Per soli 159.794 voti Pier Luigi Bersani non ha preso la maggioranza assoluta. Al ballottaggio per trasformare una vittoria prevedibile in un successo reale deve però riuscire a mobilitare le sue truppe e convincerle di nuovo a muoversi. Serve uno scatto. Ben altra cosa rispetto alla litigiosità, la polarizzazione delle opzioni culturali è la via maestra per mostrare la nettezza della proposta e il senso vero della sfida.
Per motivare una nuova partecipazione, Bersani deve mostrare di essere proprio lui la profonda alternativa che il Paese cerca rispetto alle politiche sconfitte dalla crisi. Il principio di realtà, che la crisi ridesta, deve imporsi sulla costruzione mediatica di devianti figure che ripropongono il già visto sotto ammaglianti metafore. Su temi caldi, come quelli delle politiche del lavoro, la distanza tra Renzi e Bersani non è certo inferiore a quella che ovunque in Europa separa le forze liberali-moderate e i partiti della sinistra. Le proposte di Ichino e Giavazzi non solo spezzano la coalizione sociale della sinistra ma rivelano la loro debolezza nel risolvere la crisi.
Sui temi del lavoro, del pubblico, della scuola, della ricerca, delle libertà civili, della precarietà Bersani può rimarcare una netta discontinuità. Questo suo cuore lavorista è il solo modo per far saltare l’astuzia della penetrazione renziana: liberista in economia e anticasta in politica. Togliere il velo superficiale della rottamazione e mostrare il senso residuale dei diritti del lavoro: questo esercizio liberatorio può provocare una crepa in un elettorato giovanile, condannato alla precarietà e però attratto dai miti di un cambiamento facile.
In alcuni territori dell’Italia centrale le primarie si sono trasformate in un regolamento di conti interno al ceto amministrativo. Renzi va sfidato perciò nella sua pretesa di maneggiare il meccanismo del dentro e fuori. Con questo gioco può sparare contro il quartier generale e poi pretendere la postazione di comando. Con il sindaco che indossa anche lui gli abiti di partito e depone le armi dell’estraneità si svuota la metafisica della rottamazione.
Con la proposta della rifondazione di una democrazia costituzionale, proprio Bersani è il leader più attrezzato per garantire unità, compattezza e successo alla coalizione. Occorre superare la fallimentare stagione del partito personale per conferire basi solide alla partecipazione democratica, per impostare un dialogo con gli attori sociali, le associazioni civiche, i movimenti. Bersani può parlare la lingua comune della sinistra europea. Il nuovo che Renzi propone è invece il vecchio paradigma della comunicazione di un capo solitario. L’agenda di Bersani è la sola garanzia di una discontinuità radicale con la Seconda Repubblica a democrazia opaca e dominata da potenze arcane. Per restituire dignità e autonomia alla politica occorre mutare alla radice culture, attori, luoghi, interessi sociali.
La più grossa balla oggi in circolazione? La mistificazione circa la pretesa minore capacità competitiva di Bersani rispetto a Renzi, dipinto come un leader post-ideologico che proprio in virtù della leggerezza della proposta sarebbe in grado di sfondare nell’elettorato moderato. Queste virtù taumaturgiche della narrazione appartengono al pittoresco mondo delle leggende: non si può mai conquistare nuovo spazio abbandonando il proprio mondo. Il consenso è sempre un lento processo incrementale, non esiste un magico trasporto della fiaba che surroga analisi, azioni coerenti, proposte efficaci.
La pretesa di rivolgersi al serbatoio della destra con un messaggio senza ideologie, con un programma privo di radici sociali in un tempo che proprio la crisi rende incandescente è del tutto improduttiva. In difficoltà nelle metropoli e nei luoghi del disagio, Renzi del resto sfonda nelle Regioni che già sono rosse, dove la sinistra è ormai una istituzione che va strattonata.
Bersani non è l’usato sicuro, è piuttosto la grande innovazione capace di memoria e di ancoraggi sociali. Egli, dopo lo smarrimento che non ha risparmiato la sinistra, offre un equilibrio tra la necessità di dare un senso al proprio mondo, rinverdendo le appassite radici, e quella di aggiornare la proposta verso nuove figure sociali e sensibilità politiche. Su queste basi di mutamento sostanziale Bersani può spiazzare la spoliticizzazione che ha l’abito del tecnico o la maschera del comico.
L’Unità 28.11.12
Pubblicato il 28 Novembre 2012