attualità, politica italiana

“La pistola del cavaliere”, di Massimo Giannini

La destra disperata celebra l’unico rito pagano che ha imparato a conoscere in questi anni: l’Eterno Ritorno del Cavaliere. Non c’è altro dio, per i sedicenti “moderati” italiani, ancora una volta prigionieri del mito titanico e tirannico del demiurgo di Arcore. E Berlusconi riscende in campo nell’unico modo che sa e che ha imparato a recitare dal 1994 ad oggi: con la pistola in mano, puntata alla tempia degli amici e dei nemici, di Monti e del Paese.
La ricandidatura del Cavaliere e la doppia astensione del Pdl al Senato sul decretosviluppo e alla Camera sul decreto- costi della politica, sono due scelte strettamente collegate l’una all’altra. Quella di Berlusconi non è una semplice mossa tattica, o una reazione isterica innescata dalla battuta di un «untorello» (come Cicchitto definisce Corrado Passera). È invece un una vera e propria rottura politica, che imprime una torsione pericolosa a questo già tribolato finale di legislatura.
Il Cavaliere punta la sua pistola prima di tutto contro il suo partito allo sbando. La decisione di correre per la sesta volta alla premiership, dopo aver giocato infinite volte al ruolo improbabile di un saggio Cincinnato, fa piazza pulita di tutte le velleità di rinnovamento del Pdl. Altro che «primarie delle idee» e ricambio dei gruppi dirigenti: Berlusconi conosce un’unica dimensione, quella dell’uomo solo al comando, accudito dalle sue amazzoni e acclamato dai suoi fedeli. Altro che «padre nobile» e riposo a Malindi: Berlusconi può esistere solo nel villaggio globale del potere, non nel villaggio vacanze di Briatore. Altro che «nuova Forza Italia», altro che «Cosa azzurra»: il Pdl, oggi e per sempre, è cosa sua.
Lo dimostra la sorprendente solerzia con la quale i luogotenenti (a parte qualche lodevole eccezione alla Frattini o Crosetto) hanno eseguito l’ordine di boicottare i decreti all’esame delle Camere e di sabotare il governo. Lo dimostra la disarmante arrendevolezza con la quale Alfano (la «grande speranza dei modernizzatori» interni) si è piegato ai voleri superiori, confermando di non avere il “quid” e di essere il segretario del Cavaliere, non il Segretario del partito.
Ma il Cavaliere punta la sua pistola soprattutto contro il governo Monti, e la strana maggioranza che lo sostiene. Il movente è la disperazione: il leader del Pdl non può vincere le prossime elezioni, ma vuole almeno tenersi aggrappato a quel 15-20% di italiani ancora disposti a seguirlo in nome dell’ideologismo populista e della pregiudiziale anti-comunista, e a votarlo per arginare la probabile vittoria dei «rossi » guidati da Bersani ed eterodiretti da Vendola e dalla Cgil.
Per recuperare almeno una parte del suo «popolo» (in fuga dopo troppi anni di promesse tradite) la destra punta tutto sulla crisi economica e sul disagio sociale, che lei stessa ha prodotto con una gestione scellerata della finanza pubblica. Investe sul malessere profondo dei ceti medi, vellicando ancora una volta i soliti istinti sfascisti e scommettendo su tutto ciò che è «anti»: anti- tasse, anti-Imu, anti-Europa. Per questo la prima «vittima » della rottura è il governo Monti, che Berlusconi ha già cominciato a bastonare in Parlamento e che continuerà a picconare per l’intera campagna elettorale.
In questa svolta «peggiorista», il Cavaliere è agito non solo dall’istinto di sopravvivenza politica, ma anche dal solito istinto di conservazione personale. E dunque non rinuncia a tenere il governo sotto ricatto, su tutti i tavoli ancora aperti per il Pdl. Dall’election day (dove si tratta di evitare una sequenza di sicure disfatte tra voto nazionale e voto ammini-strativo nel Lazio, in Molise e in Lombardia) alla legge elettorale (dove si tratta a questo punto di blindare il «Porcellum », per consentire ancora una volta l’alleanza con la Lega e la «nomina» dei candidati con le liste bloccate). Dal decreto sull’incandidabilità (dove si tratta di salvare lo stesso Berlusconi condannato in primo grado nel processo Mediaset e poi di garantirsi un manipolo di opliti scelti e pronti a tutti anche nella prossima legislatura) all’asta per le frequenze (dove si tratta di impedire che l’impero televisivo del tycoon subisca altri danni dopo l’annullamento del beauty contest) .
Non è ancora chiaro se il ricatto berlusconiano possa spingersi al punto di innescare una crisi prima della data già fissata da Napolitano per lo scioglimento delle Camere. Quello che è certo, è che il via libera alla legge di stabilità è un impegno al quale il Paese non può venir meno. E quello che è altrettanto certo, è che di fronte alle fibrillazioni politiche di queste ore i mercati hanno già risuonato il campanello d’allarme dello spread, tornato oltre quota 330, a conferma di quanto sia ancora fragile il marchio tricolore nelle cancellerie e sulle piazze finanziarie internazionali.
Tutto questo, al leader di una destra italiana incapace di diventare «normale», non interessa. Oggi come ieri, il Cavaliere o è dirompente e tecnicamente eversivo, o non è. Ancora una volta, è disposto a sacrificare il bene comune sull’altare dei suoi interessi privati, e a giocare alla roulette russa con l’Italia. Speriamo solo che gli elettori lo abbiano capito. Forse la sua pistola, stavolta, spara solo a salve.
