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“Se anche il violino diventa precario”, di Bruno Ugolini

Non c’è solo la marea d’insegnanti precari e di altri lavoratori pubblici di cui si parla in questi giorni. Esistono anche precari speciali, magari considerati dei privilegiati, perché fanno un mestiere appassionante. Sono i musicisti. Non parlo solo, che so, del primo violino della orchestra della Scala che abbiamo potuto sorprendere mentre corrispondeva ai gesti impetuosi di Daniel Barenboim nel Lohengrin. Esistono molti altri musicisti che non hanno raggiunto quel posto e che conducono una vita precaria. E la loro condizione, dal punto di vista del reddito, dei diritti e delle tutele, non è molto dissimile da quella di tanti giovani informatici, o pony express, o commessi in negozi, o in operai di ditte in appalto. Ha spiegato la loro condizione tempo fa su www.rassegna.it una giovane poco più che trentenne, Sabina Morelli. Una ragazza che ha cominciato a studíare col violino quando aveva otto anni. Credeva di poter iniziare una vita professionale ricca di emozioni. Non ha fatto altro che condurre “un continuo peregrinare in cerca di lavoro, passando da un’orchestra all’altra”. Una vita da nomadi. Un tirare a campare facendo quelle che chiama «marchette», «ovvero suonando qua e là, rigorosamente in nero, spesso in condizioni poco consone (al freddo per esempio) e, soprattutto, senza gioia». Racconta come lei e molti altri ricevano chiamate del tipo: «Vieni a suonare tre giorni». Poi «ti pagano 200 euro in contanti, nei casi fortunati la sera stessa, ma più spesso dopo sei mesi. Oppure, ti fanno un rimborso spese di 80 euro, sul quale comunque non si pagano le tasse, e poi il resto te lo danno in nero. Naturalmente senza alcuna garanzia, per cui se ti ammali, addio». Sabina racconta, ad esempio, di un’esperienza emblematica con un’ orchestra italiana, diretta da un musicista di fama internazionale. «Abbiamo suonato a Londra, alla Royal Albert Hall, e sono stata pagata 50 euro con ritenuta d’acconto e i restanti 200 (250 é il cachet standard di questa orchestra) in nero dopo due mesi». La riforma pensioni della Fornero non ha pensato a lei: «Ho pochissimi contributi versati dalle poche orchestre stabili con cui ho lavorato, che sono le uniche che pagano regolarmente, anche se sempre con contratti precari di una, due settimane al massimo». La sua condizione è suffragata dai tanti commenti che hanno condiviso il suo racconto. E c’è chi tra le difficoltà della professione rammenta lo strumento: «Un violino decente (escluso l’archetto) per un diploma non può costare meno di 6-7.000 euro. Spesa che se hai il papà che te lo può pagare è un conto, altrimenti a 20 anni ti attacchi». Non sono casi isolati di vite difficili. Il Siam-Cgil (Sindacato italiano artisti della musica) ricorda come il 95% dei musicisti professionisti in Italia sia rappresentato da lavoratori intermittenti. Sarà possibile mutare questi destini? Leggiamo su «Conquiste del lavoro», quotidiano della Cisl, una recensione di Michele Checchi a un saggio di Guy Standing, sociologo inglese («Precari, la nuova classe esplosiva», Il Mulino). Secondo l’autore, la classe precaria «dovrebbe avere rappresentatività, agire in forme solidali, trovare interlocutori che sappiano ripensare il lavoro nel suo ruolo fondante». I progressisti di tutto il mondo dovrebbero rendersi fautori di quella che Standing chiama «una politica per il paradiso». Ora, paradisi a parte, si potrebbe pensare non tanto a posti fissi anche per i violinisti nomadi, ma a tutele e diritti. Nel recente dibattito per le primarie del centrosinistra il tema dei precari è stato appena toccato. Nella stessa «Carta d’intenti, Italia bene comune» Bersani, Renzi e Vendola affermano però che «La battaglia per la dignita’ e l’autonomia del lavoro… riguarda oggi la lavoratrice precaria come l’operaio sindacalizzato, il piccolo imprenditore o artigiano non meno dell’impiegato pubblico, il giovane professionista sottopagato al pari dell’insegnante o della ricercatrice universitaria». E ci s’impegna a spezzare «la spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione». Così come si promette una legge sulla rappresentanza poiché «Non possiamo consentire né che si continui con l’arbitrio della condotta di aziende che discriminano i lavoratori, né che ci sia una rappresentanza sindacale che prescinda dal voto dei lavoratori sui contratti». Ottimi intenti da accompagnare ad ancor più concrete proposte sul futuro di Sabina e dei tanti tra sorelle e fratelli del vasto pianeta precari.
L’Unità 10.12.12