Il prof Ferdinando Imposimato, Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, scrive al sottosegretario Polillo sulla evidente ingiustizia perpetrata ai danni del personale della scuola bloccato dalla riforma Fonero sulle pensioni. Un errore tecnico e uno strafalcione gravissimi e insensati.
Al signor Sottosegretario di Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze prof Gianfranco Polillo
Gentile e caro sottosegretario prof Gianfranco Polillo,
sono l’ex senatore Ferdinando Imposimato . Ho avuto il privilegio di conoscerLa alcuni anni fa ed ho apprezzato molto la Sua onestà e competenza professionale. Recentemente Lei mi ha autorizzato a rivolgermi alla Sua persona per questioni di interesse generale. Ed è quello che faccio, scrivendole questa lettera. Mi rivolgo alla Sua cortesia e sensibilità per segnalare una grave ingiustizia, di cui Lei non è responsabile ma che purtroppo è addebitabile ad altro Ministero. Tale ingiustizia mi è stata segnalata dal segretario del Comitato Civico «Quota 96», costituito lo scorso marzo per denunciare un ‘errore tecnico’ della ‘Riforma Fornero’, errore che ha comportato gravissime conseguenze per circa tremila lavoratori del Comparto Scuola (fra docenti e ATA).
L’errore è contenuto nella ‘norma di salvaguardia: quella che esclude dai pesanti effetti della riforma i lavoratori che vantino requisiti maturati fino al 31 dicembre 2011.
Questa data unica, quindi apparentemente equanime, non ha tenuto purtroppo conto della specificità, lavorativa e pensionistica, del Comparto Scuola, basata, per garantire il buon funzionamento dei processi educativi, non sull’anno solare ma sull’anno scolastico.
I pensionamenti del Comparto Scuola sono infatti tuttora regolati dall’art. 1 del D.P.R. 351/1998, che vincola la cessazione dal servizio «all’inizio dell’anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata».
Questo vincolo, penalizzante per i lavoratori (che, maturando i requisiti pensionistici a una certa data, ad es. il 2 gennaio, sono tenuti a rimanere in servizio fino al 31 agosto, conclusione legale dell’anno scolastico), ha come contrappeso una seconda norma, anch’essa tuttora in vigore, l’articolo 59 della Legge 449/1997, che recita: «Per il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico e accademico, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno».
In virtù del combinato disposto delle norme di cui sopra, il personale scolastico, che poteva vantare requisiti maturabili al 31 dicembre 2011, era già in pensione, o avrebbe comunque potuto ottenerla indipendentemente dalla ‘norma di salvaguardia’ della ‘Riforma Fornero’. Per avere effetto sui lavoratori della scuola, la ‘norma di salvaguardia’ avrebbe dovuto dunque necessariamente preservare – in applicazione dell’art. 1 del D.P.R. 351/1998 e dell’art. 59 della Legge 449/1997 – il personale che maturava i diritti nel corso dell’anno scolastico 2011/2012, e comunque entro il 31 dicembre 2012.
Omettendo di applicare, come sarebbe stato giusto e costituzionalmente legittimo, le norme speciali vigenti per il comparto scuola, la ‘Riforma Fornero’ ha prodotto una grave ingiustizia e ha costretto il MIUR a un dettato ‘schizofrenico’. La circolare sui pensionamenti 2012 contempla infatti (come se un anno scolastico non fosse nel frattempo trascorso) la medesima platea di pensionandi già coperta dalla circolare dell’anno precedente: «Si ricorda pertanto che, in virtù di quanto disposto dall’art. 1, comma 6, lettera c), della legge n. 243/2004, come novellato dalla legge n. 247/2007, i requisiti necessari per l’accesso al trattamento di pensione di anzianità sono di 60 anni di età e 36 di contribuzione o 61 anni di età e 35 di contribuzione, purché maturati entro il 31 dicembre 2011». È così accaduto che, per la prima e unica volta nella storia dei pensionamenti scolastici, i lavoratori interessati non hanno potuto far valere i requisiti pensionistici maturati nel corso dell’anno scolastico cui sono, per legge, vincolati. A riprova di quanto affermato, la circolare n. 109 – Cessazioni dal servizio dal 01/ 09/2013 – dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia ricorda che «per il personale scolastico è rimasto in vigore l’art. 59 c. 9 della L. 449/97, secondo il quale i requisiti si maturano entro il 31 dicembre dell’anno di pensionamento (quindi entro il 31/12/2013)». Mi conforta sapere che Lei, prof Polillo, ha riconosciuto pubblicamente la fondatezza della doglianza, che tuttavia non ha consentito di sanare il vulnus, che è palesemente di natura costituzionale. Infatti viene violato il principio di cui all’art 3 della Costituzione per cui tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. Per ben tre volte (in occasione del ‘Milleproroghe’, della ‘Spending Review’ e della discussione alla Camera della ‘Legge di Stabilità’) le iniziative parlamentari che si proponevano di sanarlo sono state bloccate dal veto del governo, che da un lato ha riconosciuto la loro fondatezza (Lei stesso ha recentemente dichiarato in Parlamento che riguardano una «giusta questione»), dall’altro ha opposto la mancanza delle relative risorse finanziarie.
