«Domenica ci sarà l’epilogo di una splendida avventura che ha riavviato il rapporto fra politica e cittadini e che ha rimesso al centro del Paese il Pd e i progressisti, rafforzandoli. Tutto questo non merita né di essere turbato né sfregiato, ma rilanciato, messo a valore per la vera battaglia che ci aspetta tutti quanti, che è quella per il dopo». Bersani ha appena lasciato Siena e sta raggiungendo Empoli. E durante il viaggio ragiona sulla tensione che si sta alzando proprio nelle ultime ore di campagna elettorale. È un clima che non gli piace. Anzi lo preoccupa.
Teme che possa sciupare le primarie e mandare un messaggio negativo non solo a quei tanti cittadini che si sono messi in fila per votare la scorsa domenica e che spera lo rifacciano anche domani, ma a tutto il Paese. E in un momento in cui non ce ne sarebbe affatto bisogno. Perché da lunedì tutto il Pd, assieme ai suoi alleati, deve pensare a come rimettere in piedi l’Italia. A come ricucire quello strappo fra cittadini e politica che in questi anni è diventato sempre più profondo.
CHI HA SFIDUCIA NELLA POLITICA
«Io, sinceramente, spero che alla fine di questa storia possa essere stata accorciata un po’ di quella radicale sfiducia che le persone nutrono nei confronti della politica» dice. Ecco perché da Bersani arriva un duplice messaggio a Renzi. Un invito a non farsi reciprocamente del male. Perché al di là di quello che diranno le urne fra poche ore, poi ci sarà da pensare al lunedì. E allo stesso tempo un altolà a non far finire nel veleno una bella storia di partecipazione e democrazia. Che è anche la base su cui, da lunedì appunto, ricominciare assieme. «Sono convinto ragiona Bersani che tutti insieme riusciremo a fare anche di domenica una bella giornata di democrazia, rincuorando così tutti gli elettori del centrosinistra e facendoci guardare con attenzione, e perché no? anche con ammirazione, pure da chi non la pensa come noi. E così daremo un vero aiuto alla ricomposizione fra cittadini e politica senza la quale non c’è prospetiva per il Paese».
Bersani arriva a Siena da Terni, dalle acciaierie. Nella città del Palio partecipa a una assemblea con tanta gente nell’aula magna dell’Università per stranieri. Ma prima, in un incontro ristretto, ha voluto parlare con alcune delegazioni di lavoratori delle aziende della zona. E lì prende appunti, segna nomi e problemi, quando gli spiegano che molte realtà sono in forte sofferenza: dall’agricoltura alla ricerca biomedica, al settore metalmeccanico. Gli dicono che i posti di lavoro si riducono e che la crisi che sta attraversando Mps e la Fondazione (che ne controlla gran parte del capitale) non fanno altro che togliere pezzi di speranza. Occorre invertire la rotta anche in una delle realtà da sempre in cima alle classifiche nazionali del benessere. Saranno poi le parole e le storie che si sente ripetere in serata a Livorno.
Sollecitazioni a cui Bersani risponde spiegando che c’è da ritrovare il valore della parola uguaglianza. Che poi in concreto vuol dire che chi ha di più, deve dare di più e che anche il figlio di un lavoratore o di un cassintegrato deve avere la possibilità di andare all’università. «E invece per la prima volta annota sono calate le iscrizioni perché tante famiglie l’università non se la possono più permettere». Perché senza uguaglianza non si rimette nemmeno in moto la macchina produttiva del Paese. Se non si redistribuisce un po’ di risorse a chi lavora e a chi dà lavoro la spirale recessiva porterà sempre più giù questo Paese. Ecco, se il Pd invece di mettere «l’orecchio a terra» per ascoltare queste voci e per prepararsi a trovare le soluzioni quando gli toccherà di stare la governo, si divide su regole e cavilli, rischia grosso e quindi fa rischiare grosso anche il Paese.
Il ragionamento di Bersani è sostanzialmente questo: «Le regole sono state condivise da tutte le forze politiche della coalizione, abbiamo fatto un patto. Anche i candidati le hanno condivise. Ma soprattutto sono state certificate da più di tre milioni di persone che, anche a prezzo di qualche sacrificio, hanno voluto partecipare». Quindi è una «turbativa» non riconoscerle anche perché questo sistema del doppio turno «ha una sua logica e una sua razionalità». Al ballottaggio per i sindaci non cambia la platea degli aventi diritto. La battuta che sintetizza tutto questo è che fra il primo e il secondo tempo di una partita non cambiano le regole del gioco. «È chiaro che cambiare le regole non è nella mia disponibilità, né in quella di Renzi» aggiunge. Ma anche se lo fosse, sarebbe sbagliato farlo. «Non daremmo un esempio giusto al Paese spiega perché chi si candida a governare, prima di ogni altra cosa, deve dare l’idea che nessuna regola può essere cambiata per questa o quella singola convenienza». Prima vengono le regole, poi il consenso, dice, perché sotto questo punto di vista «in questi anni abbiamo già dato». E così l’invito che fa ai suoi sostenitori è di andare a votare rispettando le regole e l’auspicio è che anche «Renzi dica le stesse cose ai suoi».
Al segretario Pd soprattutto non va giù che proprio a lui che ha voluto le primarie ora arrivi l’accusa di voler limitare la partecipazione. «Ho fatto il massimo per promuoverla» dice mentre l’auto si avvicina a Empoli. E a dimostrazione di questo cita i successi ottenuti nelle grandi città dove «indiscutibilmente» c’è un forte voto d’opinione. Da parte sua del resto non fa mistero che i temi portati da Renzi e dagli altri concorrenti alle primarie siano un valore destinato a diventare patrimonio comune per il Pd e il centrosinistra. «La spinta al rinnovamento e al cambiamento ritengo che sia un mio impegno a farli diventare scelte concrete». Ma del «fuoco amico» il Pd e il centrosinistra non ne hanno bisogno. C’è già un abbondante fuoco nemico che ci ha messi nel mirino spiega Bersani. C’è la sfiducia, anche giustificata, del popolo nei confronti di politica e istituzioni da battere. E c’è la destra («una parola che il mio competitore non usa mai» annota con un po’ di malizia Bersani).
IL SÌ ALLA PALESTINA
Bersani vede un Berlusconi in campo e si aspetta che alle politiche ci sarà la «solita favola» sui comunisti che vogliono aumentare le tasse con l’aggiunta che tutta la crisi è colpa di Monti. Cercheranno cioè di nascondere il fatto che sull’orlo del baratro ci ha portato Berlusconi. Quanto a Monti, Bersani conferma che il Pd si muove sempre con lealtà e che non tutto ciò che è stato fatto l’ha trovato concorde. Ma rivendica anche dei successi significativi. Ultimo il sì all’ingresso della Palestina nell’Onu. «Siamo riusciti a far assumere al governo una posizione avanzata spiega. Una scelta per far vincere la pace e per far perdere le armi».
L’Unità 01.12.12
Pubblicato il 1 Dicembre 2012