Il “diritto di avere diritti”: così Hannah Arendt definiva, con parole che oggi danno il titolo all’ultimo libro di Stefano Rodotà, la dignità. Quel bene prezioso, che dà senso al sistema dei diritti e che, non a caso, apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Eppure, mai come nel caso delle donne questo valore fondamentale è quotidianamente violato con atti di discriminazione e violenza. Atti per i quali il pensiero giuridico contemporaneo ha coniato la definizione di “femminicidio”, utilizzata peraltro nella sentenza Campo Algodonero emessa dalla Corte interamericana per i diritti umani nel 2009 e che dà oggi il titolo a un importantissimo disegno di legge presentato a luglio scorso dalla senatrice Anna Serafini (“Norme per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio”, che prevede anche la ratifica della Convenzione di Istanbul).
Nella consapevolezza del carattere ormai “strutturale” di un fenomeno – quale quello del femminicidio – che nega la stessa soggettività della donna (di ogni donna), il disegno di legge rifiuta ogni logica riduzionista, che pretenda cioè di ridurre la complessità di questo tema a una questione meramente penale. E propone invece la strategia (promossa unanimemente in sede internazionale) delle “4 P” ( to prevent , promote , punish , protect ), ovvero un approccio multidisciplinare che coniughi misure volte a prevenire le cause stesse della violenza (anche contrastando quegli stereotipi culturali che ne sono alla base) e a promuovere una corretta rappresentazione dei rapporti tra generi e della stessa soggettività femminile; norme di carattere repressivo delle diverse forme di violenza (fisica, morale, sessuale, domestica, economica) subite dalle donne e misure tese a proteggerne le vittime, evitando fenomeni di vittimizzazione secondaria e riconoscendo uno statuto di garanzie alle persone offese, anche sul piano lavorativo, assistenziale, patrimoniale, processuale.
Significative sono, in particolare, la previsione di un Codice dei media per la promozione della soggettività femminile, ispirato alla tradizione della soft-law – che fonda la sua forza sulla capacità di introiezione prima ancora che sulla coazione – e le iniziative di formazione specifica per gli operatori (sanitari e di polizia in particolare) chiamati in prima istanza ad assistere le vittime. Importanti sono poi la codificazione di specifiche figure di reato quali violenza economica e violenza assistita, consistente nel rendere i bambini testimoni di violenza così generando spesso anche, in loro, una tensione all’emulazione che finisce con il rendere la violenza una spirale senza fine e di un’aggravante per ogni reato commesso per ragioni discriminatorie di genere. Rilevanti anche le norme volte a proteggere la vittima in sede processuale, conferendole maggiori diritti e sancendo un criterio di priorità per la trattazione dei procedimenti per violenza.
Si tratta, insomma, di un disegno di legge troppo importante per essere messo in secondo piano. Restituire alle donne quella dignità troppo spesso violata deve essere un obiettivo comune e prioritario. Per tutti e tutte.
da Europa Quotidiano 27.11.12
Pubblicato il 27 Novembre 2012