La Repubblica 07.12.12
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“Gli ultimi giorni di Palazzo Grazioli”, di FILIPPO CECCARELLI
MOVIMENTI di folla uguali e contrari davanti al portone principale, barzellette sul retro, volti sconosciuti al di là delle transenne, stridore di gomme, sventolio di striscioni, presagi da marciapiede.
ECOMUNQUE sono gli ultimi giorni di Palazzo Grazioli. Ieri, prima che iniziasse il vertice, che poi è cominciato come una specie di pranzo leggero, s’è presentato lì, per strada, l’onorevole Lehner. Recava con sé alcuni amici che ha presentato ai giornalisti come ex minatori del Monte Amiata, antifascisti e anticomunisti, ha specificato, già fondatori di un antichissimo club di Forza Italia.
Sono giorni molto complicati e forse anche per questo la politica assume un tratto un po’ onirico. Gli ex minatori, a loro volta, portavano una bandiera del gruppo «Nuova Forza Italia» con uno stemma invero non bellissimo con tre capocchie di ibiscus tricolore, e poi hanno inalberato uno striscione che diceva: «Silvio, l’Italia crede in te».
L’affermazione è anche comprensibile, ma ormai suona eccessiva perfino sul posto. Qualche giorno fa, proprio dove ieri stazionavano i devoti lehneriani, si sono presentati alcuni giovani sempre del Pdl, però niente affatto fiduciosi nei confronti del Cavaliere, tanto da indossare provocatorie maschere tipo Anonymous e cerottoni sulla bocca.
Invocavano infatti quelle benedette primarie per organizzare le quali proprio lì a Palazzo Grazioli, dall’inizio di novembre, era stato impiantato un «tavolo delle regole», stesa una bozza e poi approvato un regolamento. Mancavano solo i garanti: «Li sceglierò io» aveva chiarito a scanso d’equivoci il presidentissimo, prima di cominciare inesorabilmente a traccheggiare e poi a cambiare definitivamente idea.
Di qui il flash mob di «Officina futura» a via del Plebiscito, con la partecipazione ordinaria degli onorevoli Augello e Angelilli, coppia ex An, e quella straordinaria di Giorgia Meloni che s’era affacciata da quelle parti, pur evitando di farsi fotografare dietro uno striscione che diceva: «Basta giravolte, basta dinosauri».
La faccenda del dinosauro, o Berluscosauro, è un’altra di quelle stranezze che s’impongono per qualche giorno sulla scena in quanto sostenute dalla stessa materia di cui sono fatti i sogni.
Incalzato dai giornalisti e pressato dalla sua stessa e più completa mancanza di prospettive sul futuro (suo, del Pdl, del governo, dell’Italia), Berlusconi se n’è uscito dicendo che avrebbe tirato fuori dal cilindro non il classico coniglio, che non è roba da megalomani, ma un dinosauro.
Poi si vede che l’immagine gli è piaciuta e una settimana fa, uscendo a piedi sulla piazzetta Grazioli, c’è ritornato su con l’aggravante dell’umorismo abbinandola alla circostanza del suo dimagrimento avvenuto nel resort kenyota «Lion in the Sun». Anche in questo caso è difficile tenere assieme i fili di un discorso logico. Ma quando crollano i poteri, tra ex minatori, ibiscus, garanti e cerottoni, il ragionamento lascia un po’ il tempo che trova; e con tale premessa si troverebbe anche il cuore di far presente che proprio la notte in cui il centrodestra ha perso le elezioni in Sicilia, un giovanotto ubriaco, per giunta alla guida di una Porsche, ha prima abbattuto una fioriera e quindi si è andato a schiantare sulla facciata di Palazzo Grazioli.
Agli amanti delle premonizioni si dirà che è il secondo incidente di questo tipo, in meno di due anni. Mentre per quel che riguarda il «normale» tran tran cortigiano, è bene sapere che Berlusconi ha sfoggiato un Borsalini di feltro modello «Fedora» e raccontato di nuovo la storiella del fratello che si sente una gallina. In pieno accordo con la favorita di Sua Maestà, Francesca Pascale, come tale con diritto di posteggio di Smart nel cortile, l’onorevole Mariarosaria Rossi ha preso pieno possesso della dimora, per di più procedendo a una apprezzabile spending review.
Così come, dopo la raccolta del mese scorso, grazie a una sollecita nota dell’AdnKronossi è venuto a sapere che il regista di Berlusconi, Gasparotti, produce un olio biologico dal suo podere in Sabina.
Nel frattempo hanno varcato il fatidico portone due governatori dall’incerto futuro come Formigoni e Polverini; due onorevolissimi Cristiano Popolari, Baccini e Galati, che si sono assunti il gravoso impegno di intrattenere ignari vecchietti trasportandoli nelle loro convention («Tristi episodi di deportazione popolare » secondo il Foglio);
e infine due amazzoni consacrate al Cavaliere come Santanchè e Biancofiore.
Quest’ultima ha salutato ieri la ridiscesa in campo non solo evocando la luce dell’alba, ma attribuendo all’evento il potere di «riportare il sole nell’asfittica politica italiana». Altre deputatesse non hanno mancato di esprimere un sostegno che ai maliziosi è parso tanto più caldo quanto più tardivo. Sia come sia, Ravetto ha invitato il leader a compiere un «ulteriore sacrificio», Bernini ha manifestato «entusiasmo», Bergamini ha citato Cesare e «il dado è tratto», Renzulli «un attaccante che faccia gol» e Giammanco «il carisma», «la lungimiranza» e, visto che c’era, anche «la forza del combattente».
In compenso l’ex ministro Bondi si è molto scocciato e non vuole più partecipare a questi vertici. Il gran rifiuto è a far data da ieri. Quando è sceso per strada, sul Plebiscito c’era davvero una luce sinistra e stava per grandinare.
La Repubblica 07.12.12