È tempo di porre fine a una grave ingiustizia, quella delle cosiddette “ricongiunzioni onerose”. Ci riferiamo ai costi altissimi (in taluni casi si superano i 300.000 euro) imposti a chi vuole mettere insieme contributi versati a enti diversi (ad esempio Inps e Inpdap), come se fossero stati versati ad un unico fondo, ai fini del calcolo della propria pensione. Si tratta di una norma, bene sottolinearlo, sulla quale il presente governo non ha alcuna responsabilità. Fu infatti introdotta di soppiatto da Giulio Tremonti per ridurre il ricorso alle pensioni di anzianità, con un accorgimento opaco quanto odioso: il ricongiungimento avrebbe infatti permesso a molti lavoratori, soprattutto nell’ambito del sistema a quote precedente la riforma Fornero, di andare in pensione prima. Invece di intervenire sulle pensioni di anzianità, il ministro Tremonti aveva ritenuto di rendere oltremodo costoso il ricongiungimento, venendo così a colpire tutti i lavoratori che hanno carriere discontinue. Particolarmente colpite le donne che subiscono frequenti interruzioni di carriera in corrispondenza dei periodi di maternità. Si tratta di una grave in-
giustizia perché introduce una differenza di trattamento tra lavoratori con stessa età e stessi contributi versati a seconda che questi siano su un unico fondo piuttosto che su più fondi.
La riforma delle pensioni del dicembre 2011 non ha rimosso questo iniquo provvedimento.
Peccato perché è in palese contraddizione con il principio, ribadito più volte in sede di approvazione della riforma del mercato del lavoro, secondo cui è opportuno oggi favorire una maggiore mobilità del lavoro. È inoltre incongruente con l’integrazione di Inpdap e Enpals nel super- Inps decisa da questo esecutivo. Sulle scelte contraddittorie del governo ha pesato, probabilmente, la valutazione della Ragioneria dello Stato secondo cui la rimozione della norma sarebbe costata quasi 2 miliardi e mezzo, rimangiando una parte consistente dei risparmi della riforma pensionistica. Il problema, come si è detto, è che per molte persone il ricongiungimento consentirebbe l’accesso alla pensione in via anticipata rispetto all’età di vecchiaia. Quindi l’eliminazione dell’onerosità della ricongiunzione costa allo Stato non solo e non tanto a causa del venir meno dei pagamenti oggi in essere e in virtù delle pensioni più alte che si dovrebbero liquidare a chi totalizzasse i contributi, ma soprattutto perché si alzerebbe immediatamente il numero delle pensioni erogate per via del pensionamento anticipato dei lavoratori messi in grado di ricongiungere versamenti su fondi diversi.
La soluzione dovrebbe essere quella di rendere possibile la ricongiunzione senza onere alcuno per chi ne fa domanda, ma solo dopo aver raggiunto i requisiti per la pensione di vecchiaia. Per chi volesse andare in pensione prima dovrebbe invece essere concesso di cumulare i contributi versati a partire dal compimento dei 63 anni di età, applicando a questi il metodo contributivo, come già oggi previsto dall’istituto della “totalizzazione”. In questo modo si andrebbe verso il ripristino di una parità di trattamenti fra diverse generazioni di lavoratori, senza aggravi eccessivi per i conti previdenziali (i costi non dovrebbero superare qualche centinaio di milioni).
Le pensioni sono materia delicata perché basate su di un patto intergenerazionale. Per questo il perseguimento dell’equità è così importante: serve a cementare, a rendere credibile, il patto. La stessa Ragioneria dello Stato dovrebbe tenere conto del fatto che i trucchi per ottenere risparmi contabili possono, a lungo andare, produrre effetti opposti a quelli preventivati perché danno un
segnale di assoluta arbitrarietà delle norme al contribuente. Siamo sicuri che un ministro assai competente in materia come Elsa Fornero vorrà dunque porre rimedio a questa ingiustizia prima della scadenza del suo mandato senza porre ulteriori rattoppi. Analoga attenzione, ci permettiamo di suggerirle nel modificare l’indicizzazione delle pensioni. Non si può pensare di fare cassa per affrontare il problema degli esodati, bloccando nuovamente l’indicizzazione delle pensioni per alcune categorie di quiescienze. Se si ritiene che la spesa per i trattamenti già in essere sia incompatibile con il processo di consolidamento fiscale, meglio semmai cambiare le regole di indicizzazione per tutti e una volta per tutte, ad esempio legandole all’andamento del monte salari, che rappresenta dopotutto la base fiscale, la massa di denaro da cui vengono raccolti i soldi per pagare le pensioni. Sarebbe un modo di legare più strettamente le sorti dei pensionati a quelle dei lavoratori, chi oggi riceve dopo aver pagato per molti anni e chi oggi paga augurandosi di venire un domani trattato allo stesso modo.
La Rwepubblica 29.11.12
Pubblicato il 30 Novembre 2012