Sembrava che l’unica parola fosse ormai quella dell’antipolitica. E invece si è visto che quando la parola torna ai cittadini perché i partiti danno loro la possibilità di esprimersi, di prendere parte e di contare, l’antipolitica tace, o addirittura deve inseguire. Dunque uno spazio per la politica e per i partiti esiste, anche in questo Paese dove appariva corroso e consumato: a patto che i partiti si aprano invece di arroccarsi e che la politica, di conseguenza, torni a parlare la lingua popolare della gente.
Non capita spesso, da noi, che metà dello schieramento politico metta completamente in gioco la sua leadership, il profilo di governo, la sua stessa identità affidando la scelta ai cittadinielettori. Questa volta è accaduto, perché erano in campo due ipotesi divaricate per età, programmi, stili, progetti di alleanza e modelli culturali. Renzi aveva con sé la forza della rottura (che ha premiato nelle primarie tutti coloro che sparavano sul quartier generale), l’evidenza dell’età, l’energia del cambiamento. Tutti elementi in lui quasi antropologici, come se dicesse: sinistra e destra sono dell’altro secolo, la mia biografia è il mio programma e la garanzia del cambiamento.
Bersani aveva il peso dell’apparato ma anche il vantaggio dell’esperienza, dell’arte di governo, la capacità di trasmettere un’idea di sinistra aggiornata all’epoca che viviamo e all’Europa, un sentimento politico di sicurezza sociale che non rinnega il merito ma insegue l’uguaglianza.
Come se promettesse: la sinistra c’è ancora, è diversa dalla destra che abbiamo conosciuto e ha qualcosa da dire per governare la crisi.
Vincendo una sfida vera, senza rete di protezione, il segretario diventa leader. Ma sbaglia se pensa di aver sconfitto la voglia di cambiare, confinandola al 40 per cento. Quella domanda deborda, contagia, attende risposte. Se mai – e su questo è Renzi che deve riflettere – le primarie dicono che il tema del cambiamento è più ampio della pura questione generazionale e che il concetto di sinistra non si riduce al solo cambiamento.
Ma guai se Bersani si farà riagguantare dagli “elefanti” del partito, se si farà rinchiudere nel recinto del suo gruppo di vertice, interessato al dividendo della vittoria. Ormai è chiaro che quel partito è forte solo se è contendibile, scalabile, aperto, nuovo davvero. E qui Renzi, apriscatole del sistema, può essere più utile del “renzismo”: con un’alleanza per rinnovare metodi e politica e per battere la destra, visto che l’avversario – finite le primarie – torna a star fuori e non dentro il partito. Oggi la sinistra può vincere anche per le debolezze altrui, restando ferma. Ma per convincere e governare, deve cambiare davvero, partendo da se stessa. Il cammino è cominciato: soprattutto, è obbligatorio.
La Repubblica 04.12.12
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La road map del segretario “Ormai siamo un partito nuovo non si può più tornare indietro”, di Goffredo De Marchis
Siamo nella fase di studio, serve a liberarsi dalle scorie della competizione. Ieri infatti nessuna telefonata. Ma gli sfidanti delle primarie, vincitore e vinto, sembrano pronti per il pranzo a due e per il riconoscimento di un ruolo politico a Matteo Renzi.
Il sindaco di Firenze non vuole certo farsi imbrigliare nelle dinamiche del partito: segreteria, correnti. «Si può dare una mano e avere un’esposizione nazionale anche rimanendo le istituzioni. Io voglio fare così. Del resto Vendola sono anni che lo fa da governatore della Puglia». Il candidato premier Pier Luigi Bersani sa che bisogna andare con i piedi di piombo nel dialogo con lo sconfitto. Ma alcune sue parole lasciano intendere che in un patto per il cambiamento Renzi sarà protagonista. «Troveremo le forme per collaborare. Ormai siamo un partito nuovo, siamo il partito più aperto del mondo. E non si torna indietro. Chi ha voglia può partecipare in molte forme e più che in passato».
