Le diplomazie si mettono al lavoro la notte tra venerdì e sabato, dopo che il comitato di Matteo Renzi aveva denunciato «brogli» e quello di Pier Luigi Bersani aveva lanciato il monito a non «sabotare» le primarie. Attenzione che qui la vicenda sta scappando di mano, è l’allarme. Ancora un incontro a quattro all’alba (due per parte), in un bar del centro di Roma, per spiegare ognuno le proprie ragioni e poi, a metà mattinata, l’accordo viene siglato direttamente dal sindaco di Firenze e dal segretario del Pd via sms: giù i toni nell’ultimo giorno di campagna.
Prima, poco dopo lo scambio di messaggini, parte il tweet di Renzi con l’offerta di un caffé insieme a Milano e di un appello congiunto alla serenità. Ma soprattutto, arriva la frase che vogliono sentire nel fronte pro-Bersani: «Se perdo non parlerò di brogli». E poi c’è la risposta di Bersani. Non quella sul caffé insieme («per problemi logistici oggi è impossibile ma ci sarà sicuramente tempo per un pranzo, dopo»). Ma questa, che aspettano di sentire nel fronte pro-Renzi: «Sono dispostissimo a fare un appello alla serenità e alla regolarità. E sono sicuro che Matteo, che pure ha opinioni diverse sulle regole, le rispetterà».
Lanciati i segnali distensivi da ambo le parti, i due candidati chiudono la loro campagna elettorale in un clima decisamente più mite, nonostante qualcuno tra i sostenitori di Renzi tenti di riaccendere le polveri dopo che si viene a sapere qual è il numero delle nuove registrazioni.
UNA FESTA DELLA DEMOCRAZIA
Bersani, che secondo un sondaggio diffuso ieri da Ipr Marketing dovrebbe vincere il ballottaggio con un risultato compreso tra il 57,5% e il 61,5% dei consensi, ha tutto l’interesse a un abbassamento dei toni e a uno svolgimento sereno delle operazioni di voto. «Domani dobbiamo chiudere con una grande festa della democrazia, dopodiché ci si mette a lavorare assieme», dice non a caso in ognuna delle iniziative che fa tra Milano, Novara e Torino. «L’Italia ci guarda, anche un pezzo di mondo ci sta guardando, e dobbiamo essere tutti all’altezza del capolavoro che abbiamo fatto, che non deve essere assolutamente turbato». Per questo a Renzi lancia un «in bocca al lupo» e il messaggio che comunque vada «da lunedì lavoreremo assieme in una grande squadra, ciascuno nel suo ruolo».
Il leader del Pd resta convinto che il sindaco di Firenze abbia poche o nulle possibilità di vittoria («non ci scommetterei un cent», aveva detto l’altro giorno) e mentalmente è già proiettato verso la sfida per la conquista di Palazzo Chigi. Non a caso il discorso che fa chiudendo la sua campagna in un affollato Teatro Vittoria, a Torino, è più in chiave anti-Berlusconi e anti-Grillo, mentre a Renzi dedica soltanto un paio di veloci passaggi. Come quando dice che «la destra esiste, per quanto malmessa» e che si aspetterebbe dal suo «contendente fraterno Matteo» che almeno la nominasse, e che non la mettesse sullo stesso piano del centrosinistra come ha fatto l’altra sera in tv: «Se si vuole parlare dei problemi della scuola forse bisogna pensare alla Gelmini, non a Luigi Berlinguer». Renzi al confronto su Raiuno aveva infatti detto che la sua riforma «di sinistra ha solo il nome». Anche se, confessa Bersani, quello non è stato il passaggio che l’ha «scombussolato» di più. Semmai, dice citando per la seconda e ultima volta Renzi in un discorso durato oltre un’ora, è stato quando il sindaco ha detto che il problema in Medio Oriente non è il conflitto tra Israele e Palestina, ma l’Iran. «Neanche la destra dice certe cose. Bisogna aiutare chi cerca la pace e finirla di darla vinta a chi lancia i missili. E sulla Palestina dice facendo riferimento al voto in sede Onu l’Italia ha ripreso la dignità di un profilo di politica estera dopo che per dieci anni è stata compatita e derisa da tutto il mondo».
SUBITO UNA MISSIONE ALL’ESTERO
Neanche il riferimento alla Palestina, nel chiudere la campagna delle primarie, è casuale. Un po’ perché Bersani, che nei giorni precedente il voto delle Nazioni Unite aveva discusso della questione con Napolitano e con Monti, ritiene di aver giocato un ruolo non marginale rispetto al sì epsresso dall’Italia. E poi per un altro motivo. «Lunedì vi farò una sorpresa», dice Bersani ai giornalisti che incrocia nel foyer del Teatro Vittoria, mentre si allontana per andare a incontrare un gruppo di lavoratori precari. Il leader del Pd, se stanotte verrà proclamato vincitore delle primarie, intende infatti imprimere subito un segno preciso alla sua campagna elettorale per le politiche. Monti ha ridato dignità all’Italia all’estero, è il suo ragionamento, e il prossimo presidente del Consiglio dovrà ricollocarla nel suo giusto asse, che per Bersani è quello mediterraneo, in uno stretto rapporto con i Paesi arabi che vi si affacciano. Quindi l’idea, come prima uscita da candidato premier del centrosinistra, è proprio quella di organizzare subito una missione al di là del Mediterraneo.
Ma prima c’è il voto di oggi. A Bersani “basta” anche il 51%, e quello che più auspica per la giornata di oggi e per quella di domani è che la «festa della democrazia» non venga turbata. «Anche da me viene gente che vuole venire a votare e io dico che possono venire ma nel rispetto delle regole», spiega a chi gli chiede un commento sulle poche nuove registrazioni. Quanto a Renzi, non immagina un suo abbandono del Pd in caso di sconfitta. «È un personaggio che ha radicalizzato parecchio il tema delle primarie, però assolutamente non penso che possa andarsene».
Poi risale in auto, destinazione Piacenza, dove oggi andrà a votare. Diversamente dal primo turno, questa volta rientrerà però a Roma ad aspettare i risultati. La scaramanzia obbliga alla prudenza, ma per i festeggiamenti notturni è già stata prenotata la sala del Capranica.
L’Unità 02.12.12
Pubblicato il 2 Dicembre 2012