Hillary Clinton è stata candidata dal sindaco di New York Michael Bloomberg a succedergli alla guida della Grande Mela. E ieri i cristianodemocratici tedeschi hanno riconfermato Angela Merkel alla presidenza del partito con un plebiscito: il 97,94% dei voti. Sta cambiando il rapporto tra le donne e il potere? Le due notizie confermano una tendenza che si sta affermando non soltanto in Occidente. Anche se le donne nelle posizioni apicali rappresentano ancora un’eccezione in tutto il mondo (a parte la solita «isola felice» scandinava), alla guida di una delle più importanti nazioni emergenti, il Brasile, c’è oggi una donna. Dilma Roussef. Anche il Paese vicino, l’Argentina, è guidato oggi da una rappresentante del gentil sesso, Christina Kirchner. E se si cambia continente, si scorgono segnali di cambiamento anche in Africa, dove alla presidenza della Liberia c’è dal 2006 l’economista Ellen Johnson Sirleaf, insignita nel 2011 anche del Nobel per la Pace. Ma sono ancora mosche bianche.
Qual è il rapporto tra donne e potere in Italia?
Ancora pessimo. L’Italia non ha mai avuto nella sua storia repubblicana un presidente del Consiglio o un presidente della Repubblica donna. E quando Giuliano Amato candidò anni fa Emma Bonino al Quirinale, «lo guardarono come se avesse candidato un coleottero» ama raccontare lei stessa. Tra le massime cariche dello Stato, le donne hanno conquistato solamente la presidenza di Montecitorio, anche se per due volte. La prima con Nilde Iotti, che tenne l’incarico per un periodo che rappresenta tuttora un record, ben tre legislature (dal 1979 al 1992). La seconda fu la leghista Irene Pivetti, che vanta ad oggi il record di presidente più giovane di tutti i tempi. Nel 1994, quando il primo governo Berlusconi la scelse per la guida di Montecitorio, aveva 31 anni. Mantenne tuttavia l’incarico per neanche un anno, finché il suo partito, il Carroccio, fece cadere con l’ormai famoso “ribaltone” l’esecutivo che l’aveva proiettata su quella poltrona.
Quante sono le donne al governo?
Il governo Monti ha fatto una scelta coraggiosa: ha nominato tre donne per tre ministeri chiave, Elsa Fornero per il Lavoro, Anna Maria Cancellieri per l’Interno e Paola Severino per la Giustizia. È la prima volta che tre donne occupano contemporaneamente tre dicasteri di primissimo piano. E dopo un anno di governo Monti, una delle riforme più importanti – lo ha ribadito un mese fa anche il Fondo monetario internazionale – resta quella scritta da Elsa Fornero sulle pensioni. L’estensione del contributivo a tutti è una misura di equità intergenerazionale attesa da 16 anni, dall’ultima, importante riforma previdenziale, la Dini del 1995. Unico neo enorme – un errore grave per una riforma di quella portata -, quello degli esodati.
Chi è stato il primo ministro donna in Italia?
Volgendo lo sguardo indietro, anche in questo ambito siamo un Paese che ha deciso tardissimo di dare fiducia al gentil sesso. Soltanto nel 1976, dopo un trentennio di onorata storia repubblicana, il governo Andreotti ter ha affidato il ministero del Lavoro a Tina Anselmi. La grande politica democristiana ed ex staffetta partigiana è diventata in seguito anche responsabile della Sanità e ha lasciato un’eredità importante: ha contribuito a creare il Servizio sanitario nazionale, tuttora tra i migliori al mondo secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità. Oggi è una questione sempre più sentita, tanto che il candidato premier del centrosinistra, Pier Luigi Bersani, ha già dichiarato che la metà del suo governo, se vincerà le elezioni della prossima primavera, sarà costituito da donne.
Quante sono le donne nel Parlamento italiano e nelle altre istituzioni importanti?
Pochissime, ancora oggi. A Montecitorio le deputate sono 134 su 630, appena il 21,3%. In Senato la situazione è lievemente più deprimente: sono 61 le senatrici sul totale di 320, dunque il 19%. Rispetto al 2000 un miglioramento c’è stato, anzi, le donne sono raddoppiate. Allora le deputate erano l’11,5% e le senatrici l’8,1%. Ma siamo tuttora ben lontani dai livelli medi europei.
E nei sindacati o nelle autorità di vigilanza?
Zero assoluto. O quasi. Anche in questi settori, man mano che si procede verso i vertici, la presenza delle donne si fa più rarefatta. Unica eccezione, i sindacati, dove Susanna Camusso è riuscita per la prima volta a conquistare la guida della maggiore confederazione italiana, la Cgil, dopo oltre un secolo di storia. Tra l’altro, non è neanche la prima sindacalista donna a capo di un’organizzazione confederale: è stata l’attuale presidente della Regione Lazio Renata Polverini, a rubarle il primato, a diventare nel 2006 la prima capa di un sindacato confederale, l’Ugl, e anche la più giovane, a soli 44 anni. Quanto alle autorità di vigilanza, a cominciare dalla Banca d’Italia, le prime e seconde file sono quasi rigorosamente maschili.
La Stampa 05.12.12
Pubblicato il 5 Dicembre 2012