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Per le fondazioni liriche riforma a rischio «stecca», di Antonello Cherchi

Tempo di prime per la lirica. Ci sono i grandi teatri che hanno aperto la stagione e c’è il regolamento sulle fondazioni che si prepara a debuttare in uno dei prossimi consigli dei ministri. Previsto dall’ultima riforma del settore, arrivata in tutta fretta nel 2010 con il decreto legge 64 poi convertito nella legge 100, il provvedimento, che andrà mercoledì alla riunione del preconsiglio, è frutto di un’ampia delega riservata al Governo per rivedere l’assetto ordinamentale e organizzativo delle quattordici fondazioni lirico-sinfoniche. E arriva a un passo dal termine ultimo, quel 31 dicembre 2012 trascorso il quale sarebbe tutto da rifare.
Diventa, dunque, imperativo che Palazzo Chigi licenzi il testo prima della fine dell’anno. Solo così i tempi della delega saranno rispettati e il regolamento potrà iniziare l’elaborato iter che prevede il passaggio presso la conferenza unificata, il parere del Consiglio e quello delle commissioni parlamentari, per poi ritornare al Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva. Tabella di marcia ancora più pressante considerata la crisi di Governo e lo scioglimento anticipato delle Camere. I tempi per far arrivare il provvedimento al traguardo con sotto la firma dell’attuale ministro dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi, ci sarebbero tutti. La questione, a questo punto, diventa squisitamente politica: si tratta, cioè, di capire se nelle prossime settimane il Parlamento darà il parere agli atti che gli verranno sottoposti o rinvierà l’incombenza alle nuove Camere.
Non è, tuttavia, l’unico problema che si presenta davanti al regolamento. Ci si sono messi, infatti, anche i giudici amministrativi. La scorsa settimana il Tar Lazio ha bocciato il Dpr 117/2011 che consente alle fondazioni liriche a posto con i bilanci e con una particolare offerta culturale, di aspirare a forme di organizzazione speciale, che in sostanza si traducono in una più ampia autonomia. Status che finora è stato concesso, con decreti successivi al Dpr 117, alla Scala e all’Accademia di Santa Cecilia. A causare l’annullamento del Dpr è, secondo i giudici di primo grado, il fatto che le organizzazioni sindacali non sono state coinvolte durante la predisposizione dell’atto. Il ministero dei Beni culturali non si dà per vinto e presenterà appello al Consiglio di Stato, chiedendo la sospensione della decisione del Tar. Per il regolamento in arrivo, però, l’imprevista bocciatura può rappresentare un’opportunità più che un ostacolo. A via del Collegio Romano, infatti, si sta limando il testo in modo che le nuove regole salvaguardino la specificità della Scala e di S. Cecilia. Anzi, quello status viene sostanzialmente esteso alle altre fondazioni, superando così il Dpr 117, che viene abrogato.
Novità che va a far compagnia alle altre disposizioni pronte al debutto, tra le quali spiccano i nuovi requisiti che le fondazioni liriche dovranno avere per poter continuare a percepire i contributi statali, che nel 2011 ammontavano a 219 milioni di euro e quest’anno scenderanno a 201 milioni. La parte del leone delle sovvenzioni la gioca il fondo unico per lo spettacolo (Fus), passato dai 191 milioni del 2011 ai 193 milioni di quest’anno. Ebbene, per non perdere quei finanziamenti, le fondazioni dovranno mettere sul piatto una somma – tra aiuti della Regione, del Comune e dei privati – di importo almeno pari a quella ricevuta da Roma. Nel caso questo equilibrio non venga rispettato, la fondazione verrà “retrocessa” al rango di teatro di tradizione, con, tuttavia, la possibilità di riacquistare il “titolo” una volta soddisfatto il requisito.
Con la nuova regola si dovrà fare i conti quando si chiuderanno i bilanci del 2014, dato che il il regolamento entrerà in vigore a gennaio di quell’anno. Per il 2014 è stata, invece, prevista una norma transitoria, secondo la quale la qualifica di fondazione lirico-sinfonica verrà conservata da quegli enti che negli esercizi 2012 e 2013 chiuderanno il conto economico in pareggio.
Altra novità inserita nel regolamento è quella sulla governance delle fondazioni: in particolare, cade il vincolo che imponeva al sindaco di essere presidente del consiglio di amministrazione dell’ente. Questo significa che il primo cittadino potrà anche conservare la carica di presidente, ma non sarà più obbligato a farlo. Allo stesso tempo, il Cda viene investito di maggiore autonomia decisionale, con corrispondente aumento della responsabilità. Tra gli altri interventi futuri di competenza del Cda, ci sarà anche quello di chiudere il contratto di lavoro, che ora è nazionale (il nuovo contratto è stato siglato di recente, dopo una sofferta trattativa). Scaduti i tre anni di vigenza del nuovo contratto, ogni fondazione gestirà la partita in proprio, affrontando in autonomia lo spinoso problema del costo del lavoro, che nel 2010 era, complessivamente, di oltre 330 milioni di euro.
Il regolamento chiede, in tal senso, di praticare economie di scala, mettendo in campo soluzioni comuni. Risparmi che devono provenire non solo dal fronte del personale, ma anche da un maggiore coordinamento tra le fondazioni, per esempio facendo entrare in circolo gli allestimenti che hanno riscosso maggior successo.
Il nuovo provvedimento, infine, si presenta come una sorta di testo unico della materia. Seppure concentrato in pochi articoli, il regolamento serve anche a raccogliere le norme finora sparse in svariati atti e ad abrogare quelle che non hanno più ragione di esistere. Insomma, come il libretto di un’opera la cui scommessa è ora arrivare alla fine.
Il Corriere della Sera 17.12.12

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