Essere se stessi fino in fondo «Il confronto? Con gli operai». La «ditta» rimane in testa ai pensieri del leader Pd che vede nelle primarie uno strumento per «rompere il muro che si è creato tra cittadini e politica». Facciamo ‘sto confronto. A che ora è domani con i lavoratori di Piombino?». Ecco, è tutto in quest’uscita di poco precedente l’inizio della trasmissione su Rai 1 Pier Luigi Bersani. Il sigaro Toscano tra le labbra, l’aria di chi già pensa ad altro prima ancora che si accendano le luci degli studi Dear. All’incontro di stamattina con i lavoratori delle acciaierie di Piombino, dove ci sono seimila posti in bilico, per esempio. O all’iniziativa di stasera al Teatro Politeama di Napoli per discutere insieme a Nichi Vendola di lavoro, diritti, Mezzogiorno, che dovrebbe garantire al leader del Pd una bella fetta di quel 15% incassato dal leader di Sel al primo turno. O alle tappe di domani in Toscana, per strappare consensi a Matteo Renzi laddove domenica scorsa è andato meglio. O, ancora, alla chiusura della sua campagna delle primarie, sabato, a Torino, la città che quattro giorni fa gli ha consentito di aggiudicarsi il Piemonte.
Perché questa è in sintesi la strategia del leader Pd per questo rush finale: riprendersi i voti del primo turno (300 mila in più di quelli ottenuti da Renzi), convincere gli elettori che hanno votato Vendola a dargli fiducia (e se non è stata programmata una tappa in Puglia è proprio perché, come dice il sindaco di Bari Michele Emiliano, «qui è sufficiente la presenza di Vendola per Bersani»), strappare consensi tra quelli che domenica scorsa hanno scelto Renzi per la promessa di cambiamento. Il leader del Pd ha deciso di scendere sul terreno scelto dall’inizio dal sindaco di Firenze, ma a modo suo, senza fare annunci che valgono per il futuro ma ricordando quanto fatto in passato quando ha governato, perché «il cambiamento non è fatto di slogan e ho fatto più riforme io di quante ne chiacchierino tanti altri». E il confronto con Renzi su Rai 1, in tutto questo? Per Bersani incide fino a un certo punto.
La riunione con il suo staff che doveva servire a discutere dell’appuntamento televisivo finisce in dieci minuti. Nessuna simulazione di domande e risposte, nessuno sparring partner a vestire i panni del rottamatore e menare fendenti. Anzi, poco dopo l’incontro nel suo studio al Nazareno Bersani posta su twitter una foto in cui si vede Miguel Gotor che lo fa sganasciare dalle risate, col titolo: «Mi preparo al confronto di stasera con il mio staff».
IL CAMBIAMENTO NON SI ANNUNCIA
Un modo per spiazzare Renzi? Fino a un certo punto. Spiega lo stesso storico dell’età moderna, che in questi mesi ha girato l’Italia per iniziative a sostegno della candidatura di Bersani: «La sua forza è essere se stesso, non c’è bisogno di chissà quali strategie comunicative». E se Renzi ha continuato e continuerà a battere sul tasto del cambiamento, durante la riunione al Nazareno ci vuole poco a trovarsi tutti d’accordo che a Bersani conviene insistere sull’esperienza come valore, sul fatto che quando ha governato ha sempre portato cambiamenti. E anche che gli conviene mantenere un profilo autorevole e rassicurante, senza inseguire l’avversario sul terreno degli annunci. «L’Italia è stanca della propaganda è il ragionamento di Gotor e i cambiamenti si fanno, non si annunciano, perché disturbano e bisogna evitare che le sacche corporative si allertino».
Per Bersani evitare la rissa, a prescindere da quello che dice e che ancora potrà dire Renzi in questa chiusura di campagna per le primarie, è d’obbligo. Non solo perché farebbe soltanto il gioco dell’inseguitore, ma perché a risentirne sarebbe il partito di cui è segretario, che è ciò che proprio non può permettersi. L’ultimo sondaggio effettuato da Nando Pagnoncelli dà infatti il Pd al 34%. E non a caso lunedì scorso dietro le quinte di un altro studio televisivo, quello di “Che tempo che fa”, Bersani incrociando Renzi gli ha detto con un sorriso: «Dai che stiamo andando alla grande, siamo al 33%, non roviniamo il clima».
La «ditta» rimane in testa ai pensieri di Bersani, che vive queste primarie come uno strumento per «rompere il muro che si è creato tra cittadini e politica» e come una tappa verso il vero obiettivo, le elezioni politiche della prossima primavera. Né un clima di tensioni attorno al partito né una rissa interna servirebbe allo scopo. Bersani lo sa, e si muove di conseguenza.
l’Unità 29.11.12
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Martin Schulz: «Pier Luigi vincerà ballottaggio e elezioni»
Un endorsment oltre frontiera per il segretario del Partito democratico. «Sono molto contento del successo di Bersani domenica scorsa. Siamo intimi amici: credo che vincerà anche il ballottaggio e poi le elezioni di primavera». A dirlo è stato Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, parlando ieri con l’agenzia di stampa Ansa. «Proprio ieri ho parlato con Pierluigi racconta . La mia interpretazione del voto alle primarie è molto semplice: se uniamo i consensi suoi a quelli di Nichi Vendola emerge una chiara maggioranza di sinistra all’interno della coalizione».Alla domanda su cosa ne pensa dell’exploit di Beppe Grillo, Schulz risponde: «È l’effetto della protesta, un fenomeno presente in tutta Europa».
