Piombino e Taranto hanno mare e acciaio, e un po’ si assomigliano, fatte le proporzioni – Piombino ha 36 mila abitanti. Di Taranto si sa. Anche Piombino se la vede bruttissima. Alla Lucchini, 2.100 dipendenti (di cui quattro donne operaie, e sessanta stranieri) più 1.500 dell’indotto, età media 32 anni, giovedì mattina si è fermato l’altoforno, in teoria fino all’11 gennaio. Spiega Mirko Lami, operaio e sindacalista: «La produzione era già bassa, dunque anche la temperatura della parte inferiore, il crogiolo, sicché c’è il rischio che la ghisa si rapprenda. Successe già nel 1989, bisognò forare e piazzare la dinamite, poi entrare con le motopale, ma viene giù anche il refrattario e bisogna ricostruire tutto, e costa carissimo. L’altoforno è una bestia larga 14 metri e alta 30, può sfornare 2,3 milioni di tonnellate di ghisa, nell’ultimo anno ne ha tirate fuori solo 1,2 milioni, il minimo. Siamo preoccupati».
Gli impianti siderurgici a ciclo integrale in Italia sono due, Taranto (che di altoforni ne ha cinque, e ne ha appena spento uno) e Piombino. L’Ilva è, finché dura, dei Riva. L’acciaieria di Piombino non è di nessuno, più o meno. Ha una storia più che secolare, e non tanti anni fa ci lavoravano in ottomila. Privatizzata coi Lucchini, passò ai russi della Severstal (stal, acciaio, come Stalin…), che progettarono un nuovo altoforno, tre milioni di tonnellate: «Ci lavorammo sei mesi, e nel 2008, all’arrivo della crisi, in tre giorni liquidarono tutto». Il magnate Mordashov, troppo ricco per essere visibile a occhio nudo, l’ha passata per un euro a un pool di nove banche creditrici, le quali, oltre che ristrutturare il debito, non sanno che farne. Ci si può vedere una conferma della fine del ciclo integrale per l’acciaio: affare di Cina e India, mentre nei Paesi rottamatori è il tempo dei forni elettrici. «Ma solo noi fabbrichiamo le rotaie dell’Alta velocità, 108 metri senza saldatura – avverte Mirko, che un certo orgoglio da produttore ce l’ha – Il rottame è intriso di impurità, e i forni elettrici arrivano solo a 1200 gradi; l’altoforno tocca i 1700 gradi, così da bruciare le impurità». (Tutti i binari italiani sono venuti da qui. Oscar Sinigaglia aveva profetizzato nel 1946: «Verrà un giorno in cui le rotaie saranno fabbricate in un determinato acciaio speciale…». L’ha raccontato su
Repubblica Alessandra Carini il 3 dicembre: L’Ilva e il made in Italy).
Piombino e Taranto sono anche differenti. A Piombino non c’è la diossina, che viene soprattutto dall’agglomerazione (riservata alla Ferriera, stessa proprietà, nel centro di Trieste): dal-l’Ilva di Taranto proviene più del 90 per cento delle diossine industriali
emesse in Italia! Michele Riondino, tarantino figlio dell’Ilva e primattore del film tratto dal romanzo di Silvia Avallone, Acciaio,
dopo aver girato dentro la Lucchini commenta: «Vedere come qui rispettano le direttive europee sulle emissioni inquinanti è stato uno shock». A ridosso di qualche malumore piombinista contro il romanzo, in cui i giovani operai si drogano, si fece notare che ci sono controlli stretti del Sert e l’alcol test dell’Asl a ogni turno, tasso zero.
