto punta ad una rendita di opposizione. E scommette sull’ingovernabilità, sul fallimento anche della prossima legislatura. A questo fine ha minato il percorso, ha avvelenato i pozzi impedendo riforme istituzionali ed elettorali. Per questo cerca di sgonfiare i centristi e, ancor più, di impedire, di delegittimare un’eventuale intesa tra il centrosinistra di Bersani e il centro di Monti.
Ciò che mi ha più colpito l’altra sera a Porta a porta è stata una risposta di Berlusconi sul finale. Perché Monti non dovrebbe candidarsi? gli ha chiesto Bruno Vespa. Lui, forse per una caduta di lucidità, ha detto: «Perché con il governo Bersani può andare facilmente al Quirinale». Una delle regole basiche della campagna elettorale è non dare per probabile la vittoria dell’avversario: ma Berlusconi stavolta non è capace di mentire fino al punto di negare il primato al leader del centrosinistra.
Ciò non vuol dire che Berlusconi sia meno pericoloso. Vuol dire semmai che è più pericoloso, perché la sua candidatura non ha alcun intento costruttivo per l’Italia. È un gioco di ostruzione, di rimessa. Vuole presidiare, ingessare un’area populista e radicale di destra. Vuole costruire un nuovo asse con la Lega. Vuole creare partitini satelliti (per raggranellare voti sparsi) e non si preoccupa di dire contemporaneamente che «non bisogna votare i piccoli partiti».
Di una cosa però ha dimostrato di avere paura: non vuole assolutamente che si dica la verità sul discredito che ha portato all’Italia, sulla sfiducia delle cancellerie e dei mercati nei suoi confronti, sul disprezzo che ha accumulato. Quando si dice questa verità, va su tutte le furie. È stato il momento in cui è diventato rosso di rabbia, quando si è dovuto misurare con le prove materiali di questo discredito. È l’argomento che teme di più in campagna elettorale. Perché questo messaggio può insinuare un tarlo anche tra gli elettori benevoli verso di lui. In una pausa della registrazione ha detto: «Non dovete dire che c’è discredito internazionale verso di me, perché questo non l’accetto». Peccato che sia una verità oggettiva. Che è stato fatto un governo d’emergenza per questo motivo.
L’Unità 20.12.12