Tuttavia la mancanza di risorse finanziarie non può giustificare la esclusione dagli effetti della riforma i lavoratori che vantino requisiti maturati fino al 31 dicembre 2011. Questa data unica, quindi apparentemente equanime, si risolve in un’ingiustizia perché non tiene conto della specificità, lavorativa e pensionistica, del Comparto Scuola, basata, per garantire il buon funzionamento dei processi educativi e didattici, non sull’anno solare ma sull’anno scolastico. E penalizza una categoria di lavoratori senza eliminare la sicura illegittimità costituzionale della norma che intacca gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Infatti il Governo è soggetto, come organo supremo della Pubblica Amministrazione, compresa quella scolastica, al principio fondamentale del buon andamento e della imparzialità dell’Amministrazione, anche e soprattutto scolastica, stabilito dall’art 97 della Costituzione repubblicana. La Scuola e i docenti sono il fondamento dello Stato e ad essi sono affidate le speranze di un futuro migliore dei nostri giovani studenti ed essi non possono subire discriminazioni di alcun genere, soprattutto di carattere economico. Era evidente che il Governo doveva tenere conto della ‘specificità’ della situazione dei lavoratori scolastici, ma non lo ha fatto per un errore che non può risolversi a danno di una categoria benemerita come quella dei lavoratori scolastici, cui tutti dobbiamo il massimo rispetto e la massima gratitudine .
A parte queste insuperabili considerazioni di ordine costituzionale, e solo per amore di verità, sull’argomento dei mezzi finanziari, che, ripeto, non esclude la illegittimità della legge, mi permetto di fare le seguenti osservazioni.
1. La prima riguarda la credibilità dei ‘numeri’ addotti dal governo circa la quantità di personale coinvolto nei provvedimenti. Come risulta dagli atti parlamentari, il Governo ha dapprima parlato di diecimila unità, poi di seimila, per risalire da ultimo a settemila. Le stime ufficiali del MIUR prefigurano invece una platea di 3000-3500 lavoratori.
2. La seconda concerne lo stesso calcolo delle risorse occorrenti, secondo quanto è stato documentato dai lavoratori discriminati e dalle loro rappresentanze sindacali. In occasione della discussione della ‘Legge di Stabilità’, calcolando su 7.000 unità, il governo ha previsto «maggiori oneri per circa 56 milioni di euro per l’anno 2013 (per l’operare comunque del regime delle decorrenze), 156 milioni di euro per il 2014, 350 milioni per il 2015 e 135 per il 2016». Questo calcolo è contestabile.
Se si considerano, infatti, i dati, prevedibilmente più attendibili, del MIUR (un massimo di 3.500 lavoratori), si può, in buona coscienza, affermare:
1) Il pensionamento del personale scolastico comporta un beneficio immediato per le casse dello Stato. Infatti esce del personale a fine carriera e viene sostituito da neo-assunti la cui retribuzione è molto inferiore. Le minori uscite vanno a coprire in larga misura i maggiori esborsi dovuti al pagamento delle pensioni del personale anziano che va in quiescenza. I dati quantitativi sono indicati ai punti seguenti.