Adesso il pericolo, per entrambi, è dare l’impressione di un inciucio che getterebbe un’ombra sulle primarie. Bersani sgombra subito il campo: «Con Matteo non apriremo tavolini. Non banalizzeremo una cosa seria. Ma io vedo lo spazio per una convergenza di opinione». Porte aperte. L’intesa è da costruire, ma la volontà c’è. Partendo da un assunto, ripetuto anche in queste ore dal segretario del Pd. «Ha vinto il rinnovamento, è stata sconfitta la rottamazione ». Questo è il punto dirimente.
Arriveranno altri segnali di ricambio generazionale, altre responsabilità per volti giovani e sconosciuti, altre valorizzazioni per una nuova classe dirigente. Il ringraziamento pubblico rivolto dal palco della festa al Capranica al responsabile dell’organizzazione Nico Stumpo, dileggiato su Twitter per la vicenda delle regole, rappresenta un segnale per tutti.
Il festeggiamento continua nelle ore che precedono il viaggio a Tripoli del segretario. «Abbiamo preso un buon brodino», dice confermando che le primarie fanno bene, sono un ricostituente per il Pd. Ma è andata addirittura meglio del previsto. «Quando è arrivato il piatto c’era anche qualche cappelletto dentro». Una portata completa ed emiliana, cioè abbondante e saporita. E una metafora pronta per le parodie di Maurizio Crozza.
Ma la sfida vera comincia adesso. Per un paradosso della politica italiana, in questo momento Bersani ha un solo avversario: Mario Monti, ossia il presidente del Consiglio che il Pd sostiene. Il premier, racconta Bersani prima del volo per la Libia, è stato il primo in assoluto a chiamarlo per complimentarsi. «Sono atterrato alle otto e dieci e ha squillato il cellulare. È stata una telefonata molto affettuosa». Se i bersaniani sono convinti che alla fine il Professore sarà in campo da protagonista e non come riserva della Repubblica, il segretario è sicuro che anche la destra in qualche modo si organizzerà pur non essendo mai stata così debole. Non solo. Beppe Grillo si è inabissato durante le fasi finali delle primarie, ma Bersani è arciconvinto che riemergerà, che sarà aggressivo fin dai prossimi giorni. Per questo il Pd teme gli sviluppi sulla legge elettorale. Una legge difesa da Grillo, ma invisa agli elettori che attribuiscono le colpe delle liste bloccate alle forze politiche in Parlamento. Con qualche buona ragione. «Eppure — dicono a Largo del Nazareno — il Pdl sta preparando una trappola. Chiedere il voto segreto alla Camera e affossare la riforma. Così la colpa ricadrà su tutti i partiti».
Il rinnovamento e una presenza di Renzi in campagna elettorale accanto al candidato premier con le sue posizioni radicali in grado di intercettare i sentimenti dell’antipolitica, sono perciò indispensabili per arginare il fenomeno 5 stelle. Un’affermazione clamorosa dei grillini, del resto, avrebbe un effetto anche sulla candidatura Bersani. Spaventerebbe i partiti e li riporterebbe forse tra la braccia di un tecnico, anche in caso di una vittoria netta del centrosinistra. L’altro fronte è quello della credibilità internazionale. Bersani ha deciso di affrontare il problema dal punto di vista del mondo prima ancora che da quello degli equilibri della Ue. La partenza, all’indomani delle primarie, da Tripoli, dal luogo di cambiamenti profondissimi dove gli Stati uniti faticano a trovare un bandolo, lo dimostra.
Un’altra tappa è prevista a breve in Sudamerica. Un modo per dire che la crisi non va preso solo dal lato del rigore ma ha bisogno di economie nuove o in grandissima crescita. Ma nel frattempo riceve una sorta di Endorsement dall’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede: «Il voto delle primarie sembra consentire al vincitore di guidare con sufficiente autorità il suo schieramento e il Partito democratico (Pd) in una campagna elettorale che cade in un momento particolarmente delicato della vita del Paese. La necessità di una buona dose di realismo nella ricetta che i partiti intendono proporre per fare uscire l’Italia dalla crisi, è un tema che deve accomunare tanto la sinistra quanto la destra».