Ci sono anche alla Lucchini dei parchi minerali scoperti, e nei giorni di scirocco lo spolverio arriva alle case operaie di Cotone e Poggetto. Ma complessivamente a Piombino – che ha altri due stabilimenti siderurgici storici, la Magona, laminazione ora della Mittal, 650 addetti e a mezzo regime, e la Dalmine, tubificio dei Rocca, 140 addetti – non c’è contrapposizione fra città e fabbrica. Il 19 novembre diecimila persone sfilarono per il lavoro con tutti i negozi chiusi per solidarietà. A ottobre fu il sindaco, Gianni Anselmi, con tre operai, ad arrampicarsi su un tetto della Lucchini perché il governo si decidesse a incontrarlo. Era buffo, per chi lo conosce serio serio, vederlo appollaiato lì sopra. Anselmi ha 45 anni, è al secondo mandato: «Il mio primo giorno da sindaco, nel giugno del 2004, morì alla Lucchini un operaio, folgorato da una scarica elettrica, Giancarlo Frangioni. Fu come un monito per me».
Il governo, dunque. «Nessuno di noi è statalista – dice Alessio Gramolati, segretario della Cgil toscana – ma non si può pensare di far vivacchiare la siderurgia senza un piano industriale nazionale ». In realtà, ne occorrerebbe uno europeo. «Veniamo dalla chiusura di nove altoforni in Europa, ne sono rimasti tredici, in Italia sei, cioè cinque, cioè quattro e mezzo. È l’ora di ridistribuire la produzione. A Taranto, benissimo che vada, ci sarà un forte ridimensionamento, non imposto dal mercato. Terni è già andata coi finlandesi, un terzo in Germania, uno dismesso, uno svenduto. Sotto una soglia la siderurgia non è più conveniente: il governo non sa fissare questa soglia.
A Piombino solo un progetto nazionale potrebbe affrontare il revamping dell’altoforno, il restauro e l’ammodernamento, per una domanda più alta».
Si abusa dell’aggettivo “strategico”, ma si lascia andare tutto alla deriva. «Le aziende commissariate, in Italia, erano casi straordinari: oggi sono cinquecento, e grosse». Piombino chiede l’amministrazione straordinaria e la nomina di un commissario governativo. Le banche non ci credono. Il governo – che ormai c’era una volta – concorda, ma non decide. Il “Garante”, ancora fantomatico, del decreto per l’Ilva dovrebbe piuttosto diventare un organismo capace di coordinare l’intera siderurgia italiana. Trieste è – troppo tardi – sull’orlo della chiusura. La ex Severstal ha ancora quattro fabbriche in Italia: quella “buona”, di Bari, è riuscita a venderla agli slovacchi per fare cassa: produce sofisticati aghi da scambi ferroviari, che durano il doppio dei concorrenti. La Toscana del presidente Enrico Rossi ha candidato Piombino come «area di crisi complessa» secondo il decreto sviluppo che da ieri è legge, e riguarda le aree industriali specializzate in cui c’è stata una forte presenza pubblica. Dice il sindaco: «Abbiamo anche la più grande centrale termoelettrica Enel, va solo d’estate, hanno tentato di convertirla a carbone, ci siamo sempre opposti: ha accanto le spiagge a bandiera blu fino a Follonica. Noi dobbiamo tenere assieme l’industria con l’archeologia e la bellezza di Baratti e la città vecchia e le 850 mila presenze turistiche. Lucchini occupa il 60 per cento del sito di bonifica, ostacolando ogni iniziativa di conversione del territorio. Questa invadenza può rovesciarsi in un’occasione per il riuso, gli spazi portuali. Le banche non sono un interlocutore: o un vero imprenditore siderurgico con un piano efficace, o un commissario – non certo i furbacchioni che volteggiano sopra le agonie industriali, e anche nel nostro cielo».
Chiedo dei rapporti in fabbrica, a confronto con l’autoritarismo dell’Ilva, i suoi operai scomodi confinati, i sindacati irretiti a suon di milioni nella ragnatela padronale. «I Lucchini avevano la mano pesante, venivano dal tondino, da Brescia, come i Riva, nemici giurati. È stata dura». Dice Mirko: «Un paio d’anni a contare i gabbiani li ho passati anch’io: ancora un po’, e mi sarei laureato ». Quanto alle elargizioni per addomesticare sindacati e amministratori, il sindaco ride: «Per strappare 20 mila euro ai russi per il Piombino di calcio ho sudato sette camicie».
La Repubblica 16.12.12
Pubblicato il 16 Dicembre 2012