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Censis: “Italia più povera e arrabbiata”. Redditi ai livelli del ’97, crollo per il ceto medio”, di Rosaria Amato

Una crisi peggiore delle altre, “perfida”, la definisce il Censis nel Rapporto 2012, presentato stamane al Cnel, che ci ha resi inermi di fronte a “eventi estremi”, quasi incomprensibili: non solo siamo stati costretti a imparare rapidamente il significato di parole come spread e default, ma le abbiamo viste travolgere la nostra vita, le nostre certezze. E allora gli italiani si sono trincerati nella “restanza”, cercando di “sfruttare al massimo tutte le più nascoste ma solide componenti del modello pluridecennale che ha fatto l’Italia di ieri e anche di oggi”. Risparmio, rinuncia e rinvio sono diventate per necessità le direttrici dei comportamenti familiari, le tre “r”, le chiama il Censis.
Ma non c’è solo paura, trincea, lo sguardo rivolto al passato non è solo nostalgico. Intanto, gli italiani non sono rassegnati. Se si chiede loro qual è la reazione alla crisi della politica, indicata come la causa prima del disastro attuale, la risposta prevalente è “rabbia” (52,3%). La rabbia è anche superiore alla voglia di reagire (20,1%), che però non manca. Gli italiani stanno cercando faticosamente di “riposizionarsi”. I giovani si orientano verso “percorsi di formazione tecnico-professionale dalle prospettive di inserimento occupazionale più certe”.
Emergono a tutti i livelli modelli di cooperazione: si va dai sempre più consistenti aiuti della rete familiare al boom del modello delle
imprese cooperative, cresciute in dieci anni del 14%, al noleggio e al car sharing come superamento dell’auto di proprietà. Si condivide, e si innova anche: la scuola si “internazionalizza”, favorendo gli scambi e i soggiorni all’estero di studenti e insegnanti. L’agricoltura diventa più organizzata e competitiva, il commercio inventa nuove reti e nuove forme di distribuzione. Cresce il numero delle imprese attente ai controlli e alle certificazioni di qualità, cambia il modo di informarsi degli italiani, sempre più legato ai social network e meno ai fenomeni tradizionali. Non è tutto sfacelo: il Censis vede consistenti “segnali di reazione degli italiani”, e coglie numerosi “processi di riposizionamento nel sociale e nell’economia”.
Famiglie allo stremo
I consumi delle famiglie, incapaci ormai di elaborare strategie innovative di sopravvivenza e prostrate da una crisi spietata, sono ritornati ai livelli del 1997: 15.700 euro annui pro capite, complice anche una flessione tendenziale del 2,8% nel primo trimestre di quest’anno, e del 4% nel secondo. La propensione al risparmio si è ridotta al lumicino, passando dal 12% del 2008 all’attuale 8%. L’83% delle famiglie ha riorganizzato la spesa alimentare cercando offerte speciali e cibi meno costosi, il 65,8% ha ridotto gli spostamenti per risparmiare sulla benzina, il 42% ha rinunciato ai viaggi e il 39,7% all’acquisto di abbigliamento e calzature. Le parole d’ordine sono “risparmio, rinuncio, rinvio”. Con qualche operazione “straordinaria” di sopravvivenza: 2,5 milioni di famiglie hanno venduto oro o altri oggetti preziosi, 2,7 milioni di italiani coltivano ortaggi e verdura per l’autoconsumo, 11 milioni di italiani preparano tutto in casa, dal pane ai gelati.
(Più) ricchi e (più) poveri
Negli ultimi dieci anni la ricchezza finanziaria netta è passata da 26.000 a 15.600 euro a famiglia, con una riduzione del 40,5%. Ma questa è la media. Nel dettaglio, le cose sono andate in maniera diversa: la quota di famiglie con una ricchezza finanziaria netta superiore a 500.000 euro è raddoppiata, passando dal 6% al 12,5%, mentre la quota di ricchezza del ceto medio (compresa tra i 50.000 e i 500.000 euro, e comprensiva anche dei beni immobili) è scesa dal 66,4% al 48,3%. C’è stato inoltre uno slittamento della ricchezza verso le componenti più anziane della popolazione: se nel 1991 i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni detenevano il 17,1% della ricchezza totale delle famiglie, nel 2010 tale quota è scesa al 5,2%.
