I conti in profondo rosso. Il calo di ascolti. Il crollo della pubblicità. La crisi politica dell’ex premier coincide con il momento peggiore nella storia delle sue aziende. Costretto a tagliare i costi e a vendere villa Certosa. Licenziare Allegri? Parliamone, ma con calma. E magari aspettiamo la prossima stagione. Perché è vero che il Milan se la passa male, ma il patron Silvio Berlusconi sta facendo la spending review a casa propria. E allora, con quattro allenatori già a libro paga, è meglio evitare di assumerne un altro, continuando a stipendiare Massimiliano Allegri fino al 2014, quando scadrà il suo contratto. Si viaggia al risparmio, quindi, nella speranza di un colpo d’ala che permetta al Milan di evitare catastrofi (calcistiche).
I tifosi si rassegnino. In casa Berlusconi si sono messi a fare i conti. I conti con la recessione, che ha dato mazzate pesanti al business pubblicitario, quello che alimenta le tv targate Mediaset. E i conti con la politica, dove la Fininvest come partito azienda è giunta ormai al capolinea per effetto del tramonto di re Silvio e del conseguente sfaldamento del Pdl. Addio leggi ad aziendam, allora. Niente più corsa degli inserzionisti pubblicitari per omaggiare a suon di spot le televisioni del politico imprenditore. Nulla sarà più come prima nel regno di Arcore. I fuoriclasse in fuga dal Milan. Villa Certosa in vendita. Resiste, per adesso, il vitalizio alle Olgettine, l’obolo di qualche migliaio di euro al mese destinato alle ragazze gradite ospiti delle ormai celebri «serate eleganti» dell’ex presidente del Consiglio. E’ tempo di taglia e cuci, ormai.
HOLDING IN PANNE
Tra poche settimane, Berlusconi e i cinque figli si riuniranno per il tradizionale via libera ai bilanci delle sette holding di famiglia e dovranno fare a meno, per il secondo anno consecutivo, dei dividendi della Fininvest. Per carità, nessun dramma. In base ai calcoli più aggiornati, le società che stanno in cima alla catena di controllo vantano ben più di un miliardo di liquidità. Come dire che Silvio e i suoi eredi possono attingere a piene mani alle loro casse personali ancora per un bel pezzo. Il problema è un altro. I motori che hanno alimentato la crescita del gruppo si stanno raffreddando sempre di più.
La Mondadori, come gli altri editori del Paese, è alle prese con un doloroso piano di tagli e la prevista chiusura di diverse riviste. Mentre i conti, come annunciato martedì 13 novembre, segnano il passo: gli utili dei primi nove mesi sono calati del 63 per cento a 16 milioni di euro, per effetto soprattutto del crollo della pubblicità nel settore dei periodici. Lo stesso giorno anche Mediaset ha comunicato una perdita nei primi nove mesi dell’anno pari a 45 milioni di euro, un vero e proprio tracollo rispetto ai profitti di 164 milioni realizzati nello stesso periodo del 2011. Non era mai successo che l’azienda di Cologno Monzese chiudesse in rosso i primi tre trimestri dell’anno. Sui risultati dell’intero 2012 c’è grande incertezza ma è l’azienda stessa a prevedere che a fine anno le perdite si assesteranno sullo stello livello dei primi nove mesi dell’anno. Uno choc, se si pensa che per Mediaset è la prima perdita della storia. Così, prima della diffusione dei dati della trimestrale, il titolo del gruppo ha virato al ribasso di quasi il 3 per cento, avvicinando pericolosamente il minimo storico di 1,14 euro toccato lo scorso giugno. Nel giro di un anno Mediaset ha perso quasi la metà del suo valore di Borsa e, rispetto al 2009, la quotazione si è sgonfiata addirittura del 70 per cento. Bastano questi dati per intuire che analisti e investitori non nutrono grande fiducia sulle prospettive di recupero, almeno nel breve termine.
LA TV DELLE VECCHIETTE
L’origine dei guai di Silvio è tutto sommato semplice. Le sue televisioni non tirano più come in passato. Stanno soffrendo quella che si potrebbe definire una vendetta del destino. Un tempo il creatore di Canale 5 poteva vantarsi di aver catturato con le sue reti non soltanto il grande pubblico ma anche quello pubblicitariamente più ghiotto: i giovani, i benestanti, le persone che chiedono sempre l’ultima novità. La Rai, è vero, ha mantenuto il primato dell’audience. Ma, come ripetevano i venditori di Publitalia, Mediaset spopolava fra le tribù metropolitane, lasciando alla tivù di Stato le vecchiette dei paesini sperduti dell’Appennino. Poco sotto mamma-Rai in termini di quote di spettatori, Mediaset si ingozzava così di pubblicità, grazie anche ai vincoli imposti alla tivù pubblica, già sovvenzionata dal canone.
L’Espresso
Pubblicato il 18 Novembre 2012