attualità, partito democratico, politica italiana

“La nuova stagione”, di Pietro Spataro

Il nostro Bobo ha colto lo spirito del tempo con un giorno di anticipo. Lo ha fatto con la consueta pungente ironia: «Voi che fate per queste feste?», chiede una coppia sullo sfondo di una città illuminata per Natale. E lui, quasi con orgoglio: «Noi del Pd, le primarie». La vignetta di Sergio Staino è apparsa su questa pagina martedì. E ieri il Pd ha dato il via libera alle primarie per la scelta dei parlamentari, proprio nei giorni delle feste.
Sarà un’altra prova di democrazia che sicuramente sottopone a uno sforzo enorme quei centomila volontari che si sono già sobbarcati, solo qualche giorno fa, i due turni del voto per decidere il candidato premier. E che allo stesso modo chiede a quei tre milioni che sono andati ai gazebo di trovare il tempo e l’impegno per neutralizzare uno degli effetti perversi del Porcellum che il Pdl non ha voluto cancellare: i parlamentari nominati. In questo modo Bersani, insieme con Vendola che ha compiuto la stessa scelta, conferma la sua linea di massima apertura, mantiene spalancata la porta del Pd. Una connessione attiva con l’elettorato, infatti, può dare la forza necessaria – popolare e di massa – a un partito che ha l’ambizione di portare il Paese fuori dalle secche in cui lo ha cacciato il ventennio del populismo. Non sarà un’impresa facile, bisogna esserne consapevoli. Anzi, sarà un’impresa piena di ostacoli, forse anche di trappole. Però il centrosinistra può affrontare questa sfida, e combattere per vincerla, solo se riesce a interpretare un nuovo spirito nazionale e a dare respiro a una comunità di donne e di uomini che sentono che il Paese ha bisogno di prendere finalmente un altro cammino. È questa in fondo, nel legame tra democrazia e uguaglianza, la vera partita che si è aperta in Italia e in Europa.
La nuova stagione che è cominciata domenica 25 novembre, il primo giorno delle primarie, ha quindi un segno di novità che va oltre i confini di una forza politica o di una coalizione e persino dei suoi leader. Si è aperto un sentiero che può condurre, infatti, a un’idea diversa della politica e della democrazia.
Un’idea alternativa a quella interpretata non solo dal «ghe pensi mi» di Silvio Berlusconi, ma anche agli istinti leaderistici che spingono in queste ore poteri più o meno forti a presentarsi come i giustizieri della casta (secondo l’adagio del sono tutti uguali, tutti rubano alla stessa maniera) dopo aver puntellato a lungo l’edificio di una destra aggressiva e a tratti sovversiva. È il modello che ha permeato di sé la Seconda Repubblica che oggi mostra le sue crepe vistose e va archiviato al più presto: l’io invece che il noi, l’uomo solo al comando invece che un leader espressione di un popolo e dei suoi valori.
Basta guardarsi attorno, proprio in questi giorni così convulsi, per misurare la distanza che separa queste due concezioni della politica. C’è un partito, tenuto in pugno per venti anni dallo stesso capo in modo padronale che non riesce a trovare il coraggio – e gli uomini che lo abbiano quel coraggio – per archiviare una fase e il leader che l’ha guidata. Berlusconi ha deciso quattro o cinque volte di ricandidarsi e poi di scandidarsi per candidare altri al suo posto, ha aspettato che il segretario (tra l’altro nominato da lui) convocasse le primarie per poi cancellarle con la velocità di una dichiarazione. Insomma, quasi un caso di decadente monarchia assoluta che forse un intrigo di palazzo (o di palazzi, visto il discredito che si è conquistato in giro per il mondo) può buttar giù.
Ma poi, se si volge lo sguardo più in là, appare l’altro prodotto del ventennio: un movimento «nuovo», guidato da un comico e da un mago del web, che con le sue promesse dissacratorie rischia di imbrogliare tante brave persone che cercano un’altra politica. E lo fa usando una specie di versione 2.0 del vecchio partito totalitario. Con il contorno di condanne, epurazioni, espulsioni e autodenunce pubbliche e il grido liberatorio «fuori dalle palle».
Il faticoso tentativo di Bersani va in un’altra direzione. Certo, non saranno tutte rose e fiori, perché quando si fa entrare aria nuova c’è sempre qualcuno che ha paura di prendersi il raffreddore e corre a chiudere porte e finestre. Oppure c’è chi perde di vista la luna per concentrarsi sul dito. E quindi mettiamo nel conto qualche resistenza e qualche nuova polemica sulle procedure, sulle date e sulle regole. Va bene così, ogni cambiamento non è un pranzo di gala. Ma cerchiamo di guardare avanti e di vedere la storia nella sua interezza: la strada imboccata dal Pd, da Sel e dal centrosinistra è una sfida difficilissima, ma bella e possibile. Se si vince, la democrazia può tornare a essere il luogo dove s’incontrano governanti e governati, senza bisogno di uomini della provvidenza. E la politica può riacquistare il suo significato: la passione unitaria per il bene comune e non la cura degli interessi privati.
L’Unità 13.12.12