Mai così tanti senza lavoro
Anziché usare banalmente il termine “disoccupati”, il Censis parla di 2.753.000 job seekers. Ma non si tratta di un “inglesismo” superfluo: è che questi quasi tre milioni di persone, in eccezionale aumento (+34,2% tra il primo semestre del 2011 e il primo del 2012) sono effettivamente “persone in cerca di lavoro”. Attive, dunque, anche se in difficoltà. Un quarto ha tra i 35 e i 44 anni, un altro quarto si colloca nelle fasce più anziane, gli altri sono under 35, i più penalizzati. Il 20,4% ha perso l’occupazione nel corso del 2011.
Il sostegno della famiglia
Nel corso del 2012 “il 29,6% delle famiglie ha realizzato un trasferimento economico a favore di un proprio componente, con un esborso annuo complessivo intorno ai 20 miliardi di euro”. La famiglia, in una situazione così drammatica, senza più punti di riferimento, fa da baluardo economico e da welfare. Per il resto, ci si arrangia come si può: la casa diventa un bed & breakfast (scelta compiuta dal 2,5% delle famiglie nelle grandi città), si affittano alloggi prima tenuti vuoti (3,9%, la quota delle famiglie in affitto nei centri urbani sfiora il 30%) o in ultima analisi si vende la propria casa, senza ricomprarne una nuova e rassegnandosi all’affitto (2,6%).
Il boom della cooperazione
Mentre i modelli produttivi tradizionali scricchiolano (nel manifatturiero si registra il 4,7% di imprese in meno tra il 2009 e oggi) si affermano nuovi settori, come quelli legati alle applicazioni Internet, o si rivalutano nicchie di mercato guardate a lungo con sufficienza, come la cooperazione. Le imprese cooperative sono cresciute del 14% tra il 2001 e il 2011, l’occupazione ha visto l’8% in più di addetti tra il 2007 e il 2011 (+2,8% nei primi nove mesi del 2012), a fronte del -1,2% degli occupati in Italia.
Piccoli Bill Gates crescono
Ci sono poi germogli di novità: nelle circa 800 start-up del 2011 nel settore delle applicazioni Internet l’età media degli imprenditori è di 32 anni. Molti inoltre gli investimenti nelle green technologies. Nell’industria digitale è ormai avvenuto il passaggio “all’era biomediatica”, caratterizzata dalla miniaturizzazione dell’hardware e dalla proliferazione delle commessioni mobili.
La scuola: “internazionalizzazione” e percorsi tecnici
In un sistema che si sgretola non ci sono più certezze, e i giovani a fronte al deserto di opportunità cercano nuove strade. Aiutati anche dalla scuola, che, per quanto abbandonata e “tagliata” da ogni nuovo governo che s’insedia, non rinuncia ad affiancare gli studenti nella ricerca di un percorso formativo adeguato a un mondo sempre più complesso. Il 68,1% dei dirigenti scolastici dichiara che la propria scuola negli ultimi cinque anni ha partecipato a percorsi di “internalizzazione”, il che significa non solo che gli studenti sono andati all’estero per scambi culturali (il 76,6% dei progetti va in questa direzione) ma che ci sono andati anche i professori (nel 38% delle scuole). E’ dunque una scuola sempre meno chiusa quella attuale. I giovani che hanno deciso di completare all’estero la loro formazione superiore sono aumentati del 42,6%. Un altro cambiamento degli ultimi anni è la disaffezione verso l’università (le immatricolazioni sono diminuite del 6,3%) e soprattutto verso le facoltà “generaliste”, e l’orientamento verso percorsi di studi di tipo tecnico-scientifico, che registrano un progresso del 2,7% tra il 2007 e il 2010.
larepubblica.it

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