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“Donne e lavoro l’Italia è in serie B”, di Flavia Amabile

Al lavoro quanto ai pari diritti uomo-donna, superano l’Italia anche Kenya e Brasile L’Islanda ottiene la prima posizione. «Essere donna in Italia è motivo di differenziazione, è un ostacolo oggettivo», dirà stasera il ministro Elsa Fornero agli italiani durante la trasmissione «Porta a Porta» registrata ieri. E la conferma è in tutte le cifre pubblicate. Le ultime arrivano dai dati Inps presenti in un’analisi del coordinatore generale statistico attuariale dell’istituto, Antonietta Mundo. Nel 2011 la retribuzione media annua lorda dei dipendenti privati (esclusa l’agricoltura) è stata di 21.678 euro per le donne contro i 30.246 euro degli uomini. Quasi un terzo in meno, lo svantaggio è del 28,3%, come è stato sottolineato durante il convegno sulle «Donne al lavoro» promosso dal Centro studi Progetto Donna, in collaborazione con Abbott e il patrocinio del ministro del Lavoro e delle politiche sociali con delega alle Pari opportunità.
Non è l’unico dato inquietante. Secondo il Global Gender Gap 2012 del World Economic Forum pubblicato un mese fa, le donne italiane si piazzano all’ottantesimo posto su 135 Paesi, vivendo peggio persino delle donne del Ghana e del Bangladesh e perdendo 6 posizioni rispetto al 2011, quando erano al 74mo posto. Il declino italiano è cronico: dal 67esimo posto del 2008, al 72esimo del 2009, con una lieve ripresa nei due anni successivi: nel 2010 e 2011 si è classificato 74esimo.
Il risultato è ancora più drammatico se andiamo a considerare la partecipazione economica e le opportunità presenti: il nostro Paese è al 101mo posto con donne penalizzate nella carriera oltre che con salari più bassi rispetto ai colleghi. Tra i Paesi industrializzati solo Giappone e Malta ottengono risultati peggiori.
Per quel che riguarda gli uguali diritti uomo-donna superano l’Italia Paesi come Kenya, Brasile, Colombia e Vietnam. Il primato spetta al Nord Europa, in particolare all’Islanda, che ottiene la prima posizione in quanto a pari opportunità, seguita da Finlandia, Norvegia, Svezia.
Ma non va per nulla bene anche da un punto di vista di rappresentanza politica. Il rapporto sottolinea la limitata presenza di donne all’interno del governo, ad esempio.
Il divario è particolarmente forte per quel che riguarda i salari di lavori uguali ma affidati a uomini e donne: l’Italia si piazza 126esima. Come ricorda ancora Antonietta Mundo citando dati Inps, solo un terzo della popolazione femminile fa parte della forza lavoro mentre fra gli uomini è la metà a farne parte. Un unico dato positivo riguarda l’incremento tendenziale dello 0,4% dell’occupazione femminile accompagnato da un leggero calo dell’occupazione maschile. Ma ricorda l’esperta – «l’82% dei lavoratori a tempo parziale è rappresentato da donne». I lavori delle donne sono i meno importanti, quasi tutti in posizioni basse e intermedie. Le donne sono il 57% degli impiegati e i vertici in gran parte sono occupati da uomini. Tra i dirigenti e professionisti dove non sono previsti avanzamenti di qualifica sono assunti soprattutto uomini mentre le donne si fermano al 40%. Una tendenza che però sembra lentamente invertirsi. Nei tre anni che vanno dal 2009 al 2011 c’è stata una crescita delle donne quadro dell’8,3% e delle donne dirigenti del 4.4%. Aumentano anche le operaie del 3,1% al contrario di quanto accade per gli uomini.
Le differenze riguardano anche le pensioni. Le donne rappresentano il 47% dei pensionati eppure percepiscono il 34% dell’importo complessivo. Una pensionata su tre prende meno di mille euro al mese. E, in generale, nel pubblico la pensione media per le donne è di 18.400 euro lordi un terzo in meno degli uomini che sono su una media di 26.900 euro. L’80% delle pensioni integrate al minimo sono erogate alle donne. Una donna su due ha meno di 20 anni di contribuzione nel settore privato. Nel pubblico, invece, il 40% delle donne hanno più di 30 anni di anzianità contributiva.
La Stampa 22.11.12