La Repubblica 04.12.12
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“La vecchia guardia rialza la testa Bindi: io mi candido. Fioroni: non mollo”, di Giovanna Casadio
Nell’euforia della festa per il trionfo di Bersani, Rosy Bindi fuori onda dice a un amico: bischero, mi presento per altre quattro candidature. Finisce su twitter. Bindi non demorde e ha già rassicurato i renziani: «Ho resistito a vent’anni di berlusconismo, figuriamoci se non resisto a un anno di Renzi». Chiederà la deroga, non ci pensa a farsi da parte. Sempre nella stessa serata di vittoria, Beppe Fioroni, supporter di Bersani, manda un sms a Renzi: «Matteo, bravo: il tuo discorso di sconfitto dimostra che non sei un ragazzetto, non mollare». Nemmeno Fioroni intende mollare. «E perché? Ho fatto il politico part-time, con il tempo diviso tra i mio mestiere di medico e quello di amministratore – racconta – Sono stato ministro per 18 mesi. Ho 100 giorni di Parlamento in più di altri, che però erano già al governo o all’europarlamento ». Cento giorni in più o in meno non fanno di Fioroni – è il ragionamento di Fioroni medesimo – un elefante politico. O, per usare la definizione renziana, un “rottamando”, parola brutta ma concetto limpido.
A tal punto chiara è l’idea, che Bersani l’ha fatta sua. Lo staff bersaniano fa notare l’attenzione del segretario a dare, anche plasticamente, l’immagine del cambiamento: la foto del trionfo era con Roberto Speranza, Tommaso Giuntella, Alessandra Moretti, cioè largo ai giovani. Mica sul palco c’è salito D’Alema, per dire. Anche se il lìder Massimo stava in platea nella festa all’ex cine Capranica, raggiante e intervistato a lungo. Dichiara poi, che «darà una mano a Bersani per rafforzare la proposta di governo». Un proposito eccellente, di cui però qualche giovane bersaniano si preoccupa: bene se mette a disposizione la sua esperienza e le relazioni internazionali, ma se pensasse di condizionare ancora? D’Alema per la verità ha fatto un passo indietro (così come Veltroni), con il fiuto politico che anche i fratelli/coltelli (i veltroniani) gli riconoscono. Bersani gli è grato per il modo in cui si è speso in Puglia per portare consensi al ballottaggio per le primarie. E ieri il segretario – raccontando la telefonata ricevuta da Carlo Azeglio Ciampi che si complimentava per la vittoria – è tornato sul suo cavallo di battaglia: novità, novità e ancora novità in Parlamento e nel governo del centrosinistra però accompagnata all’esperienza. Tradotto in concreto: non offrirà copertura alla “vecchia guardia”, agli “elefanti”, che farebbero assai volentieri a meno di chiedere le famose deroghe per ricandidarsi in Parlamento. Preferirebbero ci fosse un “pacchetto” di derogati, decisi prima. Niente da fare.
Il Pd si avvia a pochissime deroghe, non garantite da alcun pre-accordo politico. Bersani ieri ha ancora declinato l’invito: «Le
deroghe saranno individuali», ha ribadito. Lui se ne lava le mani, devono passare al vaglio della Direzione del partito (dove ci sono anche Renzi, i “giovani turchi” rinnovatori, Gozi, Civati, Concia, Scalfarotto, un fronte assai poco favorevole ai resistenti), e lì ottenere i 2/3 di “sì”. Forse è questa la ragione per cui Franco Marini, conoscitore profondo del risiko del potere, si limita a commentare: «Io non seguo l’esempio di nessuno e resto a disposizione del partito». Che è poi la linea di Anna Finocchiaro, la capogruppo al Senato. Anche lei: «Nessuna richiesta di deroga, sarà il partito a decidere». Gianclaudio Bressa, ex sindaco di Belluno, il parlamentare che ha seguito la partitalegge elettorale, si sfila: «Torno a fare il mio mestiere, se il partito vuole la mia esperienza, ci sono». La partita delle deroghe agli “elefanti” (quelli con più di 15 anni di legislatura) è già aperta. «Se si cambia il Porcellum, e ci sono le preferenze, la questione è risolta », afferma Stefano Bonaccini, il segretario Pd dell’Emilia Romagna. Altrimenti? Con tutti i segretari provinciali chiede primarie per i parlamentari. Una consultazione tra gli iscritti. I derogati potrebbero finire sotto esame due volte, con i tempi che corrono.
La Repubblica 04.12.12
Pubblicato il 4 Dicembre 2012