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Bersani: «Al governo con me una nuova generazione», di Simone Collini

Il suo sarà «il governo del cambiamen- to»: per i programmi, i metodi, le persone. Pier Luigi Bersani vuole capitalizzare il successo delle primarie, che lo hanno incoronato candidato presidente del Consiglio del centrosinistra e che hanno fatto schizzare il Pd nei sondaggi oltre quota 34%. Sull’onda della spinta dei gazebo il leader democratico sta già non solo delineando la strategia per la campagna elettorale, ma anche definendo il profilo che dovrà avere il prossimo esecutivo in caso di vittoria alle elezioni politiche della coalizione costruita attorno a Pd, Sel e Psi. Che comunque dovrà proporre ai moderati un «patto di legislatura». Quando si tratterà di schierare la squadra di governo, Bersani non userà il «manuale Cencelli» e metterà «in campo una nuova generazione».
Semplice nuovismo? No, perché il leader Pd da un lato dice che ci devono essere «presidi di esperienza», dall’altro insiste sul fatto che il dato anagrafico non è tutto. «Bisogna che ci sia gente con la freschezza della gioventù ma anche capace di fare delle cose – come dice nel corso di un’intervista a “Porta a porta” – gli italiani si aspettano dei risultati, non dei colpi di immagine». Quanto a Matteo Renzi, Bersani dice ai giornalisti che incontra davanti alla sede del Pd che «è una risorsa come siamo tutti in questo grande squadrone».
Ma ora il leader del Pd è già concentrato sul profilo «di cambiamento» da dare al suo governo in caso di vittoria. Bersani lo ha spiegato aprendo la riunione sulla legge elettorale, e poi ne ha discusso più a lungo durante il pranzo con Enrico Letta, Vasco Errani e Maurizio Migliavacca. Ma il leader del Pd ha accennato al discorso anche nelle telefonate ricevute tra la notte della festa e la prima giornata da candidato premier.
A chiamarlo per complimentarsi del risultato ai gazebo sono stati in molti, da Mario Monti (è stato il primo, appena mezz’ora dopo la chiusura dei seggi) a Carlo Azeglio Ciampi (telefonata assai gradita), da Pier Ferdinando Casini ad Angelino Alfano, dal capo di Stato francese François Hollande al presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.
BASTA CON L’ITALIA AI MARGINI
Nei colloqui in cui si è andati oltre le formalità, Bersani ha illustrato ai suoi interlocutori le iniziative e le trasferte all’estero già fissate in agenda per la campagna elettorale, e anche il metodo che intende seguire nella definizione dell’azione di governo, dovesse arrivare a Palazzo Chigi.
Il viaggio di oggi in Libia è il primo di un’operazione che nelle intenzioni del leader del Pd dovrà servire a restituire all’Italia, ora che Monti le ha ridato la credibilità perduta negli anni di governo Berlusconi, un ruolo forte nello scacchiere internazionale. Nei prossimi mesi volerà anche in Brasile, Cina e Golfo Persico, che con i tassi di incremento del Pil che registrano e le risorse che hanno a disposizione per gli investimenti all’estero sono strategici dal punto di vista dei rapporti commerciali. E poi Bersani sarà in tour nelle capitali dell’Ue, per rilanciare il rapporto con le altre forze progressiste nella comune battaglia alle politiche liberiste (ci sono anche in agenda due appuntamenti a Roma, per consolidare questo asse, uno a metà mese e uno a inizio febbraio).
Ma c’è anche un altro tipo di cambiamento che Bersani vuole imprimere con il suo governo, oltre a quello riguardante la politica estera e i rapporti con le famiglie politiche europee. E riguarda il metodo per arrivare alla definizione delle misure da adottare. Il leader del Pd è convinto che una pesante responsabilità, per quel che è avvenuto in Italia nell’ultimo ventennio, ce l’abbia la strategia berlusconiana tesa a dividere le parti sociali, e non solo.
«Se tocca a me cercherò di tenere unito il Paese», è il ragionamento che fa Bersani. Che non a caso parlando del patto sulla produttività, siglato da tutti i sindacati tranne la Cgil, dice che «l’accordo ci vuole, bisogna decentrare una parte della contrattazione mantenendo comunque un presidio nazionale perché questo è già un Paese troppo diviso». E che da Palazzo Chigi vuole rilanciare il metodo della concertazione. «Non vuole la concertazione chi non è sicuro delle proprie idee – dice in un’intervista a “Porta a Porta” – ma a un governo che è certo delle proprie idee, io consiglio il dialogo, e quel tanto di fati- ca di ascoltare e capire dove sta la ragione di quello che ti sta parlando, perché è difficile che quello che ti parla non abbia ragione in niente».
Altro caposaldo che Bersani vuole rispettare è il «coinvolgimento». Ha già avuto modo di far sapere non solo a sigle del mondo sindacale e imprenditoriale ma anche a personalità del mondo del volontariato e dell’associazionismo che se «toccasse» a lui (ormai è una formula consolidata) non mancherà di ricercare un confronto preventivo con loro. «Voglio un governo espressione della riscossa civica», dice ai giornalisti. «Stavolta senza popolo non si governa, non si governa dall’alto». È questo ciò che sta a cuore a Bersani, che per quel che riguarda il cambiamento dal punto di vista programmatico pensa innanzitutto a una patrimoniale «non generica» ma limitata ai grandi patrimoni per alleggerire l’Imu sulle fasce più deboli e a «una contribuzione diretta» necessaria per «reggere alcuni sistemi di welfare, come la sanità».
L’Unità 04.12.12

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