attualità, politica italiana

“Una sentenza che cancella i veleni”, di Ugo De Siervo

Come era stato previsto da molti giuristi più responsabilmente attenti al nostro effettivo sistema costituzionale, la Consulta ha deciso il conflitto fra Capo dello Stato e Procura della Repubblica di Palermo nel senso che quest’ultima non poteva trattare le intercettazioni «casuali» del Presidente della Repubblica alla pari di quelle di un qualsiasi parlamentare, per di più inventandosi la giuridica impossibilità di rimediare all’invasione della sfera riservata del Presidente della Repubblica mediante una immediata distruzione delle intercettazioni illecitamente operate.
Le pur essenziali notizie deducibili dal comunicato della Corte Costituzionale, in attesa che vengano depositate le motivazioni dell’importante sentenza, sono molto chiare su due punti fondamentali: ammettiamo che le intercettazioni delle telefonate del Presidente della Repubblica siano effettivamente casuali (ma che pensare se fossero state intercettate addirittura telefonate in partenza dal Quirinale?).
I magistrati della procura della Repubblica non possono trattare le telefonate del Presidente come quelle di un qualsiasi altro soggetto, andando a valutare se fossero rilevanti o meno relativamente ad un ipotetico reato comune, che certamente era del tutto estraneo agli unici casi in cui, ai sensi dell’art. 90 della nostra Costituzione, il Presidente della Repubblica potrebbe essere considerato penalmente responsabile (alto tradimento o attentato alla Costituzione: gravi ipotesi delittuose che vedono peraltro la competenza di organi giudiziari diversi).
La piena autonomia del Presidente della Repubblica esige, infatti, che egli normalmente sia trattato in modo differenziato sul piano penale e processuale, senza intromissioni pericolose nella sfera dell’esercizio delle sue specifiche funzioni di garanzia e di indirizzo. E non vi è dubbio, come mi sono già permesso di scrivere su questo giornale, che il trattamento delle conversazioni del Presidente della Repubblica alla pari di quelle di qualsiasi altro cittadino possa produrre una menomazione delle attribuzioni costituzionali del Presidente.
In secondo luogo, il comunicato della Corte indica addirittura una precisa disposizione del codice di procedura penale che i magistrati della Procura di Palermo avrebbero ben potuto utilizzare per eliminare rapidamente le intercettazioni delle conversazioni del Presidente della Repubblica, così come in generale si devono sollecitamente eliminare le intercettazioni «eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge». Certo è assai strano che magistrati assai esperti ed in genere anche alquanto ardimentosi nella utilizzazione creativa di tutte le norme utili alla concretizzazione dei valori costituzionali abbiano cercato in questo caso di nascondersi dietro alla asserita mancanza di qualche puntuale norma di legge che prevedesse specificamente ciò che derivava da una precisa disposizione costituzionale.
Non resta quindi che dire che è avvenuto quanto era auspicabile e largamente prevedibile, sulla base di una equilibrata lettura delle vigenti disposizioni costituzionali.
Certo però è preoccupante pensare alle troppe forzature interpretative operate da alcune parti, evidentemente confondendo valutazioni politiche negative sulle scelte operate di recente dal Presidente della Repubblica (sempre possibili, anche se non condivisibili) con rozzi tentativi di coinvolgerlo in oscure vicende di tutt’altro genere. Su questa linea non può neppure sottovalutarsi il peso seriamente negativo di alcuni interventi di organi di stampa che hanno denigrato sia la Corte nel suo insieme che suoi singoli componenti; c’è da augurarsi davvero che le chiarificazioni apportate dall’esito del conflitto riducano od eliminino polemiche ingiuste e del tutto improprie.
La Stampa 05.12.12