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“Scuola, se cala la capacità di comprendere la lettura”, di Benedetto Vertecchi

Ancora una volta, la pubblicazione dei dati di un’importante ricerca comparative sui risultati conseguiti in vari sistemi scolastici è stata l’occasione per esprimere giudizi da bar dello sport. In questo caso, si tratta di una rilevazione promossa dall’International Association for the Evaluation of Educational Assessment (Iea), volta ad accertare il livello di capacità di comprensione della lettura raggiunto dagli allievi che frequentano il quarto anno del ciclo dell’istruzione primaria (Pirls, acronimo di Programme for International Reading Literacy Study). In Italia, tale definizione individua i bambini di nove anni. Rilevazioni precedenti avevano consentito di esprimere un giudizio ampiamente positivo sulla capacità di comprensione raggiunta nelle scuole elementari italiane. L’Italia si collocava, infatti, nelle prime posizioni della graduatoria. Ora è emersa una situazione diversa: le nostre scuole, pur continuando a collocarsi al di sopra della media dei Paesi partecipanti, sono scivolate di molte posizioni nella classifica internazionale. Sono subito emerse due linee interpretative. Da un lato si è sostenuto che la perdita è stata modesta, e comunque ci si trova di fronte ad un quadro che è ancora fondamentalmente positivo. Ma, dal lato opposto, si è fatto osservare che i risultati meno positivi sono stati ottenuti in un periodo di tempo in cui le scuole elementari hanno subito gli effetti devastanti delle modifiche degli ordinamenti (mi rifiuto di chiamarle riforme) introdotte quando responsabili del ministero dell’Istruzione erano prima Letizia Moratti e, dopo un paio d’anni di intervallo, Mariastella Gelmini. Anche se questa seconda posizione ha molto di vero, considerato il basso profilo degli interventi menzionati, credo che in un caso e nell’altro ci si limiti a rilevare sintomi marginali di un male molto maggiore, che non ha origine nel sistema scolastico, anche se per molti versi è proprio l’attività educativa quella che deve subirne le conseguenze più gravi.
Infatti, sullo sviluppo della comprensione della lettura influiscono sia le decisioni didattiche assunte all’interno della scuola, sia le esperienze che gli allievi compiono al suo esterno. Da troppo tempo le scelte politiche hanno lasciato che si affermasse a livello sociale una cultura che contrasta sostanzialmente con quella che fa da supporto all’educazione scolastica. Bambini e ragazzi sono sottoposti a condizionamenti il cui intento principale è di accrescerne la propen- sione al consumo e, per ottenere che questo intento si realizzi, si ricorre a messaggi di facile acquisizione, che non richiedono un particolare impegno per essere compresi, che comportano un numero limitato di parole e sono privi di asperità grammaticali e sintattiche. Sul piano della motivazione, i messaggi sono resi accattivanti per le prospettive di successo che evocano o a cui alludono. I messaggi sono proposti da personaggi sorridenti, nei quali tutto mostra che abbiano raggiunto i risultati che fanno intravedere e che si traducono, nell’immediato, nell’acquisizione di oggetti del desiderio e, in prospettiva, di quantità indefinite di denaro.
Tutti sono felici, ma nessuno spiega perché lo siano. È possibile che non ci si ponga mai il problema delle conseguenze che può avere sulla popolazione l’assenza di una politica per l’educazione e la cultura sottratta alle rozze logiche speculative che ormai sembrano padrone incontrastate del campo? Eppure, si tratta di un problema non solo italiano, per il quale altrove sono già state elaborate soluzioni, che consistono nell’accrescere il tempo di funzionamento delle scuole per contrastare l’effetto dei condizionamenti esterni. Bambini e ragazzi trascorrono a scuola gran parte del loro tempo, svolgendo attività il cui scopo è di bilanciare l’incidenza negativa delle esperienze che si compiono nella vita quotidiana.
Negli anni passati si sono avute continue riprove di quanto poco le rilevazioni a fini valutativi siano considerate il punto di partenza per riflettere sui mutamenti in atto nella cultura e nella società, e per assumere le decisioni capaci di contribuire e orientare i cambiamenti attraverso l’educazione. C’è bisogno di affermare interpretazioni meno anguste della valutazione del sistema scolastico: non basta rilevare che i dati non soddisfano, ma si devono cercare le ragioni delle difficoltà che le scuole incontrano nello svolgimento del loro compito. La ricerca valutativa non può esaurirsi in rilevazioni impegnative (come sono quelle che coinvolgono tutti gli allievi), dalle quali provengono solo modeste indicazioni su ciò che non funziona e nessuna indicazione sul perché. Occorre esaminare l’evoluzione del linguaggio, delle strutture argomentative, dei repertori sapienziali, degli apprendimenti impliciti e via elencando. E non ci si può limita- re ad un esame dall’interno delle scuole, ma si deve considerare in che modo sulla loro attività si esercitino i condizionamenti dall’esterno.
L’Unità 14.12.12

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