L’Unità 29.11.12
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Nichi Vendola «Scelgo Bersani, fa cose di sinistra Renzi è in sintonia con Merkel», di Andrea Carugati
In questa «giornata terribile per la Puglia», in cui sull’Ilva si è accanita persino una tromba d’aria, Nichi Vendola fatica a distogliere l’attenzione dalle vicende di Taranto, a partire dall’operaio ancora dispero: «I danni dell’inquinamento, quelli del surriscaldamento del clima: tutto intorno a noi ci dice di come la crisi ambientale abbia ormai assunto un carattere strutturale che impone una riconversione dell’agire politico, squarciando l’agenda delle pigrizie culturali».
Lei però resta molto freddo sul decreto che domani (oggi, ndr) il governo varerà sull’Ilva…
«Non sono d’accordo con qualcosa che possa confliggere con l’attività giudiziaria. Aspetto di vedere il testo. Noi pensiamo che il cuore di una iniziativa positiva stia nella accelerazione della valutazione di danno sanitario. Noi abbiamo introdotto questo parametro rivoluzionario per legge, che prevede che l’industria pesante non debba solo rispettare i limiti delle emissioni, ma dimostrare di non pregiudicare la salute e, in caso di danno, adottare interventi correttivi. Nell’Autorizzazione integrata ambientale questa indicazione è stata accolta, ora si tratta di renderla operativa. È possibile in tempi rapidi avere una fotografia del danno sanitario e una indicazione chiara sugli interventi da fare per interrompere la catena di reati. Se questo percorso venisse completato in modo efficace, credo che ci potrebbe essere anche una rivalutazione dei provvedimenti giudiziari».
È possibile ipotizzare una nazionalizzazione dell’Ilva?
«Bisogna discutere laicamente di questa ipotesi, del resto anche Hollande ha ipotizzato la nazionalizzazione di una grande acciaieria francese. Dal governo mi aspetto una proposta chiara, che non appaia né come un de profundis per una fabbrica che invece va salvata, e neppure come uno scaricabarile: per anni come Regione siamo stati lasciati soli a scoperchiare una realtà come l’Ilva che per decenni era stata coperta da omertà anche istituzionali. E oggi ricevere l’accusa di inerzia per me è davvero paradossale». Veniamo alle primarie. Per chi voterà al ballottaggio?
«Voterò Bersani, e lo farò perché è una persona perbene, uno dei rari leader politici non affetti da cinismo, un amministratore di talento e soprattutto un uomo di sinistra. Un socialista europeo figlio della migliore tradizione del riformismo italiano».
In cosa consiste quel «profumo di sinistra» che lei dice di aver annusato ascoltando Bersani?
«Non c’è dubbio che il lessico e la sensibilità di Bersani sono lontani anni luce dal post-modernismo di ispirazione liberista di Renzi. A Pier Luigi voglio dire che il mio voto l’ha conquistato, ma deve fare lo stesso con quello dei miei elettori. E per farlo non basta il mio sostegno». Cosa dovrebbe fare?
«Deve andare oltre il profumo, fare scelte forti e in controtendenza rispetto al pensiero dominante. Faccio un esempio: davanti al premier Monti che evoca la fine del servizio sanitario nazionale servono parole molto più chiare. Così sulla difesa della scuola pubblica e sulle spese militari. Ci sono orecchie attente, soprattutto tra i più giovani. Ora Bersani può e deve accendere una speranza nel Paese».
Renzi sostiene che una quota dei suoi voti siano anti-apparato, contro l’establishment del Pd. E quindi recuperabili proprio dal sindaco rottamatore…
«Non c’è dubbio che dopo la fine del berlusconismo non si è messa a fuoco la crisi di quel modello sociale liberal-populista, ma tutta la politica è stata messa sul banco degli imputati senza distinzioni. Questo ha consentito di occultare le ragioni della crisi, a partire proprio dalla subalternità della politica ai poteri finanziari e dalla sua distanza dal mondo del lavoro». E questa la critica più dura che lei fa a Renzi: non aver rotto questo modello liberista?
«Da rottamare è questo modello sociale che ci ha privato di una dimensione comunitaria e solidale e rende sempre più anoressico lo Stato sociale. In Renzi non c’è alcun cenno critico verso l’austerity e la cultura liberista, nessuna eco rispetto all’America che chiede il recupero di un approccio keynesiano».
Se dovesse vincere il sindaco lei resterebbe nella coalizione?
«Io lavorerò perché vinca Bersani, questa per me è la priorità e non discuto neppure della subordinata».
Torniamo ai suoi elettori: sono o no rottamatori?
«I miei elettori sono in primo luogo sensibili a quel profumo di sinistra…». Eppure Renzi come lei dice no ad una alleanza con Casini…
«È solo un giochino. Sul mercato del lavoro il sindaco è più a destra dell’Udc, sulla riforma delle pensioni la pensano allo stesso modo. Devo però ammettere che sul piano della tattica è molto bravo a depistare. Ma a me pare che, sui contenuti, il sindaco sia più in sintonia con la Merkel che con Hollande. Un’altra buona ragione per scegliere Bersani».
Che ruolo immagina per se in un eventuale governo di centrosinistra?
«Non sono capace di ragionare di politica a partire dalla mia carriera. Ho sempre scelto insieme ai miei compagni, farò lo stesso questa volta».
Lei sarà candidato alle elezioni alla guida delle liste di Sel?
«Una domanda prematura, per me l’obiettivo è costruire il partito del futuro, il soggetto capace di raccogliere le energie dei popoli di sinistra, di ricostruire la coalizione del lavoro e dei diritti».
Vuol dire che pensa a una lista comune con il Pd?
«Non intendo ridurre il tema della sinistra del futuro a una questione organizzativa».
L’Unità 29.11.12
Pubblicato il 29 Novembre 2012