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“Fare di tutto per evitare la spaccatura”, di Luigi Mariucci

Se si dovesse verificare quanto in queste ora risulta assai probabile, anzi pressochè certo, vale a dire la stipulazione di un accordo interconfederale sulla produttività siglato con il metodo della firma digitale senza l’adesione della Cgil, ci ritroveremmo davanti una ennesima pagina negativa delle relazioni industriali in Italia. Che è proprio quello di cui questo Paese non ha davvero bisogno. Se si dovesse compiere questa scelta si aggiungerebbe infatti un ulteriore elemento di crisi, disordine e conflittualità nei rapporti sindacali mentre in Italia sta crescendo un sempre più forte disagio sociale, di cui sono state buona testimonianza le manifestazioni dello scorso 14 novembre. Non si riesce infatti a comprendere quale interesse reale vi sia a stipulare un accordo che divide e non unisce. Quando è evidente che questo Paese avrebbe invece bisogno di un grande e nuovo patto sociale, di un patto di sistema, paragonabile a quello sulla politica dei redditi stipulato nel luglio 1993 che consentì all’Italia – è sempre bene ricordarlo – di entrare nell’aerea dell’euro e di non andare allo sbando per il Mediterraneo. Un patto di sistema, appunto, in cui si dovrebbero risolvere, una volta per tutte, almeno tre questioni cruciali: l’accertamento della rappresentatività dei sindacati, i procedimenti di validazione della efficacia dei contratti collettivi, il diritto di ogni sindacato rappresentativo di partecipare alle trattative e di costituire proprie rappresentanze nei luoghi di lavoro a prescindere dall’avere o meno sottoscritto precedenti contratti. Per fare questo basterebbe generalizzare a tutti i settori quanto previsto dall’accordo tra Cgil, Cisl, Uil e imprese del 28 giugno 2011 e renderne cogente l’applicazione. Di questo dovrebbe in primo luogo farsi responsabile Confindustria, se questa associazione di imprenditori vuole tornare ad esercitare un ruolo significativo. Un ruolo che sia di guida del sistema industriale e imprenditoriale italiano, evitando di farsi umiliare di nuovo, come è accaduto nella vicenda Fiat quando quella impresa, a dispetto di tutti i favori ad essa concessi, ha finito con l’uscire da Confindustria, farsi un contratto collettivo per sé, salvo poi commettere una serie di comportamenti discriminatori puntualmente censurati dai giudici del lavoro. C’è un modo per cercare di riaggiustare una tendenza che inclina al peggio. Confindustria dovrebbe indurre Federmeccanica, sua associata, a convocare formalmente la Fiom-Cgil al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici: la stessa Federmeccanica poi potrebbe chiudere il confronto se la Fiom-Cgil si dichiarasse indisponibile ad ogni negoziato. Escludere ex ante dal negoziato la più importante federazione di categoria della Cgil è una scelta pessima: ha un sapore autoritario, e non porta bene alle stesse associazioni di imprese, come si è verificato alla Fiat. Anche il governo, però, dovrebbe fare qualcosa. Dovrebbe far capire a tutti i soggetti coinvolti nella vicenda che un accordo interconfederale sulla produttività senza l’adesione della Cgil non serve a nulla, non è utile al Paese, perché poi nelle aziende si dovranno fare i conti comunque con la Cgil. Crediamo che anche il Pd dovrebbe fare qualcosa. In particolare dovrebbe dire qualcosa il segretario del Pd che, per quando candidato alle primarie, è pur sempre il segretario di un partito che sostiene questo governo, e senza il cui sostegno il governo cadrebbe, anzi, non si sarebbe mai formato. So bene che la sfida è difficile e cercare di evitare quel che oggi appare inevitabile (cioè un altro accordo separato) non è impresa semplice. Come si dice, raddrizzare le gambe ai cani è difficile. Ma questa volta bisogna provarci fino all’ultimo.
L’Unità 18.11.12