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“Bersani: basta slogan si vota sul premier”, di Simone Collini

«Al primo turno si può anche votare per dare un segnale di un certo tipo, per far capire che la richiesta di rinnovamento è forte, ma al secondo turno no, si sceglie il presidente del Consiglio, quello in grado di costruire attorno a sé un’alleanza in grado di vincere le elezioni, quello più credibile e con la necessaria esperienza per governare». È questo il ragionamento che rassicura Bersani circa l’esito della sfida di domenica con Renzi, più dei trecentomila voti di vantaggio da cui parte, più anche dei segnali che arrivano dagli altri competitor ora usciti di scena, a cui pure guarda con attenzione, come dimostrano le parole riservate al rapporto con Sel: «Con Vendola non stiamo aprendo tavoli o tavolini. Ci sono però degli evidenti punti di assonanza, per esempio su scuola, centralità del lavoro, diritti. Sono cose precise su cui c’è convergenza. Si parla di politica, non stiamo facendo bilancini o Cencelli».
Il leader del Pd giocherà questo finale di partita mantenendo il profilo del candidato con maggior esperienza e capacità di costruire una coalizione coesa attorno a un progetto di governo. E poco male se Renzi insisterà nell’utilizzare l’espressione «usato sicuro», nel rivolgersi a lui. Sono altre le parole più offensive, o ambigue, che ha sentito pronunciare dal sindaco di Firenze. Come quel dire «abbiamo sfondato nelle regioni rosse», che sa tanto di «linguaggio berlusconiano». O come quel «mettete più seggi al secondo turno». Dice Bersani incontrando i giornalisti a Piacenza prima di andare a Milano per essere intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”: «Con Matteo ci siamo mandati dei messaggini scambiati gli auguri. Certo, lui ha sempre questo difettuccio di dire “noi e loro”. Ma noi siamo noi, tutti noi, loro è Berlusconi, è la destra. Però sono sicuro che si correggerà. Non c’è bisogno di fuoco amico, gli avversari non ci mancano».
Renzi non si corregge e anzi poco dopo, a distanza, ribadisce il concetto. Bersani che incrociando poco dopo il sindaco di Firenze dietro le quinte di “Che tempo che fa” lo abbraccia dicendogli «dai che stiamo andando alla grande, siamo al 33%, non roviniamo il clima» è convinto che Renzi imposterà il resto della sua campagna continuando da un lato a insistere sul tasto del rinnovamento e, dall’altro, provando a sottrargli consensi lavorando a rafforzare il proprio fronte sinistro, su cui finora si è mostrato carente. Una strategia che il leader del Pd conta di smontare fin da subito.
IL CAMBIAMENTO E LE CHIACCHIERE
«Il cambiamento non si fa a chiacchiere», scandisce infatti nel corso della conferenza stampa convocata a Piacenza per commentare il risultato del primo turno delle primarie. «Il cambiamento non è fatto di slogan ma di coraggio e di saper dove mettere le mani. Bisogna che avvenga su dei fatti, accettando le sfide. Credo di avere l’esperienza e anche la determinazione per andare avanti su una strada di cambiamento di cui il Paese ha bisogno».
Coraggio e determinazione, che Bersani può rivendicare ricordando che è stato lui a volere le primarie, a chiedere di modificare lo statuto del Pd per permettere a Renzi di correre, a insistere (con il sindaco di Firenze che era contrario) perché ci fosse il ballottaggio nel caso nessun candidato ottenesse la maggioranza assoluta. «Se non ci fosse stato avrei già vinto. E invece si va fino in fondo, perché il processo democratico deve legittimare il candidato dei progressisti con oltre il 51%».
Bersani, che domani avrà un confronto televisivo “all’americana” con Renzi su Rai 1, ora riparte con in tasca un risultato che giudica «assolutamente incoraggiante», cioè con 9,4 punti percentuali di vantaggio (290.200 voti) e arrivato primo in 17 regioni, contro le 3 di Renzi. «Dice che avevo dalla mia l’apparato di partito? Strano, ho vinto nelle grandi città, dove c’è molto voto di opinione, non l’apparato, il partito con la falange».
Renzi, che vuole siano pubblicati on line i verbali di tutti i novemila seggi, ora chiede di riaprire le iscrizioni e di rendere possibile a chiunque di registrarsi fino a domenica. Bersani, a cui non piace che Renzi dica «si parte da zero a zero» («non mi sembra felice visto che hanno votato in 3 milioni) evita di entrare nella discussione, demandando ogni decisione al comitato dei garanti e invitando a «non mettere briciole di problemi in questa grandissima giornata»: «Ci sono i garanti, noi siamo gente per bene». Nel fronte che sostiene il segretario si insiste però sul concetto che la platea elettorale non può essere modifica, se si vogliono evitare infiltrazioni.
Quanto all’appoggio degli altri candidati non arrivati al ballottaggio, i segnali che arrivano da Tabacci («Bersani è più affine al mio modo di pensare») e da Vendola («mi impegnerò perché Renzi non vinca») fanno ben sperare. Ma l’obiettivo è incassare i voti dei loro elettori, in particolare quelli di Sel. Non a caso, una tappa in Puglia è già stata organizzata.
L’Unità 27.11.12