2) Lo stipendio medio lordo annuo del personale anziano che andrebbe in pensione si può stimare dell’ordine di 35.000 euro. Una insegnante di un liceo scientifico di Roma, con un’anzianità contributiva di 38 anni, ha una retribuzione lorda annua (CUD 2011) di 34.000 euro. Del personale fanno anche parte insegnanti di scuole di ordine inferiore (medie, elementari e infanzia), e ATA, mediamente con un’anzianità compresa tra 35 e 39 anni (se ne avessero 40 sarebbero potuti andare in pensione con le vecchie regole senza alcun problema). Dunque assumere, per il personale in questione, uno stipendio medio un po’ superiore a quello dell’insegnante del Liceo di Roma, è una stima conservativa. Considerato che le persone interessate sono 3500, il minore costo di stipendi, per lo Stato, sarebbe pari a 3500×35.000=123 milioni. Il costo per lo Stato è maggiore (oneri fiscali e previdenziali) del costo degli stipendi per un fattore 1,6. Quindi il minore esborso complessivo dello Stato è di 123×1,6= 197 milioni.
3) Lo stipendio pro capite dei neoassunti che subentrerebbero agli anziani può valutarsi in 22.000 euro (netto di 16.600 corrispondente a circa 1300 euro mensili per 13 mensilità). I maggiori costi per stipendi sarebbero pari a 3500×22.000= 77 milioni. Il maggiore esborso, tenuto conto degli oneri aggiuntivi, è di 77×1,6= 123 milioni.
4) Il risparmio netto per lo Stato, su base annua, sarebbe pari a 197 – 123 = 74 milioni.
5) Il costo delle pensioni del personale anziano può stimarsi pari al 70% del costo degli stipendi. Infatti la pensione netta oscilla fra il 70% e l’80% dello stipendio netto. Passando al lordo, la pensione lorda non comprende gli oneri previdenziali, compresi invece nello stipendio lordo; quindi la pensione lorda corrisponde a una quota percentuale dello stipendio lordo inferiore al rapporto fra pensione e stipendio netti. È dunque realistico assumere che la pensione lorda di un insegnante sia pari al 70% del stipendio lordo (al netto di oneri) percepito quando è in servizio. Ne consegue che i maggiori esborsi per pensioni, su base annua, sono stimabili come 70% di 123 milioni: 0,7×123 = 86 milioni.
6) La copertura finanziaria di questi 86 milioni si ottiene per 74 milioni dai risparmi di cui al punto 5). Resta da trovare la copertura finanziaria per solo 86-74=12 milioni su base annua.
7) Complessivamente i fabbisogni necessari riguarderebbero la copertura dei 4 mesi del 2013, di una annualità intera (2014) e di 8 mesi del 2015. Si può infatti ritenere che mediamente entro il 2015 gli insegnanti in questione comunque andrebbero in pensione con le nuove norme. Dunque il fabbisogno complessivo è di 4 + 12 + 8 = 24 milioni. Il fabbisogno medio annuo di 119 milioni fornito dalla Ragioneria dello Stato è dunque privo di ogni realistica valutazione.
NB. Il TFR va escluso dagli oneri cui trovare copertura finanziaria.
Le ‘liquidazioni’ (TFR) non vanno computate tra gli oneri aggiuntivi, in quanto sono un onere che comunque lo Stato dovrà sostenere quando il personale andrà in pensione. L’eventuale provvedimento ne determinerebbe il pagamento anticipato, dal 2015 al 2013, per il quale lo Stato utilizzerà le fonti finanziarie che avrebbe usato nel 2015.
Questo è quanto. In occasione del prossimo passaggio al Senato della ‘Legge di Stabilità’, il Parlamento ha l’ultima occasione di sanare la grave e ingiusta ferita inferta ai pensionandi scuola 2012. Altrimenti non resterebbe che aspettare le decisioni dei Tribunali Amministrativi investiti dei ricorsi (circa tremila), con una grave delegittimazione di lavoratori che hanno speso la loro esistenza al servizio dello Stato e dei giovani, pur nella miseria umiliante delle loro retribuzioni.
Ove dovesse riconoscere la fondatezza delle ragioni dei lavoratori, Le chiedo di impegnarsi fattivamente per l’approvazione dell’emendamento che sarà presentato alla Commissione Bilancio del Senato e che dovrebbe ricalcare quello «respinto per l’aula» dalla Commissione Bilancio della Camera, prevedendo che le norme antecedenti alla ‘Riforma Fornero’ «continuano ad applicarsi al personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l’anno scolastico 2011-2012, ai sensi dell’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni».
Grazie per l’attenzione.
Cordiali saluti e buon lavoro.
Ferdinando Imposimato
da La Tecnica della Scuola 26.11.12
Pubblicato il 26 Novembre 2012
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