La giornata europea di mobilitazione contro l’austerità e per l’occupazione e lo Stato sociale ha rappresentato effettivamente una novità e un bisogno. Al di là delle diverse scelte fatte, tra chi ha scioperato e chi ha manifestato in altro modo, il mondo del lavoro continentale ha espresso con forza l’insostenibilità sociale crescente della ricetta di più rigore e più disoccupazione, e l’inquietudine verso un presente ed un futuro in cui non si vedono rapide fuoriuscite dalla crisi. Non è più solo la Grecia il caso emblematico di questa vera e propria trappola in cui siamo caduti; e non sono soltanto sindacati, movimenti e forze progressiste a richiedere un cambiamento di scelte e strategie. Se è vero, come è vero, che da fonti insospettabili e dallo stesso Fondo monetario ormai si discute senza reticenza dei famosi moltiplicatori che oggi determinano, contrariamente ad altre fasi del ciclo economico, un rapporto superiore a due della incidenza dei tagli rispetto al prodotto interno lordo. Anche in Italia sciopero e manifestazioni hanno avuto un carattere importante, e hanno visto una forte presenza di studenti e del mondo dell’istruzione in lotta per chiedere più investimenti e più qualità e per protestare contro una logica di puri tagli che penalizza la formazione e riduce il diritto allo studio. A Terni la manifestazione centrale della Cgil ha riproposto il tema della difesa dell’industria italiana e del bisogno di una politica che eviti una catena annunciata di ridimensionamenti produttivi e occupazionali, a partire dall’industria di base: alluminio, acciaio, automobile, petrolchimica, e provi a difendere e qualificare i nostri asset strategici, compresi quelli di Finmeccanica. Insieme, la giornata di mobilitazione ha confermato l’aggravarsi di una radicalità sociale che non può non allarmare. Tanti segni in questi mesi lo confermavano fino a quelli degli ultimi giorni, l’esasperazione dei lavoratori dell’Alcoa e del Sulcis, con i ministri che se ne ripartono in fretta e furia, i fatti di Napoli, e su un altro verso le aggressioni verso le sedi di Cisl e Uil. A questi, si sono aggiunti oggi gli scontri tra polizia e studenti a Roma, Padova e in altre città, l’inqualificabile pestaggio di Torino verso le forze dell’ordine, gli slogan inammissibili gridati di fronte alla Sinagoga di Roma, e tanti altri fatti che fuoriescono da un legittimo ricorso alla protesta. Tutto questo oltre alla condanna ferma, assoluta, richiede a tutti una fase di grande attenzione. Fino ad oggi la crisi in Italia, per quanto dura, è stata affrontata da tutti con serietà e responsabilità, a partire dai tanti che hanno perso, nella crisi, poco o tanto, il lavoro, il reddito, la sicurezza, o anche solo il potere d’acquisto di un tempo. Oggi, in ragione del tempo lungo della crisi e dell’assenza di risposte, e anche degli errori fatti dal governo, la situazione può farsi maledettamente più difficile. In questo quadro preoccupano due aspetti: la lontananza della politica o di una sua parte da chi non ce la sta facendo, dall’altra l’algido distacco di chi ritiene che non ci sia nulla da fare. Nel primo caso colpiva, dopo le immagini delle proteste, la polemica del centrodestra per la data delle elezioni regionali: una difesa miope di interessi di fronte a un Paese che chiede cambiamenti. Nell’altro caso preoccupa la distanza troppo grande tra la dimensione tecnica e quella politica e sociale, e che spesso si nasconde in una velata insofferenza verso le caratteristiche fondamentali dei processi democratici. Da qui derivano due conseguenze inevitabili. Bisogna tenere ferma la barra nel rifiuto e nel contrasto attivo di ogni forma di violenza e di intolleranza, piccola o grande che sia, e quale che ne sia la motivazione sociale o civile. Bisogna però insieme – negli atteggiamenti, nelle decisioni, nei comportamenti, nelle sensibilità culturali – ridurre la distanza tra quanti nella crisi ce la fanno, spesso anche bene, e i tanti che non sono in condizione di farcela, e dare un progetto ragionevole in cui credere per il futuro. Il momento delle risposte nella crisi che divide Questo è quello che manca, e questo è il compito che i riformisti debbono sapere assumersi, in Italia e in Europa.
L’Unità 15.11.12
Pubblicato il 15 Novembre 2012