Il pessimo dibattito sulla riforma della diffamazione sta partorendo una legge pessima e paradossale, che salva i direttori dall’omesso controllo, ma non cancella l’assurdità del carcere per i giornalisti. È l’ultima norma ad personam, come se questo Parlamento non sapesse fare altro, incapace di affrontare i problemi dal punto di vista dell’interesse pubblico e generale. Salvo il direttore de «il Giornale» Alessandro Sallusti, condannato a 14 mesi per aver diffamato una magistrato con una notizia falsa e mai rettificata; a mare tutti gli altri, condannati e condannabili.
Senza alcuna vergogna la legge è stata definita «salva direttori», come per confermare l’istintivo senso subalterno della funzione legislativa di questo Parlamento in scadenza.
Come se le leggi, che devono essere fatte nell’interesse di tutti, dovessero invece rispondere a bisogni e contingenze particolari, su comando, ad personam, appunto. È così che il Parlamento dei «nominati» secondo sistema elettorale passato alla storia come «Porcellum», ha inteso il suo ruolo, prima con Silvio Berlusconi, poi con il direttore del giornale di famiglia.
Accanto a questo c’è poi una rivalsa trasversale e bipartisan della politica nei confronti di giornali e giornalisti. Mai come in questi ultimi anni le due «caste», da sempre contigue e spesso complici, si sono trovate su strade separate e opposte. Una politica malata ha generato un’antipolitica avvelenata e un giornalismo fazioso. Il risultato è questa cacofonia con la quale abbiamo a che fare ogni giorno nella quale si è smarrito il filo di un discorso pubblico condiviso. Il dibattito isterico e vendicativo nel quale si è svolta la discussione intorno alla diffamazione ne è la prova.
Naturalmente la questione andava affrontata, discussa, riformata e regolata. Se ne parlava da anni. Si arriva a conclusione nel modo peggiore. Nel mondo di Internet, in cui i giornali diventano produttori ed elaboratori di informazione su piattaforme diverse e multimediali – carta e digitali – il reato di omesso controllo per i direttori non era più sostenibile. Ma anche per i giornalisti la minaccia del carcere appare anacronistica, vessatoria, sbagliata. E sia chiaro che non lo diciamo per una banale difesa corporativa. Noi riteniamo che i giornalisti che diffamano per superficialità o mancanza di professionalità o – peggio – per scelta editoriale devono essere sanzionati. Ci sono molti modi, a cominciare dal risarcimento civile accanto alla condanna penale. Ma la minaccia del carcere – dove poi non ci finisce mai nessuno – è soltanto un’inutile, arrogante e retorica prova di forza simbolica dettata dalla frustrazione dei politici.
Giustamente la categoria dei giornalisti – che peraltro non ha mai davvero discusso questo problema – si è indignata e la Federazione della stampa – il sindacato – ha proclamato per lunedì lo sciopero dell’informazione. Ma anche questa reazione che ha un sapore antico e assomiglia tanto a un riflesso pavloviano, ha senso? È efficace? Risponde alla necessità di cambiare le cose? Noi pensiamo di no, ci sembra un’iniziativa speculare e sbagliata a una legge sbagliata. I giornalisti hanno un grande potere e una grande responsabilità che si esercita dando informazioni, trasmettendo idee e discussioni, affrontando i problemi. Non tappandosi la bocca. E questo sciopero sarà tanto più paradossale perché il giornale da cui ha preso le mosse questa sciagurata vicenda – «il Giornale» di Alessandro Sallusti – come fa ormai da molti anni non parteciperà alla protesta. Esito grottesco tanto più anacronistico nel mondo d’oggi quando per effetto di Internet l’informazione – buona, cattiva, qualunque – è diventata il rumore di fondo della nostra vita. Questo sciopero è un regalo alla cattiva politica e al cattivo giornalismo.
La Stampa 23.11.12
Pubblicato il 23 Novembre 2012