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“La scuola dell’obbligo (digitale)”, di Simonetta Fiori

È una vera svolta culturale, ma rimane nascosta in poche righe del Decreto Crescita. Investe le generazioni future, l’intero corpo degli insegnanti, le famiglie, l’editoria, il modo di concepire la didattica, i processi cognitivi dei ragazzi, però rischia di passare inosservata nel grande calderone dell’agenda digitale. Un cambiamento radicale, predisposto dall’articolo undici del disegno di legge che dovrebbe essere approvato in Parlamento entro dicembre.
Di che parliamo? Già a partire dal prossimo anno scolastico, ossia 2013-2014, la manualistica scolastica dovrebbe presentarsi sotto una veste quasi completamente smaterializzata. Così nelle prime medie e nel primo e terzo anno delle superiori. Non si tratta della commistione tra cartaceo e digitale, già prevista dalla precedente legislazione e già praticata da editori e insegnanti. Si tratta invece d’una separazione netta tra manuale di base e “contenuti digitali integrativi” che i professori potranno adottare anche in “modo disgiunto” rispetto al testo di base. Non più “libro misto”, che mescola carta ed elettronica. Ma testo scritto da una parte e contenuti digitali dall’altra. Con un ridimensionamento del primo a vantaggio dei secondi. O per dirla con il ministro Profumo, intervenuto ad i-School nell’ottobre scorso: «Dal 2013 avvieremo un processo in cui inizialmente avremo un piccolissimo libretto e poi tanti supporti digitali, dove il libro nasce ogni giorno. Sulla base di uno scritto iniziale ci sarà la possibilità di fare collegamenti con video, risolutori, fotografie, altri testi e quindi costruire un libro
personalizzato». In altre parole, presto la carta scomparirà.
Al momento è stato già calcolato che i manuali perderanno un terzo delle pagine. Il nuovo tetto di spesa fissato per le famiglie dovrà includere anche i “contenuti digitali integrativi” e i supporti tecnologici per fruirne. Per i libri quindi si ridurrà il budget. E ai genitori spetterà versare “un’addizionale tecnologica” al momento dell’iscrizione dei figli a scuola.
Uno sconvolgimento dell’editoria scolastica che il Decreto Crescita prevede in tempi rapidissimi. «Noi non siamo certo contrari alla rivoluzione digitale, ma ci si chiede di ripensare radicalmente la filosofia editoriale in soli tre mesi», dice Alessandro Laterza, amministratore delegato dello storico marchio e responsabile della divisione scolastica. «La promozione dei libri di testo per il 2013-2014 si farà tra gennaio ed aprile del prossimo anno, e la rivoluzione di Profumo viene lanciata solo ora. Con l’aggravante che non è stato ancora presentato il regolamento né conosciamo il nuovo tetto di spesa per i libri». Ora a favore dello slittamento del progetto all’anno scolastico 2014-2015 s’è espressa la Commissione Istruzione del Senato, ma l’iter della legge è ancora lungo. E il ministro Profumo non sembra disposto a cedere, tutt’altro. «Il ministro appare mosso più da un’ambizione che da un interesse reale che il cambiamento funzioni», interviene Roberto Gulli, amministratore delegato di Pearson Italia (Bruno Mondadori e Paravia), il gruppo leader mondiale nel campo dell’education. «Noi editori siamo costretti a una corsa affannata, e si può immaginare con quali esiti. Poi però mancano gli strumenti per usare questi contenuti elettronici».
Il maremoto digitale chiama in causa non solo le case editrici, ma anche professori e studenti, dal momento che cambia radicalmente anche il paradigma didattico, il modo di insegnare e di apprendere. «E non sappiamo per certo se sia garantita una migliore qualità», dice Laterza. Nelle redazioni editoriali incalzano le domande. Che cosa è essenziale (libro di base) e cosa è destinato all’integrativo digitale? Il sistema solare lo studieremo su carta o navigando in rete? E il motore a quattro tempi? E come si stabilisce cosa mettere nel “libretto” se poi gli autori non controllano i “contenuti integrativi”, che possono essere adottati separatamente? Dove va a finire la coesione tra gli uni e gli altri? «Nessuno di noi avversa la rivoluzione elettronica», interviene Giuseppe Ferrari, direttore editoriale della Zanichelli, il marchio più diffuso in Italia. «Siamo stati i primi a fare i libri digitali nel 1997, traducendo in Cd lo storico manuale di Amaldi. E quest’anno abbiamo realizzato i primi libri multimediali su tablet. Ma quella invocata da Profumo è una vera palingenesi che non tiene conto delle condizioni reale del paese. Quello della digitalizzazione della scuola è un processo lungo, fondato sul confronto costante tra docenti ed editori, su esperimenti successivi, su errori e conquiste. Cambiare dall’oggi all’indomani il paradigma dell’insegnamento non è una cosa facile». Non si ordina, in sostanza, con un colpo di bacchetta magica.
