Oltre tre milioni e mezzo di cittadini pazientemente in fila per votare, decine di migliaia di volontari ai seggi, altre migliaia nei comitati elettorali dei diversi candidati, spalmati da Nord a Sud lungo tutto il Paese. Le primarie del centrosinistra sono state prima di tutto questo una boccata d’ossigeno e quasi un’assicurazione sulla vita per il sistema-Italia nel suo complesso. Non è retorico annotarlo: soprattutto all’indomani del voto siciliano, che ha infranto e superato la barriera del 50 per cento di astensioni. C’è un pezzo di Paese – insomma – che partecipa, vota, resiste e crede ancora che abbia un senso impegnarsi per cambiare.
Il dato è sensazionale, gonfio di significati e però – paradossalmente – non è certo piaciuto a tutti. Fa sensazione, ad esempio, la durezza che traspare dalle dichiarazioni di Beppe Grillo, leader del M5S. Ai milioni di cittadini in fila, ha riserva giudizi e commenti stizziti: «L’ennesimo giorno dei morti», «un grottesco viaggio nella follia», «una autocelebrazione di comparse» e via recriminando. A testimonianza, forse, che davvero la partecipazione attiva dei cittadini – e la buona politica, diciamo così – continuano ad essere il miglior antidoto alla cosiddetta antipolitica.
Nel cuore della notte e a dati tutt’altro che definitivi, le cifre dicono che la partita tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi va al secondo tempo, al ballottaggio. Il segretario – che stravince soprattutto al Sud – è davanti con un distacco tra i cinque e gli otto punti, lontano dal 51% ma comunque saldamente in testa. Il dato più sorprendente, però, è il risultato ottenuto da Matteo Renzi, che miete consensi nelle «zone rosse» – Toscana e Umbria in testa – e nelle città medie. A quasi metà spoglio è attorno al 35%, e si può dire – in una battuta – che Bersani ha voluto le primarie, ma Renzi ha dato loro un senso e un’anima.
Il sindaco di Firenze, infatti, aveva contro gli stati maggiori di tutti i partiti del centrosinistra, eppure è riuscito a costringere Bersani al ballottaggio: non è poco. Soprattutto – con i suoi slogan aspri – ha reso chiari i termini della scelta che propone. Rottamazione contro usato sicuro, è stato detto. Tradotto in opzioni politiche: cambiamento radicale contro mantenimento dello status quo. Una sfida elettrizzante, quella di Renzi, ma generatrice – contemporaneamente – di molti timori. Il nuovo, infatti, spesso spaventa: e spaventa ancor di più in fasi come quella attuale, quando la crisi che scuote il Paese non invita certo a «salti nel buio».
Pier Luigi Bersani, che ha voluto le primarie contro il parere spesso esplicito (da Veltroni a Bindi a D’Alema) di molti leader della sua maggioranza, ora dovrà serrare ulteriormente le file infatti, anche se il suo vantaggio è notevole, è difficile immaginare che tutti i voti raccolti dagli altri tre contendenti (Vendola, Puppato e Tabacci) confluiranno automaticamente sul suo nome al secondo turno. E’ anche per questo che l’esito finale della sfida resta aperto. Molto dipenderà da se e chi decideranno di votare gli elettori di Vendola. E molto sarà determinato dalle dinamiche politiche (e perfino psicologiche) che il ballottaggio innescherà, dentro e fuori il centrosinistra.
Il cambiamento – la «piccola rivoluzione» – a molti sembrerà a portata di mano: alcuni ne saranno esaltati, altri – forse – spaventati. E così, l’interrogativo – alla fine – resta lo stesso: se è meglio scommettere sulla rottamazione o andare più tranquilli tornando a scegliere l’usato sicuro…
La Stampa 26.11.12
Pubblicato il 26 Novembre 2012