Quando ha deciso di fare le primarie, e di aprire la sfida a concorrenti esterni e interni al Pd, molti hanno pensato che si trattava di una mossa spericolata. Si metteva in gioco non solo una leadership, ma il profilo del solo partito rimasto sul campo, l’idea delle alleanze, la visione di sistema. Troppi rischi mentre siamo ancora tra le macerie della seconda Repubblica, non c’è alcuna intesa sulla riforma elettorale, la crisi sociale morde e la soluzione tecnocratica è alimentata dalla sfiducia verso la politica. «Invece – sottolinea soddisfatto Pier Luigi Bersani – abbiamo costruito un grande evento democratico che segnerà questa stagione più di quanto oggi non si percepisca. Darà dignità e forza all`Italia in Europa. Sarà un segno di riscossa del Paese».
Per Pier Luigi Bersani, 61 anni, segretario del Pd dal 2009, le primarie sono legate all’idea di un governo nuovo. Ha accettato il rischio perché non le ha mai pensate come una questione di partito. Il tema è l’Italia. Semmai, come un partito moderno ed europeo possa costruire un’«infrastruttura» civile che torni a legare la domanda di cambiamento con quella di partecipazione, con la voglia di contare. In un tempo in cui la politica pare condannata soltanto ad eseguire (e ad essere bersaglio di insulti). «Più di un milione di persone – dice – si è già registrato. Centomila volontari saranno domenica al lavoro. Siamo stati capaci di mettere su una macchina organizzativa che stupisce anche all’estero. E abbiamo posto questa macchina al servizio di un`impresa democratica, finalizzata ad un esplicito cambiamento delle politiche economiche e sociali. Se è vero che il passaggio da Berlusconi a Monti ha restituito all’Italia una credibilità perduta, le primarie del centrosinistra ci faranno fare un altro balzo in avanti. Anche perché contengono, sul piano culturale, la smentita di uno dei paradigmi della Seconda Repubblica».
Di cosa sta parlando?
«Per vent’anni l’ideologia di Berlusconi si è fondata sulla contrapposizione tra partito e società civile. Questa contrapposizione è stata funzionale al leaderismo, al populismo, al discredito dei corpi intermedi come vettori di partecipazione e di democrazia. In questi giorni stiamo dimostrando che il partito è società civile, è una sua espressione viva. Il collateralismo è finito da tempo. Ma i partiti democratici – e mi auguro che la nostra esperienza contagi gli altri – possono diventare l’infrastruttura di una nuova rappresentanza politica. Nella competizione delle primarie non si sono schierati soltanto cittadini singoli, ma anche cittadini associati, movimenti, gruppi di interesse. Non ci sarà più un partito-mamma. Ma un partito democratico, trasparente può aiutare il nuovo civismo e offrirgli il canale per partecipare alla decisione e alla responsabilità. Peraltro il 25 novembre è anche la giornata contro la violenza sulle donne: un altro significato condiviso per la nostra azione collettiva».
In questi vent’anni, accanto al dualismo partiti-società civile, ha tenuto banco anche quello tra sinistra riformista e sinistra radicale. Non teme che questo dualismo possa minare le basi di un governo futuro a guida Pd, come avvenne già al tempo dell’Unione?
«La mia idea di sinistra è il Pd. E il Pd è anche la mia idea di centrosinistra. Siamo davanti a un tempo straordinariamente nuovo. Il tempo lima le parole. E guai se restassimo prigionieri delle contrapposizioni di ieri. Dobbiamo avere chiari i nostri valori, anzitutto l’uguaglianza delle persone. Ma dobbiamo esprimere una grande capacità di governo, se vogliamo al tempo stesso affrontare le sfide reali e cambiare le cose. Non ho mai creduto a una sinistra autosufficiente. Dobbiamo cogliere nelle altre culture, democratiche e liberali, gli arricchimenti necessari per affrontare questo cambio d’epoca. Saremo riformisti. Ma non si è riformisti senza essere radicali in alcuni passaggi cruciali».
Tra i cinque candidati lei è il solo non cattolico. Eppure, quando ha proposto papa Giovanni per il pantheon dei democratici, le sono piovute addosso critiche laiche. Si è pentito?