Per dare seguito alla legge, tutte le scuole italiane – e tutte le famiglie – dovrebbero disporre di un’adeguata connessione wi-fi per l’uso didattico della rete. «Ma dov’è questa Italia delle meraviglie che il ministro immagina?», interviene Giorgio Palumbo, presidente dell’Associazione degli editori scolastici. «Non è scontato che gli studenti siano connessi con la banda larga. Sarebbe più assennato dare il tempo allo Sta-
to di fare i suoi investimenti, e dare il tempo a noi editori di fare delle proposte didattiche ragionate ». Solo tra il 10 e il 20 per cento delle classi italiane sono provviste delle Lim, le lavagne interattive multimediali. E, tra gli insegnanti, solo il 10 per cento ha seguito corsi di formazione sull’uso di questi dispositivi. Anche i dati forniti da Zanichelli sono piuttosto interessanti: i loro libri multimediali hanno un alto contenuto di video, animazioni, audio a cui si accede attivando una chiave. Per i libri in adozione nel settembre di quest’anno sono state create quasi tre milioni e trecento mila chiavi. A oggi ne sono state attivate 18.000, ossia il 5 per mille.
Qui interviene un altro problema, ignorato da questa accelerazione informatica. Se per i ragazzi si può parlare di “nativi digitali”, la stessa definizione non vale per il corpo docente, secondo una recente indagine il più vetusto d’Europa. Ottocentomila insegnanti che si sono formati sulla carta, oggi sottoposti indirettamente a una doppia pressione. Quella dei produttori di hardware, che intravedono grandi guadagni. E quella del governo, persuaso che il digitale faccia risparmiare le famiglie. «Il problema è che i docenti vengono abbandonati completamente a se stessi», interviene Roberto Gulli. «Il ministero non si preoccupa di promuovere corsi di formazione adeguati, cosa che invece facciamo noi editori. E ora c’è il rischio che gli insegnanti vengano accusati di non saper gestire i processi di modernizzazione». Gulli cita un recente rapporto sulle eccellenze scolastiche nel mondo. Tra i primi posti figurano due paesi sideralmente distanti come Finlandia e Sud Corea, e il digitale c’entra poco. «Sa qual è il punto di forza? Il ruolo sociale del professore, che viene giudicato dalle rispettive comunità come una figura importante». Certo non si può dire lo stesso da noi. E come si fa ad ignorare che la quasi totalità dei docenti continua ad avere come riferimento il libro di testo? Nel rispondere alle dieci domande di Alessandro Laterza (www.laterza.it) il ministro Profumo sembra liquidare la faccenda. «Non sono un obbligo per l’insegnante », pone come premessa, «tanto che in alcune scuole non vengono adottati». Le cifre dell’Associazione degli editori (2012) mostrano che tutte le scuole di ogni ordine e grado adottano i libri di testo (32.523 su 32.535). Può capitare che qualche sezione ne faccia a meno. «Una stima potrebbe essere tra l’1 e il 3 per cento», dice Gino Guatteschi, direttore commerciale della Zanichelli. «In trent’anni di esperienza avrò incontrato dieci docenti che avevano scelto di non adottare libri. Ma nessuno vi rinuncia completamente».
C’è poi un fantasma che agita le case editrici, e riguarda i giganti dell’online mondiale. Chi può escludere che i produttori di tablet facciano alle scuole offerte promozionali includendo nel conto anche i “contenuti digitali integrativi”? Amazon al posto di Zanichelli, o Apple al posto di Laterza? «Sarebbe concorrenza sleale, ma certo è possibile», dice Giuseppe Ferrari. C’è anche chi agita il rischio della scarsa trasparenza nel campo della produzione multimediale: inquieta non poco il caso delle “pillole del sapere” acquistate dal Miur per settecentomila euro, una vicenda denunciata da Report su cui indagano la Guardia di Finanza e lo stesso ministro, che ha istituito di una commissione interna.
La rivoluzione digitale, in sostanza, sembra a tutti una necessità, ma da attuare in tempi e modi che corrispondano alle reali condizioni del paese. Gli editori hanno chiesto alcune modifiche (lo slittamento al 2014-2015 e l’esclusione dei tablet dal tetto di spesa per le famiglie), ma Profumo tiene molto all’immediata realizzazione del progetto. Al Senato l’ultima parola.
La Repubblica 24.11.12