attualità, politica italiana

“Non nascondersi dietro i tecnici”, di Claudio Sardo

Mario Monti ha buone ragioni nel sostenere che il suo governo ha salvato il paese dal baratro finanziario e gli ha restituito una credibilità internazionale, dopo l’umiliante fallimento di Berlusconi. Ma non sono ragioni sufficienti per sostenere un secondo governo Monti oltre le elezioni di marzo. Anzi, le condizioni dell’emergenza appaiono in conflitto con quelle di un programma di ricostruzione.
Monti ha goduto di un sostegno parlamentare irripetibile da parte di una «strana maggioranza», che non potrebbe ripetersi, a meno di una volontà suicida delle sue componenti e di una dissipazione della residua credibilità politica.
Ma soprattutto l’impedimento ad un Monti-bis sta nei numeri sempre più gravi di questa crisi, nel deficit di fiducia del Paese, nei costi sociali pagati anche durante quest’anno di risanamento, nella solitudine e nell’individualismo che aumentano mentre diminuiscono il lavoro, il reddito, i diritti, le opportunità. Non si tratta di attribuire a Monti colpe che non ha. Gli abbiamo sempre riconosciuto i meriti per ciò che ha dato all’Italia, quando l’Italia era diventata un problema per sé e per gli altri. L’allineamento agli standard di bilancio richiesti dall’Europa e dalle tecnocrazie sovranazionali ha, però, prodotto ulteriore recessione e impoverimento. Al di là dei freddi numeri pesano, eccome, i costi umani dei posti di lavoro persi, delle speranze negate ai giovani, delle paure crescenti nelle famiglie a basso reddito. Pesano sulle stesse istituzioni democratiche perché sono il moltiplicatore della sfiducia verso la rappresentanza politica.
Monti talvolta dà l’impressione di volersi salvare da solo. Di scaricare sulla politica la responsabilità della crisi (economica, sociale, morale), riservando alla «tecnica» la titolarità di un’azione oggettiva di risanamento che, comunque, dovrà proseguire. E ancor più del premier, alcuni dei sostenitori del Monti-bis cercano di elevare questa proposizione a programma politico di un nuovo Centro. Può darsi che si tratti solo di propaganda e che l’obiettivo, minimale, sia quello di raccogliere un po’ di voti utilizzando la scia del governo. Ma, se questo diventasse l’asse della politica centrista, allora rischierebbe grosso l’Italia del dopo Berlusconi. La speranza di una svolta politica verrebbe stretta nella tenaglia tra la contestazione assoluta di Grillo e l’ipocrisia di una verità tecnica da imporre agli italiani a nome di oligarchie interne ed esterne. Qualcuno l’ha chiamato il «grillo-montismo». Ma non c’era bisogno di tanta fantasia per comprendere il gioco di sponda tra chi – Grillo – dice che i partiti sono tutti uguali nelle loro nefandezze e chi – sostenitore del Monti-bis – dice che i tecnici devono fare ciò che va inibito ai politici.
Invece l’Italia ha bisogno di politica. Di buona politica. Ha bisogno di più democrazia e di più partecipazione. Proprio mentre la crisi morde di più. Proprio quando i più deboli e i più poveri pagano il prezzo più elevato. E non si tratta di un generico auspicio. C’è una forte domanda di politica e di partecipazione in questo Paese. Lo si è visto nelle piazze di mercoledì scorso, con tanti giovanissimi accanto ai loro professori e al sindacato. Lo si è visto in Sicilia dove ha vinto un uomo-simbolo dell’antimafia e dove, nonostante la demagogia e il populismo di Grillo, tanti voti al Movimento 5 stelle contenevano una domanda di cambiamento e di moralità, a cui le forze del centrosinistra dovranno seriamente rispondere. Lo si vede in questi giorni di preparazione delle primarie: centinaia di migliaia di persone che discutono, che si organizzano, che competono cercando un bene comune. Lo si vede infine nel desiderio di partecipare di chi non è di centrosinistra e vorrebbe che anche la sua parte gli offrisse la possibilità di contare, di votare, di decidere.
C’è un intreccio tra crisi sociale e crisi democratica. C’è un robusto filo rosso che lega la paura di questa lunga crisi alla sfiducia verso le forme attuali della politica. C’è un nesso necessario tra la risposta sociale e quella democratica: più equità e più uguaglianza vanno a braccetto con una politica più partecipata, più trasparente, più efficace. Insieme possono diventare vettori di un nuovo sviluppo: il contrario del dogma liberista che proclamava la diseguaglianza come fattore di competizione e di crescita.
Per questo, dopo Monti è necessario un governo politico. Non perché i partiti devono tornare a comandare. Ma perché si deve aprire una stagione nuova. Peraltro, solo così non si disperderà l’azione di risanamento di Monti. L’Italia è un grande Paese. Non potrà risollevarsi se non si percepisce come una democrazia compiuta. È una sfida non scontata per il Pd. Le primarie sono una grande prova di coraggio e di umiltà. Ma bisognerà andare avanti. Allargando il fronte degli attori del rinnovamento democratico. Il Pd è anche un ponte verso un nuovo sistema politico. Un sistema capace di ricostruire partiti grandi e di non premiare più il ricatto dei piccoli e dei trasformisti.
Magari il popolo delle primarie potesse votare già alle prossime elezioni un Pd più grande, con Tabacci e Vendola nella stessa lista. Magari le primarie si estendessero anche al Pdl. Magari il Centro smettesse di nascondersi dietro il governo tecnico e annunciasse al Paese il proprio programma politico, verificando nel concreto differenze e convergenze con il centrosinistra. Magari la democrazia entrasse pure nel fortino blindato di Grillo. Nessuno può salvarsi da solo. Nessuno salverà da solo l’Italia. Ma di certo bisogna cambiare rotta. E cambiando rotta insieme all’Europa si valorizzeranno meglio anche le cose buone fatte da Monti.
L’Unità 18.11.12