«No. Qualcuno non ha capito che, citando papa Giovanni, parlavo anche di sinistra riformista e sinistra radicale. Ho detto che quell’uomo ha realizzato cambiamenti rivoluzionari, mentre riusciva a rassicurare. Non sono credente, ma penso di aver dimostrato la mia sensibilità: considero la cultura cattolica parte della cultura democratica e progressista, avendo contribuito anche alla definizione di uno statuto di laicità della politica e dell’ordinamento».
L`accordo sulla produttività non ha la firma della Cgil. Un guaio per il centrosinistra che si candida a governare.
«Penso all`Italia, non al centrosinistra. Dobbiamo migliorare la nostra produttività. Abbiamo deciso di usare la leva fiscale per l`innovazione e di favorire la contrattazione aziendale. Ma mi auguro che non si limiti a questo l`impegno governativo. Spero che si compia una verifica puntuale dei risultati, anche per apportare eventuali correttivi. Ma soprattutto mi pare urgente definire regole chiare sulla rappresentanza dei lavoratori. Tutto l’impianto rischia di cadere se non è chiaro chi parla a livello aziendale a nome dei dipendenti. Il governo si faccia parte attiva: se lo farà, penso che il filo del dialogo con la Cgil possa essere ripreso».
Lei è il solo che in questa campagna elettorale si è misurato con il tema delle alleanze politiche. I suoi competitori hanno deciso di sottrarsi, o di rifiutarle.
«Abbiamo firmato tutti la Carta d`Intenti dove è scritto che noi progressisti siamo pronti a lavorare in Parlamento con le forze democratiche e liberali che hanno rotto con i populisti e che sono consapevoli della necessaria ricostruzione. È la nostra posizione comune. Ma ora vogliamo vedere cosa viene fuori da questo dibattito al Centro. Vogliamo sapere in cosa consiste la Terza Repubblica e se si intende lavorare con il Pd. Spero che offrano agli elettori una proposta innovativa e unitaria: ma non mi intrometto. Dico una cosa senza la minima arroganza: il Pd è troppo grande perché qualcuno immagini di usarlo come salmeria. E un`altra cosa ancora: chi vuole mettersi in gioco, lo faccia senza tirare la giacca a Monti. Non si può guidare un processo così difficile, restando ai box».
Il Pd è nato come ponte verso un nuovo sistema politico. Ma, se resta il solo partito, rischia di essere schiacciato. Nonostante queste belle primarie. La riforma elettorale è un passaggio importante. Tuttavia siamo lontani dall’intesa.
«La ricostruzione del Paese passa da un nuovo sviluppo, dalla creazione di nuovi posti di lavoro, da nuove regole di moralità pubblica, ma passa anche da un nuovo sistema politico. È vero, il rischio di una involuzione è sempre presente. La tentazione dell’eccezionalismo italiano non è finita con Berlusconi. Il populismo e la demagogia sono sempre dietro l’angolo. Noi siamo consapevoli del ruolo costituente che dovrà avere il prossimo Parlamento. E nella prossima legislatura torneremo a proporre il doppio turno di collegio. Ma ora, prima del voto, ci vuole una legge che superi il Porcellum e che consenta quel tanto di governabilità necessaria a evitare la deriva dell’Italia. Se questo non ci sarà, ci opporremo con decisione».
Abbiamo parlato di alleanze nazionali. Ma per i cambiamenti necessari sono forse più importanti le alleanze europee. Lei ha firmato il manifesto di Parigi insieme a Hollande e al leader dei socialdemocratici tedeschi. Confida nel loro sostegno o le sinistre saranno risucchiate, come altre volte, dagli interessi nazionali?
«Le alleanze europee sono decisive per noi. Il cambiamento richiede una dimensione europea. E, dopo il fallimento delle destre, solo la sinistra può mettersi alla testa di un nuovo processo di integrazione. Il programma dei progressisti europei oggi coincide con l’interesse nazionale dell’Italia. Dobbiamo cogliere l’occasione delle elezioni del 2014 per avviare una fase costituente anche nell’Unione. Come dimostra la conclusione negativa del vertice di Bruxelles, non possiamo più andare avanti alla velocità degli euroscettici. La zona Euro deve fare di più, accelerando l`integrazione politica».
Non teme, di fronte alla gravità della crisi sociale, che i margini di bilancio siano troppo stretti per un governo di centrosinistra dopo Monti?
«I margini sono stretti. E non vorrei che si dimenticasse come Berlusconi e Tremonti abbiano stretto un vero cappio attorno al collo dell’Italia. Siccome non avevamo più la minima credibilità internazionale, hanno accettato condizioni che a nessun altro governo sarebbero state imposte. Ora dovremo partire da standard di bilancio quasi impossibili, con avanzi primari stellari. Tuttavia siamo in Europa e con l`Europa intendiamo riaprire una stagione di crescita: sono convinto che la svolta sia possibile. Bisogna usare la leva fiscale per favorire il lavoro e l’innovazione. Bisogna indirizzare il risparmio privato verso gli investimenti. Bisogna dare una mano agli imprenditori che vogliono potenziare le aziende. Bisogna usare il bilancio pubblico per la banda larga. Bisogna derogare selettivamente al Patto di stabilità interno per consentire ai Comuni sani di fare le opere programmate. E bisogna costruire in parallelo un piano per la moralità pubblica».
Pone questo tema all`interno di un discorso sulle priorità economiche?
«Certo. Moralità e lavoro: si deve partire da qui. La fiducia dei cittadini, quella che oggi si è persa, è un fattore primario della coesione, e dunque dell’economia. La lotta alla corruzione e all`evasione fiscale, la legalità, la sobrietà nei costi della politica, lo snellimento della Pubblica amministrazione, la legge sulla trasparenza dei partiti, la legge sul conflitto di interessi a tutti i livelli, le riforme istituzionali non sono solo i capitoli di un riscatto della moralità pubblica. Terrei insieme a questi anche i diritti: cittadinanza a chi nasce in Italia, unioni civili, legge sulla rappresentanza del lavoro. Così può rinascere la fiducia nella comunità e nello Stato».
Creare lavoro. Dare lavoro. Eppure i più sono convinti che il lavoro sia una variabile dipendente degli indici di sviluppo, o della produttività, o delle dinamiche del mercato.
«Su questo ci giochiamo tutto. Compresa la nostra coesione come società. Da dieci anni il lavoro declina. I livelli di occupazione delle donne e dei giovani sono inaccettabili. Questa è la priorità delle priorità, su cui far convergere gli sforzi del Paese. Mi fa sorridere quando usano la parola “laburista” per criticarmi. Secondo me, l’Italia è diventata troppo poco laburista e per questo rischia profonde fratture. Ovviamente nella stessa dimensione del lavoro vanno inclusi oggi sia i lavoratori dipendenti che quelli autonomi, i professionisti, gli artigiani, i piccoli imprenditori e tanti altri che rischiano l`osso del collo per tenere aperta la loro azienda in tempo di crisi. Il lavoro è anche la dimensione cercata da tanti giovani precari e dalle donne che pagano il costo più salato della riduzione dei servizi sociali».
Oggi torneranno in piazza gli studenti e gli insegnanti. Cosa ha da dire loro?
«Che la scuola e la cultura sono le basi della ricchezza nazionale. Che la legge Aprea è stata in parte già smontata dall`iniziativa del Pd. E che, nel passaggio in Senato, diremo ancora la nostra chiamando in Parlamento gli studenti, gli insegnanti, i genitori. Se va cambiata la struttura della rappresentanza, ciò non può avvenire senza rendere protagonisti gli attori della scuola».
I giovani, il rinnovamento, il nuovo. L’abbiamo lasciato in fondo, anche se è stato il motivo prevalente della battaglia mediatica nelle primarie. Ha un giudizio conclusivo?
«Il rinnovamento del Pd è in corso. La ruota gira e girerà ancora. Abbiamo bisogno dei giovani e i giovani hanno bisogno della buona politica. Chi ha esperienza non va buttato via, ma deve aiutare le nuove generazioni».
L’Unità 24.11.12
Pubblicato il 24 